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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

Matteo 21:28-32: La parabola dei due figli

Matteo 21:28-32: La parabola dei due figli 
Dopo aver scritto dell'autorità di Gesù messa in discussione da parte dei capi dei sacerdoti e degli anziani del popolo nei vv. 23-27, Matteo riporta tre parabole di Gesù: la parabola dei due figli (21:28-32), la parabola dei malvagi vignaiuoli (21:33-44) e la parabola delle nozze (22:1-14).

Queste parabole di rimprovero, sono dirette ai capi sacerdoti e agli anziani del popolo che erano increduli e rifiutavano l’autorità di Dio.

Queste parabole di rimprovero, sono dirette ai capi sacerdoti e agli anziani del popolo che erano increduli e rifiutavano l’autorità di Dio.

Meditiamo sulla parabola dei due figli.

Prima di tutto consideriamo:
I LA PRESENTAZIONE DELLA PARABOLA (vv. 28–30) 
La parabola inizia con una domanda: “Che ve ne pare?” (v.28).
Questa domanda è rivolta ai capi sacerdoti e agli anziani del popolo che precedentemente gli avevano fatto una domanda di sfida a Gesù mentre insegnava nel tempio.

Questi uomini chiedevano con quale autorità Gesù faceva queste cose (v.23), cioè insegnava nel tempio, e probabilmente anche il fatto che cacciò via i mercanti dal tempio e le guarigioni che aveva appena fatto (vv.12-16).

Con la domanda: “Che ve ne pare”, che già ha usato altre volte in questo vangelo (Matteo 17:25; 18:12; 22:17,42; 26:66), Gesù coinvolge e invita al dibattito i leader, li invita a meditare attentamente su ciò che Egli stava dicendo e quindi a fare una scelta, a prendere posizione.


Così con questa frase Gesù vuole catturare l’attenzione dei Suoi avversari.

In questa parabola vediamo che:
A) Il padre comanda al primo figlio di lavorare nella vigna (vv. 28–29)
Nei vv.28-29 è scritto: “Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. Si avvicinò al primo e gli disse: ‘Figliolo, va' a lavorare nella vigna oggi’.  Ed egli rispose: ‘Vado, signore’; ma non vi andò”.

Noi vediamo in questa parabola un uomo, un agricoltore che ordina prima a un suo figlio, e poi all’altro, di andare a lavorare nella vigna.

Non vi è alcuna indicazione dell'età dei figli, ma di sicuro, erano abbastanza grandi da poter lavorare nel vigneto familiare.

Il primo figlio (tō prōtō) è probabilmente il maggiore, infatti, secondo la cultura ebraica, il padre chiedeva prima al figlio maggiore.

“Figliolo” (teknon – altri esempi Matteo 9:2; Luca 2:48; 15:31) esprime più tenerezza, affetto familiare amore, rispetto a “figlio” (huios -per esempio Matteo 21:37–38; 22:2).

Gesù parla di “vigna”. 
La “vigna” (ampelōni) era diffusa in Israele; l'uva era una delle colture più importanti, tanto che Gesù ne parla in altre parabole (Matteo 20:1; 21:33).

Il vigneto è visto come una preoccupazione familiare sotto la direzione del padre.

La “vigna”, era un simbolo d’Israele (per esempio Salmo 80:8–9; Isaia 5:1,7; 27:2; Geremia 2:21; Osea 10:1; Matteo 21:33–44). 

Il padre dice: “Oggi” (sēmeron), e questo suggerisce che i suoi figli non lavorassero tutti i giorni, quindi avevano tanto tempo libero a loro disposizione.

Ciò che vediamo nel primo figlio è la sua:
(1) Risposta a parole
“Ed egli rispose: ‘Vado, signore’” (v.29).

La traduzione “vado”, in greco è in enfasi e indica “io, io davvero” (Egō), con il senso “io effettivamente andrò”, “lo farò”, che insieme a signore è “si signore lo farò”.

“Signore” (Kyrie) è un normale indirizzo di rispetto e di educazione usato per rivolgersi, o parlare a un uomo.

Una risposta davvero rispettosa con un linguaggio pio, da bravo figliolo verso suo padre.  

Ma ovviamente era tutto falso, non era vero!! 

Infatti, troviamo la sua:
(2) Risposta con i fatti
Nel v.29 è scritto: “Ma non vi andò”.

Non sappiamo perché non è andato, ma molto probabilmente, non aveva mai avuto intenzione di andare e mentì a suo padre per dare la falsa impressione di obbedienza.

All'inizio, il primo figlio, sembra un figlio modello, a differenza di suo fratello, e mostra pubblicamente la disponibilità, ma non è così.


Non meraviglierebbe che gli ascoltatori si sgomentarono nell'ascoltare che il primo figlio non andò nella vigna a lavorare dopo aver detto al padre che sarebbe andato.

Questo figlio è stato abbastanza disponibile con il suo:” Vado Signore”, ma le sue azioni non corrispondevano alla sua educazione. 

Nonostante il suo consenso, rimase lontano dalla vigna. 

Le sue parole erano buone, ma le sue azioni non corrispondevano alle sue parole.

Il primo figlio con le parole disse una cosa, mentre con i fatti ne fa un’altra!

Il suo cuore era lontano dal padre!

Era come Israele un tempo come ci ricorda sempre Gesù in Matteo 15:8: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il loro cuore è lontano da me”. 

Possiamo avere un linguaggio religioso e mieloso, ma il nostro cuore può essere lontano da Dio, e la nostra consacrazione si ferma solo alle parole come diceva William Shakespeare in “Amleto, Atto II, Scena II”: “Parole, parole, parole”. 

Ci sono credenti che non vanno oltre le loro parole, la loro consacrazione non arriva alla loro condotta!

Gesù in Matteo 7:21 ci ricorda: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli”.

Pertanto facciamo attenzione che il nostro cristianesimo non sia solo a parole, senza cuore e comportamento coerente alla volontà di Dio!

Noi nei fatti del primo figlio vediamo la sua disobbedienza, quindi la sua incoerenza, ipocrisia.

I capi religiosi del tempo di Cristo appartenevano a questa categoria di disobbedienza, quindi d’ipocriti, infatti Gesù li ha ripetutamente definiti “ipocriti” (Matteo 23: 13,14,15,23,25,27,29), poiché un ipocrita è colui che dice una cosa, ma ne fa un'altra.

Stephen Charnock disse: “Un ipocrita può essere definito un ateo religioso, un ateo mascherato dalla religione”.

Con la bocca possiamo fare promesse che con il comportamento, poi non manteniamo!

Possiamo essere zelanti nel parlare, ma pigri nell’andare!

James Smith dice: “Nostro Padre ha una moltitudine di figli loquaci, ma i lavoratori sono pochi”. 

Se diciamo che siamo servi di Dio, ma non lo stiamo servendo stiamo disobbedendo.

Il Signore nella Sua Parola ci dice di servirlo con zelo (per esempio Deuteronomio 6:6; 10:12; 1 Samuele 7:3; 12:24; Romani 12:11; Colossesi 3:24)

Possiamo essere fedeli con le parole, ma infedeli con le azioni come il primo figlio, tra la nostra promessa di servirlo e la sua realizzazione. 

Questa condotta incoerente è simile a quella dei capi religiosi ai giorni di Gesù Cristo. 

Gesù che conosce i cuori e parlava di loro come quelli che dicono e non fanno!

In Matteo 23:3 è scritto: “ Fate dunque e osservate tutte le cose che vi diranno, ma non fate secondo le loro opere; perché dicono e non fanno”. 

Molte persone nelle chiese cristiane sono così: dicono parole che provengono dalla Bibbia, ma non la mettono in pratica, illudendo loro stessi di essere veri discepoli come ci dice Giacomo 1:22 parlando di coloro che ascoltano solo la Parola di Dio senza metterla in pratica!

B) Il padre chiede al secondo figlio di lavorare nella vigna (v. 30)
Nel v.30 leggiamo: “Il padre si avvicinò al secondo e gli disse la stessa cosa. Egli rispose: ‘Non ne ho voglia’; ma poi, pentitosi, vi andò”.

Il padre va anche dal secondo (deuterō) figlio, il più piccolo e gli disse la stessa cosa (hōsautōs) che aveva detto al primo, e cioè di andare a lavorare nella vigna (v. 28).

In questo secondo figlio vediamo:
(1) La disobbedienza iniziale
“Egli rispose: ‘Non ne ho voglia’” (v.30).

“Non ne ho voglia”   (ou thelō), cioè non voglio andare (thelō – presente attivo indicativo), indica che il suo scopo, o intento era di non farlo, non aveva nessun desiderio, scopo, voglia, nessuna volontà di andare a lavorare nella vigna.
“Non ne ho voglia”   allora,  si concentra sulla sua volontà, sul suo rifiuto.

La risposta del secondo figlio fu un vero e proprio rifiuto! 

Era una disobbedienza sprezzante e La sua risposta fu come dice A. Lukyn Williams: “Maleducata, brusca e irriverente, come quella che sarebbe naturalmente emessa dalle labbra di una persona che era egoisticamente avvolta nei propri piaceri e non si curava della legge di Dio, delle pretese di relazione, delle decenze di società”.

Senza nessuna scusa, ma con audacia e spudoratezza, il secondo figlio si rifiuta di obbedire al padre.

“Rifiutare” significa che ha respinto totalmente la richiesta del padre, è anche un atto di ribellione, quindi un affronto al padre, contro la sua autorità; culturalmente ciò era inaccettabile poiché l'obbedienza sarebbe stata l'unica risposta corretta di un figlio.

Infatti, è importante tenere presente che nell'antico mondo ebraico era previsto il rispetto e l'obbedienza dei figli al padre. 

Quindi il rifiuto del secondo figlio più piccolo, era abbastanza scioccante per gli ascoltatori. 

Ma troviamo:
(2) La disponibilità successiva
“Ma poi, pentitosi, vi andò”, leggiamo sempre al v.30.

Il rifiuto iniziale è seguito, dopo tutto, dall’obbedienza di fatto.

“Pentitosi” (metamelētheis- aoristo passivo deponente participio) si riferisce a pentirsi, a cambiare idea, o provare rammarico per qualcosa che è stato fatto prima, o essere dispiaciuto dopo, rimpiangere un'azione e cambiare idea.

Indica l’atto di chi ripensandoci cambia idea, oppure avere un sentimento diverso rispetto a prima. 

Ci viene in mente un'altra parabola quella del figliol prodigo, che una volta andato via, poi si penti e ritornò dal padre (Luca 15:11-32). 

Quindi alla fine questo figlio mostrò rispetto e andò (apēlthen – aoristo attivo indicativo) a lavorare nella vigna.

Al rifiuto iniziale, seguì l’obbedienza!

Vediamo allora:
(a) La prova del pentimento 
Si possono confessare drammaticamente ed emotivamente i propri peccati e dire che ci siamo pentiti, ma la prova evidente sarà nella condotta che segue la confessione. 

Il secondo figlio, anche se aveva detto che non aveva nessuna voglia di andare, poi pentitosi andò.

Se questo secondo figlio non fosse andato a lavorare nella vigna, il suo pentimento non sarebbe stato vero!

Il vero pentimento ha dei frutti!

Giovanni Battista rivolgendosi ai farisei e ai sadducei disse loro come leggiamo in Matteo 3:7-8: “Ma vedendo molti farisei e sadducei venire al suo battesimo, disse loro: ‘Razza di vipere, chi vi ha insegnato a sfuggire l'ira futura?  Fate dunque dei frutti degni del ravvedimento’”.

Molte persone, come questi leader, vogliono apparire devoti, ma in realtà sono ipocriti e non hanno prove di pentimento nelle loro vite. 

Il loro pentimento non è altro che parole. 

Un vero pentimento comporta uno stile di vita cambiato, un riorientamento totale nella vita intera, una rottura radicale con le azioni passate, è una dimostrazione con le azioni che i cuori sono stati cambiati in quelli che si pentono; implica obbedire a Dio.

Molti oggi, affermano di essere salvati, ma le loro opere provano che non è così!

Come un albero si riconosce dal frutto, così un vero credente che si è pentito, si riconosce da un comportamento obbediente a Dio.

In secondo luogo questa parabola incoraggia al pentimento, quindi consideriamo:
(b)Il pungolo nel pentimento
Non ci sono peccati gravi per cui non possiamo pentirci ed essere salvati da Dio attraverso Gesù Cristo!

Dio, in Gesù Cristo, è disposto ad accogliere i peccatori che si pentono dei loro peccati, non importa nulla di ciò che un uomo è stato nel tempo passato!

L’apostolo Paolo era un bestemmiatore, un persecutore e un violento, eppure Dio gli ha fatto misericordia! 

La grazia del Signore è sovrabbondata con la fede e con l'amore che è in Cristo Gesù. 
La sua chiamata e la sua salvezza sono un esempio per tutti coloro che avrebbero creduto dopo di lui (1 Timoteo 1:12-16).

Nessun peccatore deve mai sentire di essere un peccatore troppo grande per essere salvato da Cristo!

II LA SPIEGAZIONE DELLA PARABOLA (vv. 31–32)

La parabola di Gesù è terminata, ora seguono una domanda e una risposta che spiegano la parabola.

Prima di tutto c’è:
A) Il coinvolgimento
Coinvolgere i Suoi interlocutori, è un modo molto efficace di insegnare e di far riflettere seriamente e per stimolarli ad applicare la verità di Dio.

Consideriamo:
(1) La domanda di Gesù (v.31)
Nel v.31 leggiamo: ”Quale dei due fece la volontà del padre?” 

Gesù usava spesso fare domande, attingendo la risposta dai suoi ascoltatori (per esempio Matteo 9:5; 12:48; 17:25; 21:25; Luca 10:36; 13:16). 

La domanda era un'antica tecnica con una forza emotiva e d’impatto della parabola (Isaia 5:3–4; Geremia 2:21; Luca 7:41–42).

Quali dei due figli ha obbedito al padre?
Quindi quale dei due figli ha fatto ciò che il padre voleva?

“Volontà” (thélēma) è lo scopo, il piano, l’intento del padre. 

La parola “volontà”, la troviamo nel “Sermone sul monte” quando dice: “Non chiunque mi dice: Signore, Signore! entrerà nel regno dei cieli, ma chi fa la volontà del Padre mio che è nei cieli” (Matteo 7:21; cfr. Matteo 12:50).

“Fare la volontà di Dio”, nel contesto del Sermone sul monte” significa mettere in pratica, obbedire ai Suoi comandamenti (Matteo 5:16, 20, 48; 7:12,20; 7:24-29).

Grant R. Osborne scrive: “Gesù sta facendo molto più che fare un punto retorico. Riassume il suo insegnamento sull'etica del regno. Coloro che affermano di essere il popolo di Dio devono dimostrarlo facendo la sua volontà e obbedendo ai suoi comandamenti (cfr. Giovanni 14:15, 21, 23)”.

(2) La risposta dei capi (v.31)
Sempre nel v.31 è scritto: “Essi gli dissero: ‘L'ultimo’”.

Questa era la risposta ovvia, non c’erano altre risposte.

Nell’asserire che l’ultimo figlio fece la volontà del padre, i sommi sacerdoti e gli anziani (v.23) si auto-condannano, poiché sono lontani dal fare la volontà di Dio!

Passiamo ora a vedere:
B) L’insegnamento di Gesù (vv. 31– 32) 
I vv.31-32 ci dicono: “E Gesù a loro: ‘Io vi dico in verità: I pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio. Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto; ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto; e voi, che avete visto questo, non vi siete pentiti neppure dopo per credere a lui’”.

Gli elementi allegorici di questa parabola sono chiari: il padre è Dio, il primo figlio sono i leader, il secondo figlio sono gli emarginati: i pubblicani e le prostitute.

Questa frase solenne: “Io vi dico in verità” è “verità io dico te” (Amēn legō humin), è una formula autorevole, dove “verità” è in enfasi.

Quindi Gesù vuole sottolineare l’importante e solenne verità che sta per presentare, e vuole che i Suoi uditori ascoltino attentamente!

Nell’ insegnamento di Gesù vediamo che:
(1) Il secondo figlio entrerà nel regno di Dio (vv.31-32)

Vediamo allora:
(a)La rappresentazione
Nei vv.31-32 leggiamo: ”I pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio”. 

L’ultimo, il secondo figlio che diceva che non sarebbe andato, ma poi è andato, rappresentano i pubblicani e le prostitute.

Nel Nuovo Testamento “pubblicani e prostitute” lo troviamo nei vv.31-32, mentre “pubblicani e peccatori” è più frequente (per esempio Matteo 9:10-11; Marco 2:15-16; Luca 5:30; 7:34; 15:1).

I peccatori non hanno tempo per Dio, o per i Suoi comandamenti. 

Disobbediscono intenzionalmente e senza vergogna ai comandi di Dio. 

I peccatori hanno un carattere licenzioso, si lasciano andare al peccato, con il loro stile di vita, hanno un totale disprezzo per la volontà di Dio.

Dunque, questa è un’affermazione scioccante per gli uditori, e ne possiamo capire il valore se pensiamo che sia i pubblicani, cioè gli esattori delle tasse, estorsori e disonesti, collaboratori dell’esercito nemico (i Romani), e sia le prostitute, erano emarginati, considerati grandi peccatori, la feccia della società (cfr. Matteo 5:46-47; 9:10-11; 11:19; 18:17; cfr. Luca 15:30; 1 Corinzi 6:15-16; Ebrei 11:31; Giacomo 2:25; Apocalisse 17:1).

Se qualcuno era totalmente al di fuori della misericordia di Dio, pensavano i capi ebrei, che si credevano giusti, quelli erano proprio i pubblicani e i peccatori!

Ancora peggio, è un confronto ancora più offensivo, specialmente in una società così dominata dagli uomini come in Israele nel I secolo, quando si parla di prostitute per il loro modo di vedere.

“Pubblicani” e “prostitute”, non avevano posto nella rispettabile società ebraica religiosa, e tanto meno nel regno di Dio;
secondo l'opinione ebraica questi due gruppi non avrebbero fatto parte nel mondo a venire. 

Ma Gesù dichiara che entreranno nel regno di Dio davanti ai capi dei sacerdoti e degli anziani.

Anche se sono ribelli a Dio, se credono e si pentono, entrano nel regno di Dio, mentre le autorità religiose dicono a parole di seguire Dio, mentre con i fatti, dimostrano il contrario!

Gesù non è venuto a cercare i giusti, ma i peccatori a ravvedimento (Matteo 9:9-11).

L'interesse di Gesù per i "pubblicani e peccatori" (Luca 15:1-2) lo vediamo in un'altra parabola, quella del figliol prodigo (Luca 15:11-32). 

Quindi come già accennato, noi troviamo:
(b)La redenzione
Sempre nel v.31 è scritto: ”I pubblicani e le prostitute entrano prima di voi nel regno di Dio”. 

I peccatori sono stati ribelli a Dio per molto tempo, ma ora sono tornati a Dio credendo a Giovanni e quindi rivolgendosi a Gesù.

Questi entrano prima (proagousin- presente attivo indicativo) dei capi dei sacerdoti e degli anziani.

“Entrano prima di voi” indica “andare prima”, “precedere”, “aprire la strada”.

Questa frase era come un pugno allo stomaco per i capi religiosi e per gli anziani: i peccatori sarebbero entrati prima di loro!

Matteo di solito dice "il regno dei cieli" (per esempio 5:10,19,20; 7:21; 8:11; 13.11; ecc.), ma qui dice: “Il regno di Dio” (vedi la nota alle 12:28).

“Nel regno di Dio” (eis tēn basileian tou theou) altrove, è associato con il giudizio finale (Matteo 7:21-23), ed è un modo di dire per la salvezza finale (cfr. Matteo 5:20; 7:21-23; 8:11-12; 18:3; 19:23 -24)
I pubblicani e le prostitute entreranno davanti ai capi dei sacerdoti e gli anziani (cfr. Matteo 14:22; 26:32; 28:7).

Questo implica che c’è la possibilità di salvezza per loro, se cambiassero idea riguardo il messaggio del Battista, riguardo a Gesù, se credessero in Gesù Cristo e si pentissero dei loro peccati, se seguissero l’esempio dei pubblicani e dei peccatori nella fede e nel pentimento.

“Entrano prima di voi nel regno di Dio” allora significa che la porta della salvezza, del regno di Dio, non era ancora chiusa per i capi sacerdoti e gli anziani del popolo, che nessuna condanna irreversibile li escludeva dal regno di Dio!

Ma dovevano pentirsi e credere!

Non c’è salvezza senza pentimento e fede! 

Le parole di Gesù mostrano l'inversione di Dio delle norme create dall'uomo per la salvezza. 

I pubblicani e le prostitute non erano più vicini al regno dei capi dei sacerdoti e degli anziani, perché erano più meritevoli per Dio, ma perché erano pronti a riconoscere il loro bisogno di grazia di Dio rispetto ai capi sacerdoti e agli anziani del popolo che erano soddisfatti di sé, che pensavano di essere giusti e si vantavano delle loro opere, mentre in realtà erano ipocriti (cfr. Matteo 23).

Il punto di Gesù era che le pretese di una persona religiosa non la faranno entrare nel regno di Dio, e anche se il peccato è grave, se una persona si pente e crede entrerà nel regno di Dio!

Infine c’è:
(c)La ragione
Nel v.32 è scritto: “Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto; ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto”.

Ancora una volta Gesù si riferisce a Giovanni Battista, sottolineando il loro rifiuto del ministero di Giovanni.

La vita e il messaggio di Giovanni Battista non era qualcosa di nascosto, era conosciuto, tanto è vero che andavano molte persone da Gerusalemme, da tutta la Giudea e tutto il paese intorno, a farsi battezzare da lui nel fiume Giordano (cfr. Matteo 3:5). 

Il motivo per cui i pubblicani e le prostitute, di cui parla Gesù, saranno salvati è perché hanno creduto a Giovanni Battista, che “è venuto a voi per la via della giustizia”.

Che cosa significa che “Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia?”

“Per la via” (en hodō - dativo locativo) indica una strada, o un percorso su cui si viaggia. 

Indica il modo di agire, o un comportamento abituale.

Infatti dice “della giustizia” (dikaiosunēs – genitivo attribuitivo) e questo indica la caratteristica della via che percorreva.

Giovanni Battista è andato dai capi religiosi per la via della giustizia.
“Per la via della giustizia” indica che:
Giovanni era stato chiamato da Dio
“Giustizia” (dikaiosunēs) indica conformarsi alla volontà e al progetto di Dio (cfr. Matteo 3:15).

Giovanni Battista si è conformato al piano di Dio, si è sottomesso.

A proposito Arland J.Hultgren scrive: “Nel versetto in questione la ‘via della giustizia’ si riferisce a Giovanni e lo designa come colui che ha seguito la strada del disegno di Dio”.

Così com’è scritto in Luca 7:29-30, se mentre i pubblicani facendosi battezzare hanno riconosciuto la giustizia di Dio, i farisei e i dottori della legge non facendosi battezzare da Giovanni hanno respinto la volontà (boulēn), cioè il disegno di Dio.

Giovanni, pieno di Spirito, era stato inviato da Dio per preparare la via per Suo Figlio, il Messia, Gesù Cristo. 

Il suo ministero veniva da Dio, ed è stato chiamato come strumento di Dio per il Suo disegno storico di salvezza (cfr. per esempio Marco 1:2-3; Luca 1:5-17, 57-66; Giovanni 1:23-27).

“Per la via della giustizia” indica che:
Giovanni era caratterizzato dall'obbedienza ai comandi di Dio
“Giustizia” (dikaiosunēs) è il modello di condotta morale che Dio richiede (cfr. per esempio Matteo 5:20; 6:1), indica il modo di vivere che Dio richiede.

Giovanni con la sua vita testimoniava di essere un uomo giusto.

Si è comportato come voleva Dio, aveva una condotta retta. 
“Fare la volontà del padre” del v. 31 è anche la definizione di “giustizia” in Matteo (cfr. 3:15; 5:6,10,20; 6:1,33). 

Quindi “è venuto a voi per la via della giustizia” significa fare concretamente la volontà di Dio.

In Matteo 11:11 Gesù dice:” In verità io vi dico, che fra i nati di donna non è sorto nessuno maggiore di Giovanni il battista”.

Eppure i peccatori si erano rivolti a lui, ma non i capi sacerdoti e gli anziani che avevano respinto Gesù.

In secondo luogo:
Giovanni come profeta di Dio, ha anche richiesto una condotta retta da parte delle persone
Giovanni Battista ha proclamato le esigenze morali ed etiche di Dio.
Richiedeva la trasformazione etica di coloro che speravano di entrare nel regno di Dio (Matteo 3:2-8; 5:20). 

“Per la via della giustizia” indica che:
Giovanni predicava il messaggio di Dio 
Giovanni predicava la volontà di Dio su ciò che era giusto, ciò che riguardava il regno di Dio, e tutto ciò che è giusto nella relazione tra Dio e l’umanità.

Dio ha usato Giovanni, come precursore del Figlio di Dio con il suo ministero, per contribuire alla realizzazione della salvezza nella storia umana, l'imminenza del regno di Dio e quindi Gesù (cfr. Matteo 3:2-12; 11:11–12; Giovanni 1:23-34).

Quindi chi rifiutava Giovanni rifiutava Gesù.

(2) Il primo figlio è colpevole d’incredulità (v. 32)
Leggiamo ancora il v.32: “Poiché Giovanni è venuto a voi per la via della giustizia, e voi non gli avete creduto; ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto; e voi, che avete visto questo, non vi siete pentiti neppure dopo per credere a lui”.

Come già detto prima, il primo figlio che aveva detto al padre che andava e poi non è andato, rappresenta i capi sacerdoti e gli anziani del popolo (v.23).

Questi leader, avevano la reputazione di essere i servi di Dio, mentre non facevano veramente la Sua volontà, erano ipocriti, e come in questo caso respingevano l’inviato di Dio, il Messia: Gesù, e il Suo araldo, il profeta Giovanni Battista.

Quindi ciò che vediamo nel primo figlio, cioè nei leader era che:
(a)Non credevano
Nel v.32 per due volte Gesù rimprovera i capi sacerdoti e gli anziani perché non hanno creduto a Giovanni Battista, ed è implicito che non hanno creduto nemmeno a Lui.

Noi leggiamo: “E voi non gli avete creduto; ma i pubblicani e le prostitute gli hanno creduto; e voi, che avete visto questo, non vi siete pentiti neppure dopo per credere a lui”.

I capi religiosi e gli anziani respinsero Giovanni (Matteo 3:7–10; 21:25), non credettero alla sua predicazione, ma molti tra i pubblicani e la folla credettero e furono battezzati da Giovanni (Matteo 3:5-6; Luca 3:7–15). 

“Credere” (pisteuō) indica avere fede, essere convinto, confidare.

Indica il considerare qualcosa essere vera e quindi degna di fiducia.

Questa parola (pisteuō) spesso indica ricevere il messaggio di Gesù, credere in Lui come il Figlio di Dio, e attraverso l'opera dello Spirito, sottomettersi alla Sua volontà salvifica (Marco 1:15; Giovanni 1:12; 3:16; 6:29; Atti 4: 4; 10:43; 1 Corinzi 1:21; Galati 3:22; 1 Timoteo 3:16; 1 Giovanni 3:23).

La fede è importante per Dio, senza fede non possiamo piacergli (Ebrei 11:6).

Il predicatore e scrittore Adoniram Judson Gordon (1836–1895), mentre viaggiava su un treno, entrò in discussione con un altro passeggero sul tema della giustificazione per fede. L'uomo disse al dottor Gordon: “Te lo dico, Dio ha a che fare con gli uomini, non con un certificato teologico chiamato fede; e quando l'Onnipotente ammette uno in paradiso, fa una rigida indagine sulla persona e non sulla sua fede”. Subito dopo arrivò il controllore ed esaminò i biglietti. Quando fu passato, il dottor Gordon disse: “Hai mai notato come il controllore guarda sempre il biglietto e non si preoccupa affatto di ispezionare il passeggero? Un biglietto ferroviario, se autentico, indica che la persona che lo presenta ha rispettato le condizioni della compagnia e ha diritto al trasporto. La fede dà diritto a un uomo a quella grazia salvifica che da sola è in grado di rendere una persona gradita a Dio. Dio si preoccupa del carattere; ma ‘senza fede è impossibile piacere a Dio’".

Gesù riprende i leader perché:
(b)Non cambiavano
“E voi, che avete visto questo, non vi siete pentiti neppure dopo per credere a lui” (v.32).

Nonostante videro che la feccia della società, secondo il loro modo di vedere, si battezzò in vista del battesimo con lo Spirito Santo del Messia, nonostante furono cambiati dal messaggio di Giovanni, i capi sacerdoti e gli anziani del popolo, non hanno cambiato idea e non hanno accolto Gesù!

Così non solo non credettero al messaggio di Giovanni quando lo ascoltarono, non credettero nemmeno quando videro la vita trasformata degli esattori delle tasse e delle prostitute che avevano creduto.

Il cambiamento dei pubblicani e dei peccatori, era sufficiente a convincerli.

Se avessero creduto in Giovanni, avrebbero accettato anche Gesù!

La connessione tra Giovanni Battista e Gesù è tale che chi rifiuta Giovanni rifiuta Gesù.

Questi capi non furono convinti né dalla verità del messaggio né dal suo potere di trasformare i peccatori.

Nonostante stavano alla presenza della luce del profeta di Dio e poi ancora alla presenza della luce più grande del Figlio di Dio, si pentirono e non credettero!! 

Avevano sentito il messaggio dell'araldo del Re dei re e il messaggio del Re stesso, eppure non si sono pentiti e non hanno creduto!!

Avevano assistito alla potenza del Battista e del Messia, eppure non c’è stato nessun cambiamento in loro!

“Vi siete pentiti” (metemelēthēte) è cambiare idea su qualcosa, con la probabile conseguenza del rimpianto.

In questo contesto, non è tanto il pentimento dei peccati, se lo è, si riferisce al pentimento della loro incredulità.

Il pentimento è a cambiare idea riguardo a ciò che era Giovanni, cioè l’araldo del Signore e a ciò che ha predicato: il ravvedimento e Gesù Cristo, e di conseguenza gli avrebbero creduto! 

La fede dei pubblicani e delle prostitute era un esempio da seguire, ma quei capi sacerdoti e anziani lo ignorarono.

Questi leader avevano molte prove che avrebbero dovuto convincerli ad accettare Giovanni e a credere al suo messaggio, ma non lo fecero. 

L'incredulità di questi capi era così forte che nessuna quantità di prove li avrebbe convinti a credere. 

La stessa cosa avviene anche oggi!
Molte persone preferiscono credere a tante altre cose che in Gesù Cristo!

CONCLUSIONE 
Nessuno dei due figli della storia era il tipo di figlio di cui un padre potesse essere contento, ma certamente colui che alla fine obbedì, era migliore dell'altro. 

Arland J. Hultgren scrive: “La parabola presenta tratti allegorici. Qui, come altrove (21:37; 22:2; Luca 11:11; 15:11), il padre è metafora per Dio e la vigna per Israele (come anche Isaia 5:1,7; Matteo 21:33-43). Ciascuno dei figli è metafora di chi ubbidisce e di chi disubbidisce in Israele”.

Questa parabola ci dice che ci sono due tipi di persone: coloro che disobbediscono e coloro che obbediscono!
E quello che è importante è l’obbedienza!

Il punto di Gesù in questa parabola è: fare è più importante del semplice dire!

Le promesse di consacrazione senza realizzazione, non valgono nulla!

Le belle parole non sostituiscono mai le buone azioni!

Fare la volontà del Padre, per Gesù, è più di una semplice questione di parole, è sempre una questione di fatti! (per esempio Matteo 7:21-27; 25:31-46; 28:20).

Una cosa è dire che uno fa, o farà la volontà di Dio, è un'altra cosa è effettivamente farlo. 

Le parole da sole non significano nulla.

Quali sono allora gli insegnamenti di questa parabola?
1)Dio è la nostra autorità
Sotto forma di comando noi vediamo che un uomo dice al primo figlio, e poi al secondo di andare a lavorare nella vigna in quel giorno.

I padri, secondo il modello biblico hanno autorità sui figli (per esempio Proverbi 6:20; Efesini 6:1-3).
Ma molti ai nostri giorni sembrano aver dimenticato questo fatto, come anche il fatto che Dio è la nostra autorità a cui noi dobbiamo obbedire (per esempio Esodo 20:1-17; Deuteronomio 4:40; 12:28; 1 Pietro 1:14; 1 Giovanni 3:21-22).

Ma come oggi il modello biblico della famiglia è sotto attacco, così la società rifiuta Dio come Padre a cui obbedire!

Le persone di questo mondo non amano Dio e nemmeno osservare i Suoi comandamenti, anzi li disprezzano. 

L'uomo vuole vivere la propria vita e ha detto a Dio di non interferire. 

Ma è un errore rovinoso ignorare l'autorità di Dio.

2)Questa parabola ci ricorda a non essere ipocriti!
Non si compie la volontà di Dio solo con le parole, dobbiamo agire.

Questa parabola ci ricorda a praticare, e non solo a parlare!
Ci ricorda a obbedire a Dio!

Fare la volontà di Dio, obbedire, è l'unica cosa necessaria (cfr. 1 Samuele 15:22; Matteo 7:21-27; 25:31-46; 28:20; Giovanni 15:14; Atti 5:29).

Questa parabola ci ricorda che non dobbiamo cullarci sul fatto che abbiamo ricevuto da Dio la conoscenza della Sua verità, che ne siamo custodi e amministratori, ma se non la pratichiamo, siamo ipocriti!

Il primo figlio chiamò il padre: “Signore”, ma questo rispetto, che non va mai oltre le parole è una cosa totalmente illusoria. 
Il vero rispetto è l'obbedienza!

3)Inoltre questa parabola avverte oggi i cristiani a non pensare che hanno una posizione giusta davanti a Dio e di presumere che certi grandi peccatori incalliti non possano cambiare!

A volte si ritiene che ci sono certe persone da una condotta deplorevole e ripugnante che non meritano il perdono di Dio!

Gesù in questa parabola ci fa capire che la grazia di Dio è grande e non ha ostacoli!


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