Filippesi 3:20: L’appartenenza differente
Come cristiani, cosa ci rende diversi dalle persone di questo mondo?
È la nostra appartenenza: la nostra cittadinanza è nei cieli!
I veri cristiani hanno prospettive migliori di chiunque altro: la certezza di andare in cielo perché la loro cittadinanza è nei cieli!!
Questa certezza influenza e determina il loro comportamento, cioè vivono sulla terra secondo la loro cittadinanza celeste!
Se sei un vero cristiano ti sei scontrato diverse volte con le persone di questo mondo sui valori, sulla visione, sull’etica, e ti sei sentito a volte scoraggiato, o frustrato, o non accettato a causa della tua identità in Cristo.
Lo scontro di culture, visioni e comportamenti tra il Regno di Dio e il regno di questo mondo può essere demoralizzante per noi credenti, ma questo conflitto è un segno che la nostra cittadinanza è nei cieli, prova il nostro rapporto con Gesù Cristo.
Il mondo ama ciò che è suo, e tu come discepolo di Gesù Cristo, non fai più parte del mondo (cfr. per esempio Giovanni 15:19).
Cominciamo a vedere:
I LA CAUSA
Nel v.20 leggiamo: “Quanto a noi, la nostra cittadinanza è nei cieli”.
“Quanto” nel greco (gar) indica la causa, il motivo, la ragione, spiega quanto detto prima di Paolo.
Paolo prima aveva esortato a essere suoi imitatori, di seguire il suo modello, il suo esempio di vita e di altri suoi collaboratori (v.17), probabilmente si riferisce a uomini come Timoteo, Sila, Epafròdito e altri leader noti alla chiesa di Filippi, che a loro volta seguivano l’esempio per eccellenza di Gesù Cristo! (cfr. per esempio Matteo 11:29; Giovanni 13:13-17; 1 Giovanni 2:6).
Dobbiamo seguire l’esempio di coloro che sono radicati nella Parola di Dio e ne sono conformi, che seguono la verità di Dio, e l’esempio di Gesù!
Il modello è importante perché influenza coloro che lo seguiranno.
Al British Museum è esposta una tavoletta di scrittura greca, precedente all'era cristiana. È l'equivalente di un quaderno didattico per bambini. Il titolo è stato scritto dal maestro. Lo studente ha tracciato il secondo con lo sguardo rivolto al primo; ma il seguito di ogni riga è una riproduzione, non della prima scrittura, ma dell'ultima. Di conseguenza, ogni riga mostra una maggiore divergenza dal modello rispetto alla precedente.
Non è forse questa una causa della mancanza di santificazione per come vuole Dio?
Ci imitiamo l'un l'altro, o riproduciamo le nostre familiari imperfezioni, invece di seguire l’Esempio per eccellenza: Gesù Cristo?
Le ragioni per seguire l’esempio di Paolo e dei suoi collaboratori sono due: perché ci sono molti che camminano da nemici della croce di Cristo che hanno l’animo alle cose della terra la fine dei quali è la perdizione (vv.18-19), e il secondo motivo è perché la cittadinanza dei cristiani è in cielo.
E questo allo stesso tempo offre un forte contrasto tra i veri credenti e i nemici della croce sia per il loro stile di vita e sia per il loro destino (vv.18-19).
Paolo sta gettando le basi teologiche per l'etica; i credenti sono già cittadini del cielo grazie alla giustizia di Dio in Cristo (Filippesi 3:7-14) e quindi dovrebbero vivere quella cittadinanza di conseguenza!
Quindi come veri cristiani non imiteremo il comportamento dei nemici della croce che hanno una mentalità terrena, ma avremo una vita Cristocentrica, imiteremo il modello di Paolo di vivere una vita che gira attorno a Cristo, una vita di umiltà, di abnegazione, di giustizia e di servizio sacrificale, mentre aspettiamo che Gesù ritorni e completi la nostra redenzione trasformando i nostri corpi come il Suo.
Questo ci porta a considerare:
II LA CONTRAPPOSIZIONE
“La nostra cittadinanza” (v.20).
Nella frase in greco “nostra” (hēmōn) è nella posizione enfatica per evidenziare il contrasto che Paolo stava facendo con i nemici della croce che hanno uno status, una mentalità terrena e un destino distruttivo e coloro che hanno una mentalità celeste che hanno una cittadinanza in cielo, cioè i cristiani.
Infatti leggiamo nei vv.18-19: “Perché molti camminano da nemici della croce di Cristo (ve l'ho detto spesso e ve lo dico anche ora piangendo), la fine dei quali è la perdizione; il loro dio è il ventre e la loro gloria è in ciò che torna a loro vergogna; gente che ha l'animo alle cose della terra”.
Consideriamo prima di tutto:
A) L’identità
Non c’è unanimità tra gli studiosi nell’identificare chi sono i nemici.
Alcuni studiosi pensano che siano cristiani professanti presenti alcuni nella chiesa di Filippi, o di altre chiese.
Oppure erano giudaizzanti, cioè cristiani che hanno mantenuto credenze, riti, norme di vita caratteristiche del giudaismo.
Ancora un altro punto di vista è che erano giudei non cristiani che stavano cercando di fare convertiti; le loro vite non erano moralmente malvagie, ma la loro dipendenza dalla legge mosaica li rendeva oppositori della salvezza per fede in Cristo.
Comunque, chi fossero, erano nemici della croce!
Anche se si professavano di essere cristiani, le loro vite sconfessavano il significato della morte di Cristo, cioè di tutto ciò che la croce rappresenta, o si opponevano alla croce.
Vediamo ora:
B) La peculiarità
Prima di tutto vediamo la loro:
(1) Inimicizia con la croce di Cristo
“Perché molti camminano da nemici della croce di Cristo” (v.18).
Se gli amici della croce sono coloro che mostrano nella loro vita di aver fatto proprio lo spirito della croce, cioè quello dell’abnegazione, della rinuncia di se stessi, del peccato e del mondo (cfr. per esempio Matteo 20:28; Luca 9: 23; Romani 15:3; Galatti 5:16-23; 6:14; Filippesi 2:5-8), allora i nemici della croce sono quelli che manifestano l'atteggiamento opposto!
Sthephen Olford diceva: “Il vecchio principio era ‘non Cristo, ma io’, il nuovo principio è ‘non io, ma Cristo’”.
L’amico della croce è colui che è morto a se stesso!
Paolo in Galati 2:20 scrive: “Sono stato crocifisso con Cristo: non sono più io che vivo, ma Cristo vive in me! La vita che vivo ora nella carne, la vivo nella fede nel Figlio di Dio il quale mi ha amato e ha dato se stesso per me”.
Mentre il nemico della croce è colui che preferisce una vita egocentrica, idolatrica, immorale, licenziosa.
La loro inimicizia alla croce, consisteva nella loro continua pratica del peccato, nella loro incapacità di comprendere che la croce era destinata a fornire la santificazione, e nel loro conseguente fallimento nell'abbandonare il peccato.
Sono sempre le persone senza legge e immorali che rifiutano di prendere la croce e seguire il Signore Gesù!
La croce, non è solo l'essenza dell'esperienza cristiana, ma una risposta efficace alla sfida all’immoralità e all’illegalità contro Dio!
Vediamo un’altra peculiarità:
(2) L’idolatria
Un’altra caratteristica di questi nemici della croce è l’idolatria del cibo, i piaceri della tavola come indicato da: “Il loro dio è il ventre”.
Oppure questo si riferisce all’idolatria dei desideri della carne; quindi “ventre”, in questo passo non è diverso dall'uso da parte di Paolo di "carne", nel suo senso etico di natura e comportamento peccaminoso (cfr. per esempio Romani 6:19; 7:5; 8:3–9,12–13; 13:14; 2 Corinzi 7:1; Galati 5:13–19, 24; 6:8; Efesini 2,3; Filippesi 3:3–4).
Il senso potrebbe essere:“L'unica cosa che adorano è ciò che essi stessi vogliono per i loro corpi”, o “la loro unica vera preoccupazione è per ciò che i loro corpi desiderano”.
Paolo condanna così gli avversari che si sono arresi alla gola e alla licenziosità, cioè che adoravano la loro natura sensuale, si sono dati ai loro impulsi egocentrici e carnali.
Paolo ha in vista coloro che mettono se stessi, i loro piaceri al posto di Dio!
Il loro dio sono i loro desideri carnali!
Stephen Olford parlando di queste persone, diceva che erano seguaci di Epicuro, la cui scuola filosofica greca insegnava che lo scopo più alto dell'uomo era quello di soddisfare i suoi appetiti sensuali.
Questo insegnamento ha avuto un'influenza molto negativa sulla vita della chiesa, ed è un pericolo anche per noi oggi.
Nella peculiarità infine troviamo:
(3) L’inclinazione
Per aggiungere enfasi, Paolo descrive queste persone dicendo ancora che è “gente che ha l'animo alle cose della terra”, vale a dire che il loro atteggiamento mentale, la loro disposizione interiore, i loro desideri e obbiettivi sono tutti concentrati, focalizzati verso la terra, e quindi alla mondanità, che Dio non approva (cfr. Giacomo 4:4; 1 Giovanni 2:15).
Gli amici della croce non amano il mondo; infatti, il mondo è crocifisso per loro, e loro per il mondo, e questo perché si gloriano nella croce (cfr. Galati 6:14).
I nemici della croce invece amano il mondo e le cose che sono nel mondo, cioè ciò che è contrario alla volontà di Dio (1 Giovanni 2:15).
Avere una mentalità terrena e mondana significa rifiutarsi di sottomettersi a Cristo come Signore!
I nemici della croce non sono sottomessi a Gesù Cristo!
Paolo esorta i cristiani di Colosse dicendogli: “Se dunque siete stati risuscitati con Cristo, cercate le cose di lassù, dove Cristo è seduto alla destra di Dio. Aspirate alle cose di lassù, non a quelle che sono sulla terra (Colossesi 3:1-2).
E sempre in Colossesi 3:5 è scritto: “Fate dunque morire ciò che in voi è terreno: fornicazione, impurità, passioni, desideri cattivi e cupidigia che è idolatria”.
Se abbiamo sperimentato un'unione spirituale con la morte e la resurrezione di Cristo, dobbiamo cercare e aspirare alle cose del cielo!
Dobbiamo far morire ciò che in noi è terreno: i peccati!
Se sei stato davvero risuscitato con Cristo, non puoi vivere per questo mondo e secondo questo mondo, perché non è più la tua casa; ti sei trasferito a un nuovo indirizzo, quello celeste, e le tue vedute sono state innalzate!
Quindi, c’è un contrasto tra cielo e terra, questo ha un significato etico.
Il cristiano vedrà tutto nella luce e con lo sfondo dell'eternità, cercherà di condursi secondo le realtà celesti, divine, non vivrà più come se le cose di questo mondo fossero più importanti perché per lui le cose del cielo sono le più importanti!
Paolo dice che se noi siamo risuscitati con Cristo, abbiamo sperimentato un cambiamento radicale che dovrebbe ripercuotersi su tutto il nostro modo di vivere.
Se siamo risorti con Cristo, ci muoviamo in una sfera nuova, con nuovi scopi.
“Cercare” (zētéō) significa cercare qualcosa con il desiderio di possederla, mentre “aspirare” (phronéō) indica tenere la mente fissa, fissare i nostri pensieri alle cose celesti, possiamo dire avere un chiodo fisso per il cielo.
Significa pensare sempre alle cose del cielo e aspirare a queste.
Significa concentrare i nostri desideri, i nostri pensieri, la nostra attenzione sul regno celeste in modo tale da perseguire gli obiettivi celesti, le mete spirituali.
Quindi abbiamo visto la loro identità, la loro peculiarità, vediamo ora la loro:
C) Calamità
Nel v.19 Paolo afferma: “La fine dei quali è la perdizione”.
“Fine” (telos) indica il risultato di un evento, o di un processo (cfr. per esempio Matteo 26:58; Romani 6:21).
Qualcuno ha detto: “Il destino non è una questione di fortuna; è una questione di scelte”.
Da ciò che scegliamo di fare saranno le nostre azioni e le conseguenze! (cfr. per esempio Deuteronomio Romani 2:6-11; 14:10-12).
“La fine” non è la cessazione dell’esistenza, ma la questione e il destino della linea d'azione dei nemici della croce, e implica la disperazione e l'irrimediabilità della loro condizione.
La fine dei nemici della croce, di quelli che si sono dati ai loro impulsi egocentrici e carnali, di quelli che hanno l’animo alle cose terrene, il risultato inevitabile della loro condotta sarà la perdizione, la punizione eterna (cfr. per esempio Matteo 7:13; 2 Pietro 3:7; Apocalisse 17:8,11), l'opposto della salvezza (cfr. per esempio 1 Corinzi 1:18; 2 Corinzi 2:15; Filippesi 1:28).
Ancora Paolo dice:”E la loro gloria è in ciò che torna a loro vergogna”.
È stato interpretato in due modi, o che si vantano di cose vergognose, il senso potrebbe essere: “Sono orgogliosi di quello che fanno, ma dovrebbero vergognarsi di quello che fanno”.
Oppure la loro gloria (doxa) è il loro onore, prestigio, oppure ironicamente “gloria eterna” (2 Corinzi 4.17; 1 Pietro 5:10) sarà la “vergogna” (aischynē), vale a dire il destino di coloro che sono respinti al giudizio finale!
La gloria di Dio si manifesterà nel giudizio finale, ma essi saranno coperti di vergogna (cfr. per esempio Marco 8:38; Luca 9:26; cfr. Ebrei 2:11); il risultato finale di questa "gloria" sarà la vergogna della fine dei tempi per sempre!
Consideriamo ora infine:
III LA CITTADINANZA
Nel v.20 è scritto:”Cittadinanza è nei cieli”.
Paolo specifica che i cristiani hanno la cittadinanza nei cieli.
Prima di tutto vediamo:
A) La conformità
La parola “cittadinanza” (politeuma) si riferisce a un corpo di persone politicamente organizzato sotto un unico governo; soprattutto come luogo in cui hanno la propria cittadinanza.
Paolo si riferisce allo status, ai privilegi, ai diritti e alla lealtà che derivano dall'essere un cittadino di un luogo particolare.
Il significato è quello di una città di nascita che ha registrato i cittadini sui suoi registri.
L'idea, quindi, è che il cielo è dove si trova la vera patria dei veri cristiani e sulla terra, sono stranieri, lontani dalla loro vera patria, quella celeste.
La vera patria dei credenti è nei cieli ed è lì che essi hanno la loro cittadinanza definitiva per l’eternità!!
Il termine greco “cittadinanza” (politeuma) è legato al verbo che ha usato Paolo in Filippesi 1:27: "Comportatevi in modo degno” (politeuesthe-presente medio, o passivo imperativo), e significa vivere secondo i doveri civici del proprio stato, o corpo politico, ma qui è del vangelo di Cristo.
“Cittadinanza", allora è un termine attivo e dinamico, che influenza, determina, potenzia e regola i suoi cittadini.
Così Paolo li stava chiamando a vivere la loro cittadinanza dei cieli sulla terra in un modo degno del vangelo.
Ora, “cittadinanza” richiama alla mente l'implicito contrasto della cittadinanza romana.
Quando Paolo scrisse le sue lettere, Roma era la conquistatrice e il suo impero era diffuso nel mondo mediterraneo; la Macedonia era sotto il suo dominio.
La città Macedone di Filippi era stata designata colonia romana ed era stata insignita dello “Ius italicum, la "legge italiana", il più alto privilegio giuridico che si potesse avere.
Nel 42 a.C., circa cento anni prima che Paolo giungesse nella zona, Filippi fu teatro di una delle grandi battaglie della guerra civile romana scoppiata dopo la morte di Giulio Cesare.
I due generali vittoriosi, Antonio e Ottaviano (il futuro imperatore Augusto), si erano trovati con molti soldati nel nord della Grecia senza più nulla da fare. Certamente non volevano riportarli tutti a Roma, o anche in Italia, sarebbe stato pericoloso avere migliaia di soldati che arrivano improvvisamente nella capitale. Così gli diedero dei terreni a Filippi e nei dintorni, rendendola una colonia di Roma.
Una volta stabilita la colonia, altri veterani di altre battaglie si unirono a loro. Quando Paolo vi andò, Filippi conteneva un certo numero di famiglie che discendevano da quei coloni romani, così come diverse persone locali che avevano beneficiato della presenza romana.
I coloni di Filippi erano orgogliosi di essere romani, e avrebbero fatto del loro meglio per ordinare la loro vita civile in modo che corrispondesse al modo in cui le cose venivano fatte a Roma.
Il compito del cittadino romano in un luogo come Filippi, era di portare la cultura romana e il dominio nella Grecia settentrionale, per espandere l'influenza romana in quella zona.
Quindi i Filippesi erano orgogliosi che erano cittadini di Roma e di vivere secondo il diritto romano piuttosto che secondo l'usanza locale.
Così, Paolo voleva ricordare ai credenti di Filippi che la loro vera cittadinanza definitiva non era quella di Roma e di Cesare, ma del cielo e del Signore Gesù Cristo!
Senza minimizzare i privilegi e i diritti della cittadinanza romana, o di qualsiasi cittadinanza terrena, Paolo vuole che i cristiani, si concentrino sulla loro ultima cittadinanza, quella dei cieli; che il loro orientamento fosse verso le cose celesti e non verso le cose terrene.
Di conseguenza, i loro atteggiamenti e comportamenti dovevano essere determinati dalle caratteristiche e dal potere dinamico del regno a cui appartenevano, non quelli di Roma con uno stile di vita pagano!
I cittadini delle colonie romane vivevano come romani: si vestivano da romani, parlavano la lingua romana, vivevano secondo le leggi di Roma, si dedicavano ai piaceri romani e agli affari sociali e adoravano gli dèi romani.
Ma Paolo ricorda ai cristiani di Filippi e anche a noi oggi che, benché viviamo su questa terra, nella nostra città, stato e continente, dobbiamo ricordare che siamo cittadini di un altro luogo: abbiamo la cittadinanza nei cieli!
E questa cittadinanza celeste deve determinare e deve determinare i nostri valori, desideri, obbiettivi, atteggiamenti e comportamenti.
La cittadinanza dei cieli porta con sé diritti e privilegi, ma anche obblighi e responsabilità, il vivere conformemente secondo le sue leggi.
Ogni cristiano è tenuto a "vivere come un cittadino" (politeuomai), cioè, secondo le leggi e lo spirito della cittadinanza celeste!
Proprio come ci si aspettava che i cittadini di una colonia romana promuovessero gli interessi della loro città madre e ne mantenessero la dignità, così i cittadini del cielo in un ambiente terreno dovrebbero rappresentare gli interessi della loro vera patria e condurre una vita degna della loro cittadinanza.
I Filippesi devono vivere la loro cittadinanza celeste nel contesto della Filippi romanizzata secondo il vangelo piuttosto che le norme della vita Romana! Questo è lo scopo di queste parole di Paolo.
E così anche per noi tutti oggi come cittadini del cielo dobbiamo vivere secondo il vangelo e non le norme, i comportamenti, la filosofia di questo mondo, inteso come valori contrari alla volontà di Dio!
Il punto allora è che la cittadinanza dei cristiani non è su questa terra, siamo stranieri e pellegrini (Salmo 119:19; Ebrei 11:13; 1 Pietro 2:11), la nostra cittadinanza è in cielo e dovremmo agire di conseguenza.
Il nostro atteggiamento, se siamo cristiani, sarà determinato dalla natura della cittadinanza dei cieli a cui apparteniamo.
William Hendriksen scriveva: “In un senso molto più sublime e reale questi cristiani che abitano a Filippi devono rendersi conto che la loro patria o comunità ha il suo posto stabilito in cielo. È il cielo che li ha fatti nascere, perché sono nati dall'alto. I loro nomi sono scritti nel registro del cielo. Le loro vite sono governate dal cielo e secondo le norme celesti. I loro diritti sono assicurati in cielo. I loro interessi sono promossi lì. Al cielo salgono i loro pensieri e le loro preghiere e le loro speranze aspirano. Molti dei loro amici, membri della fratellanza, sono là già adesso, ed essi stessi, i cittadini del regno celeste che sono ancora sulla terra, li seguiranno presto. Sì, in cielo li aspetta la loro eredità. Le loro dimore celesti vengono preparate. Vedi passi come Giovanni 3:3; 14:1-4; Romani 8:17; Efesini 2:6; Colossesi 3:1-3; Ebrei 4:14-16; 6:19, 20; 7:25; 12:22-24; 1 Pietro 1:4, 5; Apocalisse 7:9-17. Sì, la Gerusalemme che è in alto è la loro madre (Galati 4:26). Essi sono concittadini dei santi e della casa di Dio (Efesini 2:19). Su questa terra sono stranieri e pellegrini (Ebrei 11:13; 1 Pietro 2:11). ‘Essi desiderano un paese migliore, cioè un paese celeste. Perciò Dio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio, perché ha preparato per loro una città’ (Ebrei 11:16). Soprattutto, nel cielo abita il loro Capo, ed essi sono il Corpo; così infinitamente vicina è la loro relazione con il cielo! E questo Capo è, in effetti, il Salvatore. Infatti, egli è l'unico, il vero Salvatore, che viene di nuovo per liberarli da tutti i loro nemici e per attirarli il più vicino possibile al suo proprio petto”.
Paolo nelle sue lettere, spesso collega la speranza della fine dei tempi con il comportamento etico (Romani 13:11–12; 1 Corinzi 15:54–58; 1 Tessalonicesi 5:4–6).
Anche Giovanni collega la speranza di ciò che saremo al ritorno di Gesù alla santificazione dei cristiani, in Giovanni 3:2-3 leggiamo: “Carissimi, ora siamo figli di Dio, ma non è stato ancora manifestato ciò che saremo. Sappiamo che quando egli sarà manifestato saremo simili a lui, perché lo vedremo com'egli è. E chiunque ha questa speranza in lui, si purifica com'egli è puro”.
Allo stesso modo Pietro, dice: “Poiché dunque tutte queste cose devono dissolversi, quali non dovete essere voi, per santità di condotta e per pietà, mentre attendete e affrettate la venuta del giorno di Dio, in cui i cieli infuocati si dissolveranno e gli elementi infiammati si scioglieranno! Ma, secondo la sua promessa, noi aspettiamo nuovi cieli e nuova terra, nei quali abiti la giustizia.
Perciò, carissimi, aspettando queste cose, fate in modo di essere trovati da lui immacolati e irreprensibili nella pace” (2 Pietro 3:11-14).
Quindi anche se viviamo nella nostra Filippi, siamo cittadini del cielo ed è secondo questa cittadinanza che dobbiamo vivere!
Una vita molto diversa dai nemici della croce di Cristo.
La nostra vita dovrebbe riflettere dove apparterremo definitivamente: il cielo!
Siamo stranieri residenti temporanei qui sulla terra! La nostra residenza definitiva è in cielo!
Dobbiamo separarci dal mondo e dalla sua influenza malvagia, ponendo gli occhi sul cielo!
Dobbiamo considerare questo mondo solo come una casa temporanea, non come una dimora permanente.
Questo dovrebbe aiutarci a concentrarci sulla nostra cittadinanza celeste e ad allontanarci dalle cose di questa terra che alla fine passeranno.
Infine vediamo meglio:
B) La realtà
“È nei cieli” (v.20).
Il verbo “è” (huparchei - presente attivo indicativo), indica che “esiste davvero”, “è presente”, enfatizza qualcosa che è "veramente lì", che “è reale”.
Il punto di Paolo è:la cittadinanza esiste già ora e in questo presente i cristiani sono cittadini del cielo! Ne parla con certezza!
Pur vivendo su questa terra, i credenti hanno ora la cittadinanza nei cieli!
Paolo sta parlando di uno stato presente, che un credente è attualmente e continuamente un cittadino del cielo!
Oggi il cristiano, in Cristo, è seduto nei luoghi celesti! (Efesini 2:6).
L’enfatico "cieli" (ouranois) è la dimora trascendente di Dio (cfr. per esempio Matteo 5:34, 45, 48); dove sono gli angeli beati (cfr. per esempio Marco 13:27); da dove Cristo discese (cfr. per esempio Giovanni 3:13, 31; 6:32, 33,38); dove dopo la Sua risurrezione e ascensione è andato e si trova alla destra di Dio (cfr. per esempio Giovanni Efesini 1:20; Colossesi 3:1; Ebrei 8:1), e intercede in nostro favore (cfr. per esempio Giovanni Ebrei 9:24); da dove ritornerà (cfr. per esempio Giovanni Filippesi 3:20, 1 Tessalonicesi 1:10), dove la ricompensa e la speranza è riservata ai cristiani (cfr. per esempio Giovanni Matteo 5:12; Colossesi 1:5; 1 Pietro 1:4),
I discepoli si devono rallegrare perché i loro nomi sono scritti nei cieli e non per il successo nel ministero, perché gli spiriti gli sono sottoposti (Luca 10:20).
Il cielo è un luogo stabilito e finale per i veri credenti.
Quindi, la condizione terrena non lo è in senso assoluto! Lo è il cielo!
E questo è possibile solo per la giustizia che viene da Dio in Cristo per fede come dice Paolo sempre in questo capitolo (Filippesi 3:7-9).
A proposito Walter G. Hansen scrive: “La nostra cittadinanza in cielo non si basa su un pio desiderio, o sull'immaginazione di possibilità future, ma sulla giustizia che viene da Dio. La giustizia che viene da Dio significa che per decisione giudiziaria di Dio apparteniamo alla comunità celeste”.
CONCLUSIONE
Cosa possiamo dire, o fare sapendo che come credenti abbiamo una cittadinanza definitiva nei cieli per la sola grazia di Dio in Cristo?
Prima di tutto dobbiamo ringraziare Dio!
Secondariamente dobbiamo comportarci su questa terra come stranieri e pellegrini, come coloro che sono di passaggio e che rispecchiano le caratteristiche della cittadinanza celeste!
Concludo con una testimonianza storica di un ignoto scrittore cristiano del II secolo che sviluppò il pensiero dell'apostolo Paolo in un passo memorabile.
Nell'epistola a Diogneto descrive così il vero carattere e la condotta cristiana, una parte di questo scritto dice: "I cristiani non si differenziano dagli altri uomini né per territorio, né per il modo di parlare, né per la foggia dei loro vestiti. Infatti non abitano in città particolari, non usano qualche strano linguaggio, e non adottano uno speciale modo di vivere. Questa dottrina che essi seguono non l’hanno inventata loro in seguito a riflessione e ricerca di uomini che amavano le novità, né essi si appoggiano, come certuni, su un sistema filosofico umano.
Risiedono poi in città sia greche che barbare, così come capita, e pur seguendo nel modo di vestirsi, nel modo di mangiare e nel resto della vita i costumi del luogo, si propongono una forma di vita meravigliosa e, come tutti hanno ammesso, incredibile. Abitano ognuno nella propria patria, ma come fossero stranieri; rispettano e adempiono tutti i doveri dei cittadini, e si sobbarcano tutti gli oneri come fossero stranieri; ogni regione straniera è la loro patria, eppure ogni patria per essi è terra straniera. Come tutti gli altri uomini si sposano ed hanno figli, ma non ripudiano i loro bambini. Hanno in comune la mensa, ma non il letto.
Vivono nella carne, ma non secondo la carne. Vivono sulla terra, ma hanno la loro cittadinanza in cielo. Osservano le leggi stabilite ma, con il loro modo di vivere, sono al di sopra delle leggi. Amano tutti, e da tutti vengono perseguitati. Anche se non sono conosciuti, vengono condannati; sono condannati a morte, e da essa vengono vivificati. Sono poveri e rendono ricchi molti; sono sprovvisti di tutto, e trovano abbondanza in tutto. Vengono disprezzati e nei disprezzi trovano la loro gloria; sono colpiti nella fama e intanto viene resa testimonianza alla loro giustizia. Sono ingiuriati, e benedicono; sono trattati in modo oltraggioso, e ricambiano con l’onore. Quando fanno del bene vengono puniti come fossero malfattori; mentre sono puniti gioiscono come se si donasse loro la vita. I Giudei muovono a loro guerra come a gente straniera, e i pagani li perseguitano; ma coloro che li odiano non sanno dire la causa del loro odio”.
Se qualcuno dovesse scrivere una lettera su di te che cosa scriverebbero?