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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

Matteo 22:1-13: La parabola delle nozze

Matteo 22:1-13: La parabola delle nozze
Questa è una parabola di avvertimento.
Gesù si trova a Gerusalemme, in quella che è la settimana della sua passione (Matteo 21:1-13,18-26,46); si trova nel tempio dove risponde alle domande dei capi dei sacerdoti e degli anziani (Matteo 21:23,45-46).

In questo contesto racconta tre parabole sul regno di Dio, questa è l’ultima (Matteo 21:28-22:14).

Come le altre due parabole, anche questa è fortemente allegorica.

Queste parabole sono indirizzate proprio ai responsabili del popolo: ai capi sacerdoti e farisei (Matteo 21:45-46), e forse anche agli anziani (cfr. Matteo 21:23) che hanno sfidato l’autorità di Gesù, si sono opposti e sono stati increduli verso di Lui.


In questa parabola vediamo:
I IL BANCHETTO DI NOZZE PRONTO PER GLI INVITATI (vv.2-7) 
Il v.2 dice: “Il regno dei cieli è simile a un re, il quale fece le nozze di suo figlio”.  

Noi vediamo nello specifico che la parabola riguarda il regno dei cieli.

Il paragone con il regno dei cieli è con un re che ha organizzato una festa di nozze per suo figlio.

“Regno” (Basileia) significa, in primo luogo, l'autorità di governare di un re, e in secondo luogo il regno, cioè un’area, dove ci sono delle persone sottomesse a un re, un’area governata, o su cui un re esercita tale autorità (Matteo 4:8; 12:25, 26; 24: 7; Marco 3:24; 6:23; 13: 8; Luca 4: 5; 11: 17, 18; 21:10). 

Gesù specifica e limita il regno di cui sta parlando: “Dei cieli” (tōn ouranōn).
“Il regno dei cieli" è un linguaggio semitico, dove “cieli” è un sostituto del nome di Dio (per esempio Luca 15:18).

Così “Il regno dei cieli” si riferisce al regno di Dio (confronta per esempio Marco 1:15 con Matteo 4:17; Marco 10:14 con Matteo 19:14; Matteo 19:23–24).

“Il regno dei cieli” si riferisce a un regno su questa terra, nel presente (Matteo 13:41, 47; 20:1; Luca 17:21), oppure nella sfera dove Dio governa, quindi entrare in questo regno (Luca 18:24). 

Il regno di Dio è una benedizione attuale per coloro che sono stati liberati dal potere delle tenebre al regno di Cristo (Romani 14:17; 1 Corinzi 4:20; Colossesi 1:13; Efesini 5:5).

Chi vive nel peccato non entrerà nel regno di Dio, ma solo chi è stato lavato, santificato e giustificato nel nome del Signore Gesù Cristo e mediante lo Spirito di Dio (1 Corinzi 6:9,10; 15:50; Galati 5:21; 1 Tessalonicesi 2:12; 2 Tessalonicesi 1:5).

Al tempo di Gesù, gli ebrei credevano in due epoche completamente diverse: l'età attuale della peccaminosità governata da Satana e l'età a venire, quando Dio avrebbe distrutto il male una volta per tutte. 

Nei Vangeli, in Gesù, l’età futura del Regno di Dio ha già invaso questa età presente (Matteo 3: 2; 4:17; Marco 1:15); il Regno è presente ora in Gesù (Luca 11:20) e garantito dallo Spirito Santo (2 Corinzi 1:22), ma in futuro sarà completamente realizzato quando Cristo ritornerà e scaccerà definitivamente il male!! (cfr. Matteo 8:11; Marco 14:25; Luca 13: 28–29; Apocalisse 20:9-15; 21:8; 22:15).
Quindi, il Regno di Dio è nella persona di Gesù e nel Suo ministero (Matteo 12:28; Luca 11:20; 17:21). 

Nelle azioni di Gesù, il regno di Dio ha invaso questo mondo, è presente fra gli uomini. 

Benché la venuta del regno resta futuro, Dio lo manifesta nella persona e ministero di Suo Figlio nel presente. 

Il Figlio è già presente tra il popolo del Patto e attraverso di Lui, l'atto sovrano di Dio nel redimere il Suo popolo è iniziato. 

Con questa parabola, Gesù vuole sottolineare che per fare parte del regno di Dio, ci deve essere la Sua chiamata e bisogna anche rispondere idoneamente a questa.

“Le nozze” (gamous) in questa parabola è un tema centrale, si trova per ben otto volte (vv.2,3,4,8,9,10,11,12).

Si riferisce a una cerimonia pubblica associata all'ingresso in una relazione matrimoniale; era la celebrazione del matrimonio, una cerimonia festiva di nozze con un banchetto (cfr.vv.10-11).

Gesù partecipava alle nozze e in una di queste, fece il miracolo dell’acqua in vino (Giovanni 2:1-11).

Se il re, rappresenta Dio, ancora una volta, come nella parabola precedente, il figlio rappresenta Gesù.

Il figlio del re è il Messia, paragonato appunto a uno sposo (Matteo 9:15; 25:1; Giovanni 3:29).

Il rapporto intimo di Gesù con la Sua chiesa è illustrato come marito e moglie (2 Corinzi 11:2; Efesini 5:26-27; Apocalisse 21:2; 22:17). 

Ci saranno le nozze dell’Agnello alla fine dei tempi (Isaia 25:6; 62:1–5; Matteo 8:10–12; 9:15; 15:26–27; 26:26–29; Luca 13:29; Apocalisse 19:7,9).

Dunque, lo sfondo è sicuramente il banchetto messianico.
Gesù ha in mente questo.

Partecipare alle nozze rappresenta il privilegio di far parte del regno dei cieli.

Il banchetto di nozze descrive le benedizioni dell'epoca a venire, e la comunione che il Messia avrà con il suo popolo alla fine dei tempi. 

Ma consideriamo:
A) L’invito del re
(1) Il re mandò i suoi servi agli invitati (v.3)
Nel v.3 leggiamo: “Mandò i suoi servi a chiamare gli invitati alle nozze; ma questi non vollero venire”.

Era abbastanza comune per re, o per i  personaggi importanti, organizzare banchetti nuziali per figli, banchetti abbastanza costosi, o stravaganti.

Questo re, mandò i suoi servi a chiamare quelli che aveva invitato (keklēmenois - perfetto passivo participio) per la festa di nozze con lo scopo di farli venire alla festa delle nozze.

“Servi” (doulos) si riferisce agli schiavi, a quelle persone che sono completamente sotto il controllo di qualcuno. 

Uno schiavo è uno che ha una relazione permanente di servitù con l'altro, la sua volontà viene completamente consumata nella volontà dell'altro (Matteo 8: 9; 20:27; 24:45, 46). 

Lo schiavo apparteneva completamente a un altro!

Comportava l'abrogazione della propria autonomia e la subordinazione della propria volontà a quella di un'altra.

Schiavo è il contrario di uomo libero (eleútheros - 1 Corinzi 7:21; Galati 3: 28; Colossesi 3:11; Apocalisse 6:15). 

Chi sono i servi?
Se il re rappresenta Dio (per esempio Salmo 10:16-18; Isaia 6:5; Matteo 6:10; 1 Timoteo 6:15-16), i servi sono coloro che lo servono, coloro che Dio invia come è stato Mosè (Giosuè 1:1; Apocalisse 15:3), Giosuè (Giosuè 24:29), o i profeti (Geremia 7:25; Apocalisse 10:7; 11:18); i discepoli e i ministri di Cristo (Efesini 6:6; 2 Timoteo 2:24); specialmente applicato agli Apostoli (Romani 1: 1; Galati 1:10; 2 Pietro 1:1; Giuda 1:1). 

In questo senso i servi di Dio sono coloro che hanno messo se stessi completamente a disposizione di Dio nel servirlo! (Altri passi Luca 2:29; Atti 2:18; 4:29; 16:17; Tito 1:1; 1 Pietro 2:16; Giacomo 1:1)

È probabile che Gesù abbia in mente in modo particolare i profeti dell’Antico Testamento che non furono ascoltati e alcuni furono anche uccisi (2 Cronache 36:15-16; Geremia 7:25; 25:4; Matteo 5:10-12; 23:29-31).

(2) Il rifiuto degli invitati (v.3)
“Ma questi non vollero venire”.
Il loro scopo non coincideva con lo scopo del re: “Questi non vollero venire”.

“Non vollero” (ēthelon -imperfetto attivo indicativo) indica non volere in modo determinato, cioè furono risoluti a prendere questa decisione; preferirono  e rifiutarono categoricamente, ostinatamente e costantemente l’invito del re ad andare alle nozze.

È un atteggiamento inflessibile!

“Non vollero” (imperfetto) enfatizza la riluttanza ripetuta, allude alla mancanza di risposta di Israele all'invito ripetuto del re, quindi di Dio.

Dunque, non era una questione di intelletto; quelle persone, come anche oggi, rifiutano Dio perché così vogliono!

“Venire” (érchomai – aoristo attivo infinito) indica che questi individui non hanno fatto quell’unica scelta che secondo il re dovevano fare: partecipare alle nozze del figlio.

È stato un insulto deliberato, che per il re era una cosa vergognosa, ed era quindi normale che si sarebbe arrabbiato.

Dobbiamo pensare che in quel tipo di società, con questo tipo d’invito, la presenza era praticamente un obbligo; a maggior ragione se questi erano subordinati e stabiliti dal re, persone piuttosto importanti, che erano incaricate di attuare le sue politiche nelle loro sfere di influenza. 

La maleducazione come quella di rifiutare l’invito, non sarebbe mai stata diretta verso un re, o a un uomo di grande potere nella comunità; ignorare l'invito di un re significava avere una severa punizione.
Questi primi invitati, ci ricordano Israele, è il suo rifiuto, ci ricordano i ripetuti approcci dei profeti dell’Antico Testamento a un Israele ribelle (cfr. 2 Cronache 36:15-16; Matteo 21:34-36).

B) L’insistenza del re (vv.4-6)
Nei vv. 4-6 leggiamo: “Mandò una seconda volta altri servi, dicendo: "Dite agli invitati: Io ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono ammazzati; tutto è pronto; venite alle nozze". Ma quelli, non curandosene, se ne andarono, chi al suo campo, chi al suo commercio; altri poi, presero i suoi servi, li maltrattarono e li uccisero”.

Allora:
(1) Il re mandò altri servi (v.4)
Nel v. 4 leggiamo: “Mandò una seconda volta altri servi”.

Se i primi servi potrebbero riferirsi ai profeti dell’Antico Testamento, questi secondi servi potrebbero riferirsi ai profeti come Giovanni Battista, o Gesù stesso, o gli apostoli di Gesù, profeti e altri predicatori del Nuovo Testamento.

Ancora una volta il re pazientemente manda altri servi agli invitati, come nella parabola precedente (Matteo 21:34–36) 
per rinnovare l'invito.

Il re da loro un'altra possibilità di cambiare idea, dopo il primo rifiuto, oppure il secondo rifiuto come ha interpretato qualcuno.

Infatti, il mandare due volte i servi era comune nel mondo antico in questi casi, poiché i preparativi elaborati richiesti significavano che all'inizio non si poteva dare una data precisa. 

Dunque, il primo invito serviva per informarli e prepararli alla festa di nozze, e il secondo per dare il giorno giusto, cioè quando la festa era già pronta; questo secondo invito per alcuni studiosi sarebbe stato il terzo invito.

Gli invitati avevano avuto del tempo per essere adeguatamente preparati per la festa delle nozze.

Il fatto che ci sia una seconda, o terza chiamata più specifica, ci fa capire quanto il re (Dio) abbia già fatto per gli invitati ribelli (Israele), e ci fa capire quanto grave sia il rifiuto degli invitati, questo altro rifiuto non faceva altro che aumentare la loro condanna.

(a) Il comando per i servi (v.4)
Il v. 4 dice: "Dite agli invitati: Io ho preparato il mio pranzo; i miei buoi e i miei animali ingrassati sono ammazzati; tutto è pronto; venite alle nozze".
Il testo greco, come traducono la Diodati, la Bibbia della Conferenza Episcopale Italiana e La San Paolo, c’è: “Ecco!” (idou) prima di “Io ho preparato il mio pranzo”.

Il senso è: “Ascolta, presta attenzione"

”Ecco!” esprime un’emozione enfatica ed è detto per attirare l’attenzione.

È un invito a una maggiore considerazione e contemplazione, a ricordare, a considerare le parole che seguiranno, quindi ciò che diranno i servi devono essere particolarmente annotate.

Questa volta ai servi viene chiesto di indicare in dettaglio la natura e la prontezza dei preparativi che sono stati fatti. 

"Un nuovo appello fu misericordiosamente dato con nuove grazie e nuovi gradi di rivelazione" (Williams).

Sicuramente questo avrebbe dovuto invogliare gli invitati a venire, ma non prestarono attenzione.

I servi dovevano dire (dite – eipate - aoristo attivo imperativo) agli invitati (keklēmenois - perfetto passivo participio) che il banchetto (áriston) era preparato (hētoimaka- perfetto attivo indicativo): i buoi e gli animali ingrassati erano stati macellati.

La menzione di questo tipo di banchetto, sottolinea la natura sontuosa della festa, questi animali erano riservati per gli ospiti speciali. 

Una festa così sontuosa ricorderebbe agli ascoltatori il banchetto messianico (Isaia 25:6).

(b) Il comando per gli invitati (v.4)
Ancora nel v.4 leggiamo: “Tutto è pronto; venite alle nozze".

Tutto era pronto, agli invitati è comandato di venire (venite - aoristo attivo imperativo) alla festa di nozze.

(2) La reazione degli invitati (v.5)
Non solo sono stati maleducati, ma anche indifferenti e violenti.

Infatti vediamo la loro:
(a) Indifferenza (v.5)
Nel v.5 leggiamo: ”Ma quelli, non curandosene, se ne andarono, chi al suo campo, chi al suo commercio”. 

“Non curandosene” (amelēsantes – aoristo attivo participio) significa non pensare a qualcosa e quindi non rispondere in modo appropriato.

Indica “trascurare”, “ignorare”, “non preoccuparsene”, “non curare”, “essere indifferenti”, “incuranti”. 

Non solo furono indifferenti all’invito del re, ma se ne andarono apēlthon – aoristo attivo indicativo) in un’altra direzione, ognuno alla propria attività, specificando dove: chi al proprio campo e chi al suo commercio.

Gli invitati, risposero con indifferenza, misero prima del re, il loro lavoro agricolo, e altri il loro lavoro commerciale, queste due categorie, riassumono, o rappresentano tutte le diverse professioni.

Questi caratterizzano la reazione di rifiuto e apatia del popolo ebraico a Gesù.
La stessa cosa avviene ancora oggi: Dio invita le persone alla salvezza, e la gente risponde andando in un’altra direzione, risponde alla chiamata di Dio con indifferenza mettendo prima di Lui altre priorità!

Vediamo la loro:
(b) Violenza (v.6)
Nel v.6 leggiamo: “Altri poi, presero i suoi servi, li maltrattarono e li uccisero”.

Trascurare un invito a una festa di matrimonio è una grave scortesia e la loro reazione mostra disprezzo.

Addirittura altri invitati, afferrarono (kratēsantes – aoristo attivo participio) i suoi servi.

La stessa parola è usata altrove per descrivere l'arresto del Battista (Matteo 14:3) e di Gesù (Matteo 26:48; cfr. Matteo 21:46), ma non si fermarono qui, li maltrattarono (hybrisan – aoristo attivo indicativo), cioè li hanno trattati in modo arrogante e irrispettoso fino a ucciderli!

Come nell'Antico Testamento quando ci furono profeti di Dio che furono uccisi, da Iezebel (1 Re 18:13). 

Giovanni Battista fu respinto e decapitato (Matteo 14:1-12), Gesù fu rigettato e crocifisso (Matteo 26-27:50), e gli apostoli e i profeti furono respinti e perseguitati, molti furono messi a morte come Stefano (Atti 7:59-60) e Giacomo (Atti 12:1-2).

Questi invitati, non avevano rispetto per il re e nemmeno paura di lui!

Chi avrebbe reagito così davanti all’invito di un re?

L'idea stessa è assurda! Fu una grande offesa!

Gesù voleva mostrare con l’esempio dei servi mandati, la storia di Dio con il Suo popolo, Israele, che ha mandato i Suoi profeti e poi sotto il nuovo patto altri profeti, Gesù e i discepoli di Gesù, e come loro hanno reagito, come li hanno trattati!

Troviamo allora:
C) L’ira del re (v.7)
Di conseguenza al loro comportamento irrispettoso, il re reagì con ira!

Nel v.7 leggiamo: “Allora il re si adirò, mandò le sue truppe a sterminare quegli omicidi e a bruciare la loro città”.

“Si adirò” (ōrgisthē – aoristo passivo indicativo) è “essere pieno di rabbia”, “essere furioso”.

L’ira è un attributo di Dio, una manifestazione della sua giustizia (Salmo 7:11; 119:137; 129:4; Lamentazioni 1:18; Romani 1:18; Apocalisse 16:5:7; 19:2); santità (Esodo 34:6-7; 1 Re 9:3-7; 2 Cronache 7:16-20; Salmi 5:4-6; 11:5-7; 15; 33:5; 95:10;Abacuc 1:13; Romani 1:18); e gelosia (Esodo 20:3-6; 34:12-14; Numeri 25:3; Deuteronomio 29: 25-27; Giudici 2:14,20; Isaia 42:8; Isaia 48:11).

Il re:
(a) Fece sterminare gli omicidi (v.7)
Nella sua ira, il re “mandò le sue truppe a sterminare quegli omicidi”.

“Truppe” (strateumata – nome plurale neutro), è un gruppo di soldati ben equipaggiati per affrontare queste persone e città ribelli, per sterminare quegli omicidi.

L’ira del re e la sua forte risposta rappresentano l'ira di Dio futura nel “giorno del Signore” 
(per esempio Amos 5:18–27; Gioele 3:14-17; Matteo 24:15-51; 2 Tessalonicesi 1:5–10). 

Questi invitati pensavano che potevano fare quello che volevano, che il re prendesse alla leggera un simile comportamento irrispettoso e superficiale!

Ed è la stessa cosa che avviene oggi: molte persone sono irrispettose nei riguardi di Dio, e vedono strano come un Dio di amore possa essere anche un Dio che punisce!

Il re:
(b) Fece bruciare la loro città (v. 7)
Nella sua ira, il re “mandò le sue truppe a sterminare quegli omicidi e a bruciare la loro città”.
Secondo alcuni è un riferimento alla distruzione di Gerusalemme nel 70 d.C., da parte dei Romani, con un milione di Giudei morti; in questo senso l’uso da parte di Dio dei Romani come strumenti di giudizio non è diverso dai precedenti ruoli degli Assiri, Babilonesi e Persiani anni prima (2 Cronache 36:22; Isaia 10:5–1; 44:28; 45:1; Daniele 1:2; 2:37; Abacuc 1:6).

Mentre per altri studiosi è il giudizio finale di Dio, la fine dei tempi (Isaia 25:6–8; Ezechiele 39:17–24; Rivelazione 19:17–21).

Nel secondo punto di questa parabola troviamo:
II IL BANCHETTO DI NOZZE PER I NUOVI INVITATI (vv.8-10)
Dai vv.8-10 leggiamo: “Quindi disse ai suoi servi: "Le nozze sono pronte, ma gli invitati non ne erano degni.  Andate dunque ai crocicchi delle strade e chiamate alle nozze quanti troverete".   E quei servi, usciti per le strade, radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni; e la sala delle nozze fu piena di commensali”.

Prima di tutto vediamo:
A) La dichiarazione del re (v.8) 
Nel v. 8 leggiamo: “Quindi disse ai suoi servi: "Le nozze sono pronte, ma gli invitati non ne erano degni”.

In questa dichiarazione il re dice qualcosa di importante: la festa del matrimonio è pronta, ma gli invitati che hanno rifiutato di andare alla festa non erano (ēsan - imperfetto attivo indicativo), degni (axioi), cioè meritevoli, o appropriati, di valore simile, adatti all’invito, degni del re che li ha invitati!

C’è:
B) La decisione del re (v.9)
Il v.9 dice: “Andate dunque ai crocicchi delle strade e chiamate alle nozze quanti troverete”.

Il re ordina ai suoi servi di andare agli incroci e d’invitare alle nozze quanti (hosous) ne avrebbero trovati, cioè chiunque sia, comprende qualsiasi tipo di persona e qualsiasi numero di persone.

Perché il re ordina ai suoi servi di andare ai crocicchi? 

Perché i “crocicchi” (diexodous) erano le intersezioni principali della città, oppure quelle zone in cui una strada attraversava il confine della città e usciva in aperta campagna; in questi incroci potevano trovare tante persone comuni.

Questi nuovi invitati si riferisce alla missione universale in Matteo e quindi anche ai Gentili, tutti i popoli (Matteo 28:19).

Paolo riportando le parole di Osea (2:23; 1:10) riguardo la chiamata dei Gentili, in Romani 9:25-26 dice: “Così egli dice appunto in Osea: ‘Io chiamerò -mio popolo- quello che non era mio popolo e – amata - quella che non era amata’;   e ‘avverrà che nel luogo dov'era stato detto: ‘Voi non siete mio popolo, là saranno chiamati - figli del Dio vivente -‘”.

A causa della caduta e del rifiuto dei Giudei, la salvezza, secondo il piano di Dio, è arrivata ai Gentili, cioè a tutte le nazioni (Atti 13:46; Romani 11:11; cfr. Luca 24:47; Giovanni 10:16; Romani 10:12-13; 1 Corinzi 7:19; Galati 3:9, 29; Efesini 2:14,18; Filippesi 3:2; Colossesi 3:11).

La chiesa cristiana è multiculturale, multicolore, multilingue, multietnica!

Infine vediamo:
III IL BANCHETTO DI NOZZE CON UN INVITATO INAPPROPRIATO (vv.10-13)
Nei vv.10-13 leggiamo: “E quei servi, usciti per le strade, radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni; e la sala delle nozze fu piena di commensali. Ora il re entrò per vedere quelli che erano a tavola e notò là un uomo che non aveva l'abito di nozze.  E gli disse: ‘Amico, come sei entrato qui senza avere un abito di nozze?’ E costui rimase con la bocca chiusa.  Allora il re disse ai servitori: ‘Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti’”.

I servi usciti per le strade, radunarono tutti quelli che trovarono, cattivi e buoni.
“Radunarono” (sunēgagon – aoristo attivo indicativo) si riferisce alla missione nel mondo. 

“Radunarono” si riferisce al "raduno" delle moltitudini che rispondono all'invito del regno, unendo tutto il genere umano attraverso il Vangelo (cfr. Apocalisse 5:9; 7:9; 14:6; cfr. 21:24, 26). 

In Matteo 3:12; 13:30 questa parola (sunágō) è usata per raccogliere insieme il grano alla raccolta della fine dei tempi, alla salvezza e in 13:47 per raccogliere tutto il pesce al giudizio finale. 
Ha lo stesso senso qui.

Viene specificato, per attirare maggiormente l’attenzione, coloro che i servi trovarono furono: “Cattivi e buoni”, questo si riferisce a gente di diverso genere nel senso morale, o spirituale.

“Cattivi” (ponērós) si riferisce al malvagio, malizioso, corrotto, degenerato (Matteo 5:39,45; 7:11; 12:39, 45; 13:49; 16:4; Luca 11:29; 1 Corinzi 5:13; 2 Timoteo 3:13), immorale (cfr. traduzione dei Settanta Genesi 6:5; Abacuc 1:13).

Sembrerebbe dalla parabola, che il re, quindi Dio, fosse disperato nell’invitare altri ospiti, ma non è così, perché ciò che Gesù vuole sottolineare è la generosità di Dio anche verso chi non è meritevole come i pubblicani e i peccatori (Matteo 9:10-13; 21:31-32) e i Gentili (Matteo 8:10–12). 

Questo punto della parabola allora ci parla dell'iniziativa divina e non sulla risposta umana, quindi agli invitati sostitutivi viene assegnato un ruolo totalmente passivo.

Nell'applicazione, questo significa che Dio accetta le persone che la classe dirigente ebraica considerava totalmente inaccettabili.

Mentre “buoni” (agathous)si riferisce a un elevato standard di valore e merito, bene.

Si riferisce a un buon carattere, persone rette, virtuose, moralmente positive (Matteo 5:45; 12:35;19:16; 25:21, 23; Luca 6:45; 19:17; 23:50; Giovanni 7:12; Atti 11:24; cfr. Settanta 2 Cronache 21:13; Proverbi 13:2).

Così la sala delle nozze fu piena di commensali, persone cattive e buone.

Come c’erano persone immorali, tra gli ebrei, c'erano quelli che temevano Dio sinceramente e vivevano vite rette esemplari, che amavano il prossimo, che dicevano la verità, che non bestemmiavano, che non rubavano, che non commettevano adulterio, e nemmeno omicidio. 

Consideriamo:
A) L’attenzione del re (v.11)
Nel v.11 è scritto: “Ora il re entrò per vedere quelli che erano a tavola e notò là un uomo che non aveva l'abito di nozze”.

Il re entrò nella sala delle nozze con lo scopo di vedere (theasasthai – aoristo medio infinitivo), cioè di osservare, guardare attentamente, esaminare, ispezionare i commensali e notò (eiden – aoristo attivo indicativo) che c’era un uomo che non aveva l’abito di nozze.

In un matrimonio la maggior parte delle persone indossavano abiti adeguati.
In mezzo a queste persone vi erano dei poveri che non avevano un abito, ed è probabile che il re abbia messo a disposizione degli abiti adatti che quest’uomo non ha messo, non ha approfittato dell’opportunità (cfr. Genesi 45:22; Giudici 14:12,19; 2 Re 5:22; 10:22; Ester 6:8; 8:15; Apocalisse 19: 8-9). 

Trench dice: "In Oriente, quando i re o i grandi personaggi si divertivano, erano soliti presentare agli ospiti abiti costosi" 

Dunque, il re ha messo a disposizione gli abiti per gli invitati, e non indossarli significava mostrare grande disprezzo e mancanza di rispetto per lui. 

All’epoca i sovrani impiegavano persino delle spie per assicurarsi che gli invitati osservassero l'etichetta corretta durante tali feste e punissero severamente coloro che non la rispettavano.

Così com’era vestito, quell’uomo non era accettabile, era obbligatorio che gli invitati avessero vestiti puliti e adatti a un matrimonio.

Il punto di Gesù è che un invitato ha insultato il re non preoccupandosi di pulire, o avere un abito adatto alla festa.

L’abito di nozze rappresenta le persone che sono salvate dai loro peccati e lo dimostrano con un comportamento giusto, è il frutto della vita cristiana.

L'abito di nozze rappresenta la salvezza, la giustizia che Cristo imputa a coloro che hanno fede in Lui e si pentono dei loro peccati (per esempio Matteo 3:2; 4:17; Romani 3:23-26; 2 Corinzi 5:21; cfr. Salmo 132:16; Isaia 61:10; Ezechiele 16:10; Zaccaria 3:3–5; Apocalisse 3:4–5; 19:7-8), e lo dimostrano con un comportamento giusto, secondo la volontà di Dio (per esempio Matteo 5:6,10,20; 6:33; 7:21-23; Romani 6:1-14; Filippesi 1:11; Apocalisse 19:8-9).

L'uomo senza la giustificazione di Gesù Cristo, non parteciperà alla festa delle nozze di Gesù Cristo e chi è giustificato lo dimostrerà con il comportamento!

B) L’interrogazione del re (v.12)
Nel v.12 è scritto: “E gli disse: ‘Amico, come sei entrato qui senza avere un abito di nozze?’ E costui rimase con la bocca chiusa”.

“Come” (pṓs) è enfatico.
Il re chiede all’uomo com’è entrato nel luogo della festa senza aver un abito di nozze, ma l’uomo non ha saputo rispondere, rimase in silenzio!

Il fatto che non disse nulla, significa che non aveva buone scuse per non essere vestito in modo appropriato, sa di essere colpevole.

Quest’uomo sapeva che avrebbe potuto avere i vestiti giusti, ma aveva rifiutato di indossarli.

Era stato assolutamente sconsiderato e presuntuoso, pensando di poter venire alla festa del re alle sue condizioni, con qualsiasi vestito desiderasse. 

In modo arrogante aveva sfidato il protocollo reale, e lo aveva così insultato.

Alla domanda del re, rimase in silenzio!

Ed è quello che avverrà agli uomini e alle donne che muoiono senza Cristo nei loro peccati, quando saranno alla presenza di Dio, non avranno niente da dirgli!
Il peccatore non avrà scuse intelligenti, non avrà niente da dire, non potrà giustificarsi davanti il giudizio di Dio, la Sua legge ci condanna!

Romani 3:19 dice: “Or noi sappiamo che tutto quel che la legge dice, lo dice a quelli che sono sotto la legge, affinché sia chiusa ogni bocca e tutto il mondo sia riconosciuto colpevole di fronte a Dio”.

Nello spirito di questa parabola, i credenti dovrebbero spesso chiedersi: "Come sono entrato qui?" O "Sto indossando l'abito di nozze?”

Senza il giusto abito, non possiamo partecipare alle nozze di Gesù Cristo!

Gesù ci libera dalla condanna della legge e quindi di Dio! (Romani 8:1-4; 31-34).

C) La reazione del re (v.13)
Nel v.13 è scritto: “Allora il re disse ai servitori: ‘Legatelo mani e piedi e gettatelo nelle tenebre di fuori. Lì sarà il pianto e lo stridor dei denti’”.

Questo versetto ci parla del giudizio finale di Dio.

Il re disse ai suoi servitori (diakonois), cioè a coloro che stavano servendo nel banchetto (cfr. Giovanni 2:5,9), di legare l’intruso mani e piedi e di gettarlo nelle tenebre fuori dove ci sarà il pianto e lo stridor di denti.

“Legatelo mani e piedi” si riferisce al servizio degli angeli che servono Dio in favore di quelli che devono ereditare la salvezza, che legheranno le zizzanie per bruciarle e il grano per metterlo nel “granaio” del Signore (Matteo 13:30; Ebrei 1:14).

“Legatelo mani e piedi” indica che il peccatore non sarà più libero di fare ciò che vuole.

“Nelle tenebre di fuori” (eis to skótos to exōteron) è un’espressione che indica la scomoda sistemazione di coloro che sono giudicati. 

È un modo di dire che indica un luogo che è sia oscuro che lontano dalla dimora dei giusti e che funge da dimora di spiriti malvagi e demoni (cfr. Apocalisse 20:7-10).

“Il pianto” (ho klauthmos) si riferisce al pianto, o lamento con enfasi sul rumore che accompagna il pianto.

Mentre “stridor di denti” (kai brugmos tōn odontōn) è il digrignare i denti indica sia il dolore per la sofferenza che si avrà all’inferno, o un’espressione di rabbia.

L'immagine delle “tenebre di fuori” con “pianto e stridor di denti” è usata frequentemente in Matteo per l'eterna punizione (Matteo 8:12; 13:42,50; 24:51; 25:30), parallelamente all’immagine di “Geenna” (per esempio Matteo 5:22,29) descrive l’isolamento, tormento e dolore per il giudizio eterno.

J.I. Packer: “Il secolarismo sentimentale della moderna cultura occidentale, con il suo esaltato ottimismo sulla natura umana, la sua ristretta idea di Dio e il suo scetticismo sul fatto che la moralità personale sia davvero importante - in altre parole, il suo decadimento della coscienza - rende difficile per i cristiani prendere la realtà dell'inferno sul serio. La rivelazione dell'inferno nella Scrittura presuppone una profondità di comprensione della santità divina e del peccato umano e demoniaco che molti di noi non hanno. Tuttavia, la dottrina dell'inferno appare nel Nuovo Testamento come un essenziale cristiano, e siamo chiamati a cercare di capirla come fecero Gesù e i suoi apostoli”.

Nessuno dirà barzellette all'inferno!
L'inferno non è un posto divertevole, o confortevole, è un luogo di agonia!

Nessuna agonia sarà maggiore e sarà per sempre (Marco 9:43-44; Apocalisse 14:10-11; 20:10,15).

Così l’inferno ci parla dell'ira santa e giusta di Dio, il fuoco consumante (Ebrei 12:29), è la sua giusta condanna per averlo sfidato, per essersi ribellati a Lui!

È terribile cadere nelle mani di Dio (Ebrei 10:26-31), per essere giudicati nell’agonia eterna, all’inferno dove non ci sarà più tutto ciò che è prezioso, piacevole e utile (cfr. Romani 2:6,8–9, 12).
CONCLUSIONE
Quello che abbiamo visto è che Dio salva secondo le Sue condizioni e non le nostre!

Siamo salvati solo attraverso la giustizia di Gesù Cristo che viene imputata al peccatore che crede e si pente.
Non ci sono altri modi!

Henry Smith dice: “Cristo nasconde la nostra iniquità con la sua giustizia, copre la nostra disobbedienza con la sua obbedienza, ombreggia la nostra morte con la sua morte, che l'ira di Dio non può trovarci”.

Se non hai il vestito della giustificazione di Gesù Cristo, non hai la salvezza dal peccato e dall’ira di Dio! (per esempio Matteo 1:21; Romani 5:1-11).

Non fai parte del regno di Dio! Non parteciperai alle nozze di Gesù Cristo!
Andrai all’inferno!

Perciò vai da Gesù, pentendoti dei tuoi peccati, confessandoli a Dio e credendo che è morto e risorto per te! (per esempio Atti 3:19-21; 20:21; Romani 4:23-25; 1 Giovanni 1:8-10).

Se hai la certezza che il Signore ti ha salvato, allora ringrazia Dio nel nome di Gesù, sii riconoscente e riposati nel conforto che starai per sempre alla Sua presenza (per esempio Giovanni 14:1-3; Filippesi 3:20-21; Apocalisse 20:11-21:4)

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