La parabola del medico (Luca 4:23-24).
Iniziamo la nostra serie di predicazioni sulle parabole di Gesù. La prima parabola in sequenza di tempo, che la Scrittura registra, è proprio la parabola di questo testo, anche se qui la parola è stata tradotta con “proverbio”. La parola “proverbio” (parabolēn) è la stessa parola per indicare le parabole (greco parabolē, ebraico māshāl -parabola, confronto, illustrazione), copre una vasta gamma di significati (detto, motto scherzoso, similitudine, indovinello, proverbio, oracolo), qui ha una speciale applicazione per un proverbio preciso che comporta un confronto. Una parabola paragona un oggetto naturale con un oggetto spirituale, al fine di insegnare una verità teologica. A volte può prendere la forma di un proverbio come in questo caso.Noi vediamo in questa predicazione tre aspetti di questa parabola: il contesto della parabola, il contenuto della parabola, e la connessione alla parabola.
Iniziamo con:
I IL CONTESTO DELLA PARABOLA (vv.16-22).
Gesù ha citato questa parabola in una riunione nella sinagoga di Nazaret, la città che era stata la sua città di adozione (Luca 4:16) per una trentina di anni fino a quando decise di lasciarla per il suo ministero pubblico.
Al momento di questo incontro, Gesù era all’inizio del Suo ministero pubblico, ma nonostante il breve tempo di ministero, era già molto conosciuto in Galilea, dove si trovava Nazaret, la Sua fama si sparse per tutta la regione (Luca 4:14).
Gli elementi principali del servizio nella sinagoga erano: la recitazione dello Shema (Deuteronomio 6:4-9), le preghiere, una lettura dalla Torah (Pentateuco, i primi cinque libri della Bibbia), una lettura dai Profeti, una predica sulla base delle letture e una benedizione sacerdotale finale.
Era nelle abitudini di Gesù andare nei luoghi di culto, Gesù andava regolarmente nella sinagoga (v.16). La sinagoga era un luogo dove s’istruiva il popolo (Luca 13:10); sulla base, di testi già letti, o sui nuovi testi, l’istruzione poteva essere fatta da qualsiasi maschio qualificato tra il pubblico, a condizione che dieci maschi fossero presenti.
A Gesù fu dato da leggere (probabilmente dal capo della sinagoga) il libro del profeta Isaia (Isaia 61:1-2, per alcuni studiosi anche Isaia 58:6. La figura del servitore di Isaia, mostra caratteristiche sia profetiche che messianiche- Strauss).
In Luca 4:17-19 leggiamo: “Gli fu dato il libro del profeta Isaia. Aperto il libro, trovò quel passo dov'era scritto: ‘Lo Spirito del Signore è sopra di me; perciò mi ha unto per evangelizzare i poveri; mi ha mandato ad annunziare la liberazione ai prigionieri, e ai ciechi il ricupero della vista; a rimettere in libertà gli oppressi, e a proclamare l'anno accettevole del Signore’”.
Poi chiuso il libro, si sedette e la gente presente si aspettava che Lui insegnasse; Gesù disse loro che quelle parole di Isaia, quella profezia si era appena adempiuta.
La gente gli rendeva testimonianza e rimase meravigliata delle parole di grazia (parole di grazia è interpretato diversamente come modo, o come contenuto, o come capacità) che uscivano dalla Sua bocca e dicevano: “Non è costui il figlio di Giuseppe?”.
“Rendeva testimonianza” (emarturoun autō) è inteso da parte di alcuni studiosi in senso negativo, cioè “contro di lui”, mentre per altri è interpretato che la gente parlava bene di Gesù, affermavano che quello che Lui ha detto era vero, cioè erano “a favore di lui”, lo approvavano. Indubbiamente la gente era meravigliata colpita dalle parole di grazia che gli uscivano dalla bocca.
La frase: “Non è costui il figlio di Giuseppe?” è interpretata da parte di alcuni come 1) una piacevole sorpresa, che un loro concittadino, il figlio di Giuseppe poteva parlare in quel modo, erano sorpresi della sua predicazione, ma non l’accoglievano nel cuore come vediamo, infatti poi lo vorranno gettare dalla montagna (Luca 4:23,28-30). Oppure, il senso potrebbe essere: " Non è questo un giovane del nostro villaggio? ". Questo porterebbe in sé una richiesta: “poich’egli è il nostro giovane possiamo aspettarci grandi cose da Dio per noi”. Mentre per altri questa frase 2) esprime la loro perplessità e dubbi. Si chiedevano come questo loro vicino di casa poteva dire che egli fu il compimento di questo passaggio.
3) Un’altra interpretazione esprime il loro rifiuto. Questa è una dichiarazione negativa, indica incredulità, poiché non possono credere che Gesù fosse il Messia, nonostante le Sue interessanti parole. Essi guardavano dall'alto in basso qualcuno che era così familiare e si chiedevano perché Gesù pensasse di essere così grande, forse erano gelosi di lui.
4) Non è costui il figlio di Giuseppe?” è una domanda retorica che esprime diverse reazioni; indica che essi erano stupiti che il figlio di Giuseppe fosse diventato un bravo predicatore, per la Sua abilità retorica e allo stesso tempo erano indignati che Gesù avesse la pretesa di parlare come un profeta, erano scettici a riguardo. È stata riconosciuta la sua abilità retorica da tutti, ma non significa che lo avevano accolto (cfr. Atti 4:13; 6:8-15). Il punto è semplicemente questo: come poteva il figlio di un uomo comune fare tali affermazioni?
L’ultima interpretazione sembra la più plausibile dal contesto.
II IL CONTENUTO DELLA PARABOLA (v.23)
Gesù Cristo è il luogo d’ incontro di eternità e tempo, l’unione della divinità e umanità, la giunzione del cielo e terra, ma molti ai Suoi tempi (e anche oggi) non credevano questo.
La fama di Gesù si era sparsa a Nazaret, Gesù e il Suo uditorio lo sapevano bene.
Gesù sapeva cosa pensavano veramente in quel momento di Lui e dice al v.23: “Certo, voi mi citerete questo proverbio: ‘Medico, cura te stesso; fa'anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum!’”
“Certo” (pantōs) indica senza dubbio, sicuramente, certamente. Questa è una parola usata per fare una forte affermazione. Gesù è sicuro di ciò che la gente pensa su di Lui: il proverbio (parabola) esprime il sentimento della gente verso di lui. Ciò significa che Gesù conosceva i pensieri del Suo pubblico, perché è il Figlio di Dio e profeta, è come tale conosce ogni cosa (Matteo 9.4; Marco 2:8; Luca 5:22; 6:8;7:40; 9:47; 11:17; Giovanni 2:23-25; 4:29,39; 6:64; 16:29-30; 18:4; 21:17; Colossesi 2:3).
Non possiamo nascondergli nulla! Gesù aveva e ha una conoscenza unica dei pensieri altrui, è inutile nascondergli ciò che abbiamo nel cuore.
“Medico cura te stesso” era un proverbio comune fra gli Ebrei ai tempi di Cristo, ma anche tra i greci (in Euripide ed Eschilo), e nelle Lettere di Cicerone. Il punto del proverbio è: un uomo che afferma di essere in grado di guarire le persone dovrebbero essere in grado di provare la sua pretesa di guarire se stesso.
La spiegazione del proverbio è indicata nella frase successiva sempre nel v.23: “fa'anche qui nella tua patria tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum!". Qualunque cosa, la gente ha sentito che Gesù abbia fatto in Capernaum, loro vogliono (fa’-poiēson-aoristo attivo imperativo) che Lui lo faccia a Nazaret!
L'opera di Gesù a Capernaum, una città della Galilea situato sulla sponda occidentale del lago di Gennesaret, non è passata inosservata a Nazaret.
La gente probabilmente faceva riferimento ai miracoli non registrati fatti da Gesù durante il breve periodo trascorso a Capernaum (Giovanni 2:12), dopo il suo miracolo a Cana. Luca 4:14 implica che Gesù ha fatto miracoli.
Noi vediamo lo scetticismo della gente quando dice: “tutto quello che abbiamo udito essere avvenuto in Capernaum”, non hanno detto: “quello che hai fatto”, questo ci fa capire che non credevano. Marco e Matteo scrivono che Gesù non fece nessun miracolo a Nazaret per la loro incredulità (Marco 6:5-6; cfr. Matteo 13:58). Secondo Leon Morris, Luca non lo dice, ma sottointende l’incredulità come confermato dai vv.24-29.
Questa parabola è interpretata in due modi.
La prima interpretazione è:
1) Il fare del bene ai Suoi concittadini come ha fatto a Capernaum.
L’idea di: “medico cura te stesso” non è che Gesù debba guarirsi di qualche malattia, ma è di fare gli stessi miracoli a casa Sua, tra la Sua gente come ha fatto altrove. Dal momento, che Gesù è di Nazaret deve cominciare a curare gli abitanti di Nazaret; ogni benefattore sensibile inizia nelle sue immediate vicinanze.
Forse c’era gelosia regionale, la sua gente era gelosa che Gesù facesse miracoli a Capernaum e non a Nazaret.
La seconda interpretazione è:
2) Il fare i miracoli come a Capernaum, gli avrebbe giovato alla Sua reputazione, o avrebbe provato le sue affermazioni di essere il profeta e Messia (Isaia 61:1).
Il significato è questo: supponiamo che un uomo dovrebbe cercare di guarire un altro, quando egli stesso era malato nello stesso modo, sarebbe naturale chiedere a lui, di curare prima se stesso, e quindi rendere evidente che egli era degno di fiducia.
È come se oggi dicessimo: “Se un medico ti dicesse che puoi curare il raffreddore, ma egli ha sempre il raffreddore, la sua cura, o persona non è attendibile”. Il segno che un medico non è affidabile è la sua incapacità di guarire se stesso.
Il collegamento di questo proverbio è: "Tu professi di essere il Messia, o un profeta, dici di essere in grado di liberarci dalle nostre malattie, dai nostri peccati, dalle nostre afflizioni, abbiamo sentito che hai fatto dei miracoli a Capernaum, se vuoi che noi ti crediamo, se vuoi essere, degno di fiducia, devi fare dei miracoli anche qui da noi come a Capernaum!
Qualcosa del genere con un tono beffardo dicevano i magistrati di Gesù mentre stava in croce: “Il popolo stava a guardare. E anche i magistrati si beffavano di lui, dicendo: ‘Ha salvato altri, salvi sé stesso, se è il Cristo, l'Eletto di Dio!’” (Luca 23:35).
La gente a Nazaret voleva una prova visibile della validità delle sue affermazioni fatte in precedenza, riguardo la profezia di Isaia che si è realizzata nella Sua persona, come diceva Lui (vv.17-21).
Un uomo comune che dice, di essere un profeta, o il Messia lo deve dimostrare nella Sua città natale.
Oppure l'intento del proverbio (parabola) è che prima di migliorare la condizione degli altri, Gesù dovrebbe migliorare la propria condizione, rendendolo più sicuro e dare la prova che egli era veramente il compimento della profezia di Isaia.
La parabola è ironica e significa: tu vuoi salvare l'umanità dalla sua miseria, in primo luogo comincia a salvare te stesso dalla tua miseria. Gesù dice di essere colui, che porta guarigione, e liberazione ( Luca 4:18-19, 21), ma per colui che offre le benedizioni del giorno della salvezza sembra che abbia avuto poco dei suoi benefici (cfr. Luca 2:7; 9:58): il suo stato non corrisponde alla sua affermazione!
La frase ha la forza di: " Chi ti credi di essere per offrirci quello che non hai per te stesso?", questo perché la gente nella sinagoga pensava che Gesù fosse solo il figlio di Giuseppe, un falegname normale, un uomo comune come tutte le altre persone! Gesù aveva vissuto in mezzo a loro per trent’anni senza fare miracoli, come avrebbero mai potuto credere che Lui fosse un profeta, o il Messia, che ha fatto dei miracoli a Capernaum?
La pretesa di Gesù ha sollevato un polverone riguardo la Sua pretesa in contrasto con la Sua vera natura. Chi è questo che ha fatto quest’affermazione? Volevano delle prove, volevano dei miracoli per credere alle Sue affermazioni! Questa non sarà la prima volta che la gente gli chiede dei segni, ma Lui rifiuterà (cfr. Luca 11:16,29).
Infine vediamo:
III LA CONNESSIONE ALLA PARABOLA (v.24).
v.24: “Ma egli disse: ‘In verità vi dico che nessun profeta è ben accetto nella sua patria’”.
Questo versetto è legato alla parabola. Il “ma” (de), è collegato a quanto, detto prima, però, è come se ci fosse un cambio di chi sta parlando, infatti, al v. 23 Gesù stava dicendo il pensiero della gente, ora al v. 24 Gesù sta rispondendo, sta facendo una sua dichiarazione.
Noi vediamo in questa connessione che Gesù fa:
A) Una dichiarazione solenne.
Le persone all’interno della sinagoga volevano una prova, ma Gesù fa una dichiarazione per attirare la loro attenzione per sottolineare che le parole che seguono sono importanti.
“In verità” (amēn) è la prima volta che si trova in questo Vangelo, in tutto è ripetuto sei volte (Luca 4:24; 12:37; 18:17,29; 21:32; 23:43).
La parola "amen" deriva da un verbo ebraico (’āmēn) che significa "stabilire", "sicuro", o "certa", e il suo uso è caratteristico dello stile d’insegnamento di Gesù.
“In verità vi dico” indica una dichiarazione solenne, introduce una dichiarazione che esprime non solo una verità, o un fatto, ma un fatto importante, una solenne verità, è un segno inconfondibile di un’autoconsapevolezza profetica.
“In verità vi dico” è il sostituto per la dichiarazione profetica dell'Antico Testamento: "Così dice il Signore" (Reiling, J., & Swellengrebel).
“In verità” (amēn) indica l'autorità con cui Gesù ha parlato ed è chiaramente un’autentica Sua parola.
Noi vediamo in questa connessione che Gesù fa:
B) Una dichiarazione sconvolgente.
v.24: “nessun profeta è ben accetto nella sua patria”.
Gesù dicendo così, afferma di essere un profeta (cfr. Deuteronomio 18.15; Matteo 21:11; Luca 7:16; 13:33; Giovanni 5:46; 7:40; Atti 3:19-23; 7:37; Ebrei:1-4) e che stava ricevendo il destino di molti profeti… Israele sistematicamente rifiutava e perseguitava i profeti (2 Cronache 36:15-16; Matteo 5:11-12; Luca 11:47-50; 13:33-34; 20:9-19; Atti 7:51-53).
Gesù dice: “ben accetto” (dektos), significa accolto, benvenuto, approvato, o rispettato.
“Ben accetto” presenta un gioco di parole nel contesto. In Luca 4:19 leggiamo riguardo al Messia: “e a proclamare l’anno accettevole (dekton) del Signore”, cioè l’anno del Giubileo ebraico (Levitico 25), ed era simbolo della prossima era messianica, un modo per indicare l’era di salvezza, ma Lui come un profeta ( Luca 4:24) non è accettato (dektos) dalla folla, sarà rifiutato.
Giovanni nel suo prologo nel Vangelo riguardo a Gesù dice: “È venuto in casa sua e i suoi non l'hanno ricevuto” (Giovanni 1:11).
In Marco 6:4 leggiamo: “’Non è questi il falegname, il figlio di Maria, e il fratello di Giacomo e di Iose, di Giuda e di Simone? Le sue sorelle non stanno qui da noi?’ E si scandalizzavano a causa di lui. Ma Gesù diceva loro: ‘Nessun profeta è disprezzato se non nella sua patria, fra i suoi parenti e in casa sua’”.
Matteo ci dice: “E si scandalizzavano a causa di lui. Ma Gesù disse loro: ‘Un profeta non è disprezzato che nella sua patria e in casa sua’. E lì, a causa della loro incredulità, non fece molte opere potenti’”. (Matteo 13:57-58; cfr. Giovanni 4:44).
Il rifiuto è locale, ma è un’immagine del grande rifiuto che Gesù subirà fino a morire in croce (Luca 23:13-25).
Gesù fa l’esempio di due profeti famosi dell’Antico Testamento: Elia ed Eliseo per indicare che fecero due opere potenti non tra la loro gente in Israele, ma a degli stranieri, a dei pagani.
Questi due eventi sono menzionati insieme per evidenziare le conseguenze della disobbedienza, o dell’incredulità di Israele (Cfr. Deuteronomio 11:17; 1 Re 8:35 - 36).
Elia in un periodo di carestia fu mandato da Dio a Sarepta in Fenicia, dove soccorse e si prese cura di una vedova; in un modo miracoloso, il profeta non faceva finire la poca farina e olio che la donna aveva (1 Re 17:8-24).
Mentre Eliseo guarì non dei lebbrosi Israeliti, ma un Siro, Naaman (2 Re 5). Il significato di queste due citazioni è che le persone più vicine a Gesù non ricevono la benedizione di Dio per la loro incredulità, mentre altri, che sono lontani, che non fanno parte di Israele, il popolo di Dio, il popolo del Patto, la riceveranno.
Gesù vuole dire che gli Ebrei increduli riguardo a Gesù (Profeta-Messia) si privavano di ricevere le benedizioni promesse in Isaia (Luca 4:18-19), o i benefici di Dio con i miracoli di Gesù (Matteo 13:57-58; Marco 6:4), la loro incredulità gli impediva di sperimentare la potenza miracolosa di Dio in Gesù!
Inoltre, Gesù sottolinea che il Suo ministero, e quindi la grazia di Dio non è limitata solo a Nazaret, la Sua città natale, o agli Israeliti, ma anche ai Gentili (Romani 9-11).
John MacArthur a riguardo scrive: “La vedova di Sarepta (1 Re 17:8-24) e Naaman il Siro (2 Re 5) erano entrambi non Giudei vissuti in un epoca di grande incredulità in Israele. Gesù volle insegnare che, in quei momenti, la mano protesa di Dio si era ritirata dalle vedove e dai lebbrosi in Israele, ma aveva dispensato grazia a due abitanti di nazioni pagane. L’amore di Dio verso gli stranieri e gli emarginati è una delle trame tematiche ricorrenti nel vangelo di Luca”.
Ma tutti quelli nella sinagoga udendo queste cose, ne furono pieni d’ira, lo cacciarono fuori dalla città, e lo volevano uccidere, ma Gesù passando in mezzo a loro se ne andò (Luca 4:28-30).
CONCLUSIONE
Possiamo fare alcune considerazioni finali.
1) Sentimenti contrastanti.
Quelle persone dentro la sinagoga di Nazaret avevano sentimenti contrastanti per Gesù: stupore perché Gesù, quello che conoscevano, il figlio di Giuseppe il falegname, era un eccellente predicatore, ma allo stesso tempo erano indignati che Gesù avesse la pretesa di parlare come un profeta, o avere la pretesa di essere il Messia. Erano scettici a riguardo, non credevano che lo fosse, pensavano che fosse una persona comune.
Noi vediamo in questo testo che l’incredulità nasce dal pregiudizio! Molti oggi sono pieni di stupore per la figura umana di Gesù (maestro, predicatore, rivoluzionario, superstar, ecc.), ma non lo accolgono nel cuore come il profeta di Dio, come Signore e Salvatore, come il Figlio di Dio perché non credono a priori che esista un Dio che abbia mandato Gesù per essere questo.
Per molti oggi credere in Dio è una cosa ridicola e impossibile, questo perché si ha il pregiudizio che Dio non possa esistere!
“Un pregiudizio è un'opinione errante senza mezzi visibili di sostegno” (Ambrose Bierce).
Molti hanno dei pregiudizi, anche se questi non hanno basi solide!
Chi è per te Gesù?
2) Gesù non è il nostro maggiordomo.
C’è un inevitabile conflitto tra il piano di Dio e il desiderio umano (cfr. Isaia 55:8-9). Gesù non opera come noi vogliamo! Gesù fa’ quello che vuole in base alla Sua natura e volontà di Dio (Giovanni 4:34; 8:28-29)! Egli non era interessato a intrattenere le persone. Non ha usato espedienti per attirare la gente a Dio. Era preoccupato che i loro cuori e le loro vite dovevano essere cambiate. Voleva che fossero più interessati a fare la volontà di Dio, piuttosto che ottenere un po’ di emozione temporanea (Michael Bentley).
Molti chiedono dei segni, o delle prove per credere. Chiedono che se Gesù facesse questo, o quell’altro, se desse quelle cose che chiedono (la guarigione, o esaudisse un qualsiasi altro desiderio), allora queste persone crederebbero.
Noi vediamo che tutte le volte che le persone non sono sincere davanti a Dio e chiedono dei segni a Gesù, Gesù si rifiuta di farli (cfr. Luca 11:16,29).
Non è in questo modo che Dio vuole relazionarsi con noi, ma per fede (cfr. 2 Corinzi 5:7); la fede è importante nel rapporto con Dio, senza fede è impossibile piacergli (Ebrei 11:6).
L’incredulità ci priva delle benedizioni di Dio! (Matteo 9:29; 13:58).
Noi abbiamo tanti motivi per credere in Dio, e tanti per non essere increduli davanti a Dio. Essere, increduli è credere alla bugia che Dio non esiste! Che Gesù non è il Figlio di Dio che è morto e risorto per i peccatori!
3) La salvezza per tutti i popoli.
La missione di Gesù non si limita alla sua città natale, o solo al popolo di Israele. Questo è uno dei motivi per cui la gente nella sinagoga si era irritata verso Gesù. Pensavano che loro avevano solo il diritto delle benedizioni di Dio e non i Gentili, l’altro motivo implicito e che Gesù non fece dei miracoli per la loro incredulità. Gesù menzionando gli eventi di Elia e di Eliseo che si sono occupati di non Giudei, quindi di Gentili, vuole manifestare, il fatto che è venuto a portare la salvezza a tutti i popoli, non solo ai Giudei, non solo ai Gentili, a entrambi (Luca 2:30-32; cfr. Efesini 2:11-22), Gesù è il Salvatore del mondo, l’unico mediante il quale possiamo essere salvati dai nostri peccati e avere il perdono di Dio (Giovanni 4:42; Atti 4:12; 10:43; 13:38-39).
Sei tu salvato dai tuoi peccati?
4) Il discepolo di Gesù sarà rifiutato nella sua patria.
Come per i profeti e per Gesù, quando predichiamo la verità, molti rifiuteranno ciò che diciamo e la nostra persona.
Come hanno trattato Gesù, così saranno trattati anche i Suoi discepoli (Matteo 10:24-26; Giovanni 15:18-19; 16:33; Atti 14:22; 2 Timoteo 3:12).
Questo avviene anche nella propria città, o paese. Può anche avvenire che la gente vicina a te della tua città, o della tua chiesa non riconosce i tuoi talenti, o doni, o servizio, non ti meravigliare se non sei compreso o accettato, si tende a riconoscere più una persona estranea, a riguardo Leon Morris scrive: “Si è sempre più pronti a riconoscere la grandezza di persone estranee, e non quella che si conosce bene”.