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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

Osea 2:2: Israele è chiamato al ravvedimento

 Osea 2:2: Israele è chiamato al ravvedimento
In Inghilterra, due donne stavano parlando dei loro mariti in un ristorante londinese alla moda, e mentre mostravano le foto dei loro mariti, si sono rese conto di aver sposato lo stesso uomo! 
L’uomo infedele, per questo motivo è stato arrestato e imprigionato per cinque anni.

La storia che troviamo in Osea, è anche la storia di infedeltà coniugale di sua moglie, Gomer, che illustra l’infedeltà d’Israele che segue i suoi vari amanti, divinità pagane Cananee (Baal).
 
In questo versetto, Israele è chiamato al ravvedimento dalle sue prostituzioni e adulteri spirituali con gli idoli.

Dal ristabilimento di Osea 1:10-2:1 si passa a scene di tensione, alienazione e rimprovero in Osea 2:2-13, per poi passare a un quadro estremamente positivo, quindi nuovamente di ristabilimento per il favore di Dio (Osea 2:14-23).

Osea 2:2-13 descrive il rapporto d’Israele con Dio, una relazione tumultuosa di una moglie infedele, con le sue infedeltà passate e presenti con i suoi amanti spirituali (Baal), infedeltà rappresentata tra Gomer, moglie del profeta Osea e Osea stesso.

Prima il Signore espone la Sua disapprovazione e giudizio per il comportamento infedele di Israele (Osea 2:2-5), al quale si richiede un cambiamento nella prospettiva e nel comportamento personale, un ravvedimento.

Poi avverte dell'azione che deve necessariamente intraprendere contro di lei se persiste nella sua infedeltà (Osea 2:6-13). 

Noi, in questo versetto vediamo il comando, la causa e il cambiamento.

Consideriamo:
I IL COMANDO (v.2) 
“Contestate vostra madre, contestatela!” (v.2). 
Le parole sono pronunciate dal Signore per bocca di Osea e indirizzate ai figli. 
Per due volte i figli di Osea sono chiamati a contestare la loro madre, la moglie di Osea (Gomer).

La madre indica la generazione presente e i figli coloro che le succederanno; con questo punto di vista possiamo confrontare le osservazioni sui figli di Osea nel capitolo 1 (vedi Osea 1:6).

Oppure la madre rappresenta il popolo di Israele nel suo insieme, i figli i suoi singoli cittadini che sono esortati a riportare il loro prossimo alla rettitudine. 


Così se i figli rappresentano i singoli cittadini d’Israele, e anche la loro madre rappresenta Israele, abbiamo qui un dialogo in corso all'interno della comunità del patto, una parte che contesta un'altra.

Prima di tutto vediamo:
A) La varietà delle interpretazioni 
L’imperativo attivo “contestate” (rîbû – qal imperativo attivo) può significare litigate (cfr. per esempio Genesi 13:7–8; 26:20–21; Esodo 21:18), oppure rimproverate, accusate (Genesi 31:36; Esodo 17:2), o querelate, portate accuse legali (cfr. per esempio 1 Samuele 24:16; Salmo 119:154; Proverbi 25:8; Osea 4:4; Amos 7:4), oppure sporgete denuncia (Esodo 17:2; Numeri 20:3,13; Giudici 21:22; Neemia 5:7; 13:11,17).

Secondo alcuni studiosi, le parole di Osea sono tratte dal linguaggio legale nei procedimenti formali di divorzio; quindi secondo questa interpretazione, Dio sta parlando di un divorzio (cfr. Geremia 3:8; Deuteronomio 24:1; Matteo 19:7-8).

Secondo alcuni studiosi, anche se non è la stessa cosa di oggi, quindi, ci può essere l'immagine di un'aula di tribunale con pubblico ministero, giudice e testimoni con una pubblica rimostranza, o accusa che ci si aspettava di essere ascoltata e per cui si doveva agire, si trattava di una pubblica accusa, in un luogo pubblico (per esempio le porte cittadine - Esodo 23:1–3; Proverbi 18:17; 25:8–9) con possibilità di testimoni, confutazioni e giudizi. 

Dunque “contestate” si riferisce a contese e lotte che emergono nell'arena pubblica, dove la questione di giusto e sbagliato deve essere giudicata. 

Ma chi non è d’accordo con questa interpretazione, dice che i profeti altrove non considerano il Signore come divorziato dal Suo popolo, anzi dicono il contrario (cfr. per esempio Isaia 50:1). 

Quindi in questo passaggio non è in vista lo scioglimento irrevocabile del matrimonio, è vero c’è un linguaggio di denuncia, qualche elemento giudiziario, ma non un procedimento completo di divorzio, non ci sono prove sufficienti a riguardo.
Una nota legale è certamente presente, ma il quadro giuridico non è né rigido e né realistico.

Secondo il lessico teologico dell’Antico Testamento di Jenni E. & Westermann, C., questa parola si riferisce all'udienza di una controversia dinanzi al tribunale, può designare i singoli elementi della procedura giudiziaria, e non arrivano alla conclusione della procedura.

Vengono chiamati i figli a denunciare la madre (Gomer), a portare cause legali, per i suoi tradimenti, per le infedeltà al padre.

Colui che chiama alla contestazione, non si rivolge a colui che accusa o agli anziani della città, ma ai testimoni, cioè i figli; il che indica la profondità e la gravità del problema tra lui e sua moglie. 

L'idea dei figli che portano la madre davanti alle autorità capovolge le cose; la legge Mosaica parla solo di genitori che portano i loro figli adulti davanti alle autorità (per esempio Deuteronomio 21:18-21).

Il motivo per cui i figli devono avere questo atteggiamento nei riguardi della madre non viene detto.

Dearman J. A. a riguardo scrive: “Il motivo per cui i figli sono impiegati in questo ruolo non è noto. Forse fa parte di un meccanismo di vergogna, per cui i membri di una famiglia ne rappresentano l'onore e l'autore del reato viene umiliato da coloro che gli sono più vicini”. 

Ma ci sono altri studiosi che interpretano “contestate” solo con una lite familiare, i figli sono chiamati a rimproverare la madre per i suoi adulteri, e a farla ritornare al vincolo familiare.

Non tutte le accuse che si fanno, sono un'accusa di tribunale, il Signore per bocca di Osea, sta parlando metaforicamente; le persone spesso si accusano l'un l'altro di misfatti al di fuori dei tribunali.

Secondo questi studiosi, nessuna delle caratteristiche formali di un processo legale è presente; si tratta solo di un conflitto familiare.

Così non dobbiamo aspettarci che i figli abbiano letteralmente fatto un’azione legale, il linguaggio è solo retorico e metaforico, basato sulla funzione profetica dei nomi dei figli (cfr. Osea 1:6-9).

B) La validità di una interpretazione
L’interpretazione più valida è che “contestate” è un richiamo che porti la moglie, cioè Israele alla ragione e le risparmi un procedimento giudiziario e quindi la morte.

Anche se ci possa essere la contemplazione di un divorzio, non è ancora stato deciso, e quindi non siamo ancora “in un’aula di tribunale”, ma è minacciata.

Anche se si usa un linguaggio legale dell’accusa per un adulterio, la donna dovrebbe subire la pena prevista di questi casi, cioè la morte (Levitico 20:10; Deuteronomio 22:22), e prima che questo avvenga e che quindi il matrimonio continui, la donna, cioè Israele, deve abbandonare del tutto il suo comportamento peccaminoso.

Il linguaggio, allora, mira a far riflettere la moglie, quindi il popolo d’Israele, per farla ritornare su suoi passi, alla fedeltà al Signore, il desiderio è che Israele, cambi la sua infedeltà in fedeltà verso il Signore.
Quindi l’intento non è quello di ottenere subito il divorzio, ma che la moglie, Israele, lasci le sue prostituzioni e adulteri e si riconcili con il marito Osea, cioè con il Signore. 

La strada rimane aperta per il perdono!

Nel rapporto di patto rotto tra Israele e il Signore, poteva essere riparato perché il Signore ama Israele! 

È questa realtà teologica che trasforma il messaggio di condanna di Osea 2:4-15 nel messaggio di salvezza in Osea 2:16-25.

Quindi non si sta parlando di procedura giudiziaria, poiché il contesto riguarda più la correzione e la minaccia di punizione che un caso legale presente.

Osea non sta invitando i figli a testimoniare contro la madre in un processo vero e proprio giuridico; piuttosto, devono ripudiare il suo comportamento per farla riflettere e nello stesso tempo che possano riflettere anche loro riguardo il loro comportamento. 

Osea non li chiama a denunciare la madre, o a testimoniare formalmente in un processo, sta dicendo loro che devono distinguersi dalla madre per non subire il suo stesso destino.

Osea (Dio) cerca di coinvolgere il sostegno dei suoi figli per cercare di preservare il suo matrimonio e la sua famiglia.

In secondo luogo vediamo:
II LA CAUSA (v.2) 
Nel v. 2 leggiamo ancora:“Perché lei non è più mia moglie, e io non sono più suo marito!”
Questa formula è simile a Osea 1:9.
Israele si era allontanata dal suo obbligo, dalla sua fedeltà e dalla sua relazione fedele al patto con Dio.

Gli Israeliti credevano di essere il popolo di Dio solo perché erano Israeliti. 

Dio era legato con Israele con un patto (Esodo 19-30; Levitico 26-27; Deuteronomio 27-29), e pensava che la sua identità assicurasse un posto speciale davanti a Dio indipendentemente dal suo comportamento.

Questa era un grande ostacolo e un inganno, perché pensava che poteva fare ciò che voleva tanto era il popolo di Dio.  

Questo avviene anche oggi, infatti c’è chi pensa: “Sono un figlio di Dio, sono stato perdonato, posso peccare tanto la grazia di Dio sovrabbonda la dove c’è il peccato”.

Come vediamo in Osea, ma anche altrove nella Bibbia, Dio riprende questo ragionamento e ci richiama alla santificazione! (cfr. per esempio Romani 5:20-6:1-23; 2 Corinzi 6:14-7:1; 1 Pietro 1:13-21).

In Osea, dunque, il matrimonio e il patto ci parlano della relazione tra il Signore e Israele, e a entrambi richiedevano amore e fedeltà.

Ancora una volta in:“Perché lei non è più mia moglie, e io non sono più suo marito!” alcuni studiosi ci hanno visto una dichiarazione ufficiale di divorzio, o una minaccia di divorzio, quindi di possibilità, oppure una separazione momentanea.

Possiamo ancora affermare, come dicevamo prima, che il divorzio non è stato deciso, per esempio non si menziona un certificato di divorzio (Deuteronomio 24:1; Geremia 3:8; Isaia 50:1). 

Inoltre, non ci sono cittadini chiamati a testimoniare, non viene menzionato alcun contesto legale (tribunale) o giudice e nessuna sanzione viene applicata contro Gomer dalla comunità.

Altri studiosi pensano che non è tanto una dichiarazione ufficiale di divorzio, perché non ci sono prove certe a sostegno di questa interpretazione.

L’affermazione: “Perché lei non è più mia moglie, e io non sono più suo marito!”,
ammette apertamente l'ovvio, un dato di fatto: Gomer non si comporta come la moglie di Osea, quindi Osea non può comportarsi come suo marito.

Il senso è: “Non viviamo più insieme come marito e moglie”.

Coì anche per Israele, non si comporta da moglie fedele con il Signore!
Se lei non si comporta da moglie, spiega Osea, il risultato è: “Io non sono più suo marito”. 

Nuovamente, il motivo per cui il Signore mediante Osea parla in questo modo, è per far riflettere, la moglie, quindi Israele al ravvedimento, per far cessare la sua infedeltà, per un ristabilimento del rapporto, per un ritorno alla fedeltà (v.2).

Questo confronto ha lo scopo di trafiggere la coscienza di Gomer, cioè d’Israele e di riportarla a casa; quindi che Israele ritorni alla comunione con Dio.

Il desiderio del marito, quindi di Dio è che la moglie, cioè Israele, rimuova le sue pratiche peccaminose invece di essere allontana a causa di queste. 

Così le frasi del v.2 sono un tentativo misericordioso, ma doloroso di evitare la separazione piuttosto che di finalizzarla, di ripristinare la relazione tra Israele e il Signore.

Infine consideriamo:
III IL CAMBIAMENTO 
Il v.2 ci dice ancora: “Tolga dalla sua faccia le sue prostituzioni, e i suoi adulteri dal suo petto”.
Osea, quindi il Signore, si aspettava che la moglie, cioè Israele si ravvedesse (cfr. Isaia 1:5-6,16-20), che riconoscesse e denunciasse il suo comportamento per quello che era: apostata, crudele ed egoista in modo così da sfuggire alla condanna, e non che divorziasse veramente!

L'unica speranza di sfuggire al giudizio è che sua moglie rinunci alle sue infedeltà promiscue. 

Cosa significa “tolga dalla sua faccia le sue prostituzioni, e i suoi adulteri dal suo petto”?

Con “tolga” (tāsēr – hifil imperfetto giussivo attivo) Osea fa appello alla volontà di Gomer, cioè d’Israele, di rimuovere concretamente, di mettere da parte, di sbarazzarsi, di rigettare, di abbandonare, le prostituzioni e gli adulteri.

Può avere anche il senso di cambiare direzione rispetto a un corso, o a un sentiero (cfr. per esempio Esodo 3:3-4; 1 Samuele 12:27; Isaia 59:15).

“Dalla sua faccia e dal suo petto” indica i cosmetici, gli ornamenti preziosi, come anelli al naso, orecchini, e collane, o ciondoli sul petto, e l'abbigliamento (cfr. Proverbi 6:24–25; Geremia 3:3; 4:30; Ezechiele 23:40;) con cui si adornava una donna per sedurre, attirare gli amanti, e che usavano anche le prostitute con cui si distinguevano, ma è anche in riferimento alle pratiche di prostituzioni e degli adulteri.

Sono in mente allora, cosmetici, gioielli, vestiti, profumi, o qualcos’altro di tangibile per sedurre gli amanti (cfr. Osea 2:13).

Gomer, quindi Israele, doveva mettere da parte tutte le cose che spingevano, o alimentava le sue infedeltà.

Oppure la “faccia” suggerisce l’intento, la personalità e la sfrontatezza dello sguardo su una parte del corpo che è visibile a chiunque, mentre il “petto” si riferisce a una parte del corpo che è nascosta, ma entra in gioco in relazione al sesso (Cantico dei Cantici 1:13; Ezechiele 23:8), quindi rappresenta la sessualità.

È stato interpretato anche che questi segni identificativi si riferiscano al culto di fertilità idolatra di Baal, quindi a ornamenti sulla fronte e ad amuleti portati al collo, indossati in connessione con il culto di Baal (vv.16-17) che dovevano assicurare nella vita quotidiana l’effetto della solennità cultuale, allontanando ogni male.

I nomi plurali, “prostituzioni” e “adulteri”, quindi, potrebbero indicare i segni della prostituzione e dell’adulterio, oppure sono proprio gli atti sessuali, e quindi non sono un caso isolato.

La “prostituzione” (zenû·nîm) si riferisce all'atto sessuale illecito dato in cambio di oggetti di valore (cfr. per esempio Genesi 38:24; Ezechiele 23:11,29).

Figurativamente si riferisce anche all’idolatria, formalmente, una relazione illecita con una divinità pagana (2 Re 9:22; Osea 4:12; 5:4; Naum 3:4), ed era quello che stava praticando Israele.

“L'adulterio” (nǎ·ʾǎp̄û·p̄îm) sono i segni dell’adulterio, cioè gioielli oppure ornamenti indossati da una prostituta come comunicazione non verbale che è disponibile per un servizio illecito.

Ma viene da una parola (nāʾap̱) che presuppone che una delle persone sia sposata, quindi una violazione del vincolo matrimoniale sia di un uomo con una donna sposata e sia di una donna con un uomo sposato (cfr. per esempio Esodo 20:14; Levitico 18;20; 20:10; Proverbi 6:32; Geremia 5:7; 7:9; 29:23; Ezechiele 16:32; Osea 4:2,13; Malachia 3:5); o un uomo con una ragazza promessa sposa (Deuteronomio 22:23–27). 

L’adulterio è proibito nel Decalogo (Esodo 20:14; Deuteronomio 5:18), e spesso si riferisce anche all’adulterio spirituale, all’idolatria (Isaia 57:3; Geremia 3:9; Ezechiele 23:37). 

Solo rinunciando solennemente a tale comportamento si aprirebbe la via della riconciliazione.

Gomer, quindi Israele, è chiamata a distogliere tutta la sua persona da comportamenti immorali; deve abbandonare i suoi vecchi modi peccaminosi.

L’appassionato richiamo del Signore riflette la Sua eterna volontà che il suo popolo gli dia devozione e lealtà incrollabili secondo il patto.

Israele è come una moglie la cui condotta è stata sfrenata, ma che il Signore desidera riportare a sé, e lo richiama al ravvedimento, a lasciare l’idolatria e vivere in obbedienza a Lui.

L’invito per Israele, è a togliere l’idolatria di Baal (cfr. per esempio Osea 2:8,13,17) e la corruzione nel suo insieme come nazione e ad agire per il suo ritorno al patto con il Signore, a essergli fedele.

Le parole di Dio non sono solo una denuncia, una riprensione, ma un appello a trasformare i cuori e le vie delle persone. 

In questo passo, Dio sta cercando di persuadere Israele, il Suo popolo, a rimuovere la cultura pagana di Canaan e i suoi templi di culto della fertilità sessuale! 

CONCLUSIONE 
Noi possiamo fare tre applicazioni secondo questo testo.

La prima applicazione è:
1) Siamo chiamati a essere fedeli a Dio! A non tradirlo con i vari idoli! 
È nella nostra natura peccaminosa farci degli idoli!

Giovanni Calvino disse: “Ognuno di noi è, fin dal grembo materno, esperto nell'inventare idoli”.
Ognuno di noi s’inventa i propri idoli!

La mente umana è una fabbrica che crea in continuazione idoli.

Quando mettiamo qualcuno, o qualcosa al posto di Dio, diventiamo idolatri!

Un idolo è ciò che è più importante di Dio!

Tutto ciò che assorbe il tuo cuore, o i tuoi pensieri più di Dio, a cui gli obbedisci, è un idolo!

Qualsiasi cosa è centrale, o essenziale nella tua vita, che al solo pensiero di perderlo pensi che poi la vita non sarà più degna di essere vissuta, è un idolo!

Un idolo è qualcosa senza il quale non possiamo vivere e facciamo di tutto per averlo, e da cui dipendiamo!

Li puoi identificare da ciò che ammiri di più; da cosa ami di più, da cosa desideri di più; da cosa ti entusiasma di più rispetto a Dio!

Che cosa ammiri, o ami, o desideri, o ti entusiasma prima di Dio! Quello è un idolo!

Puoi identificare i tuoi idoli riflettendo su cosa, o chi ti fidi di più, in chi confidi nei momenti di difficoltà!

Allora di cosa, o di chi vi fidate? 

Da chi dipendete?

Puoi identificare i tuoi idoli dagli scopi della tua vita per cui ti impegni e quindi dalle motivazioni!

David Martyn Lloyd-Jones diceva: “Il dio dell'uomo è ciò per cui vive, per il quale è disposto a donare il suo tempo, la sua energia, il suo denaro, ciò che lo stimola e lo scuote, lo eccita, lo entusiasma”.

A chi doni il tuo tempo, la tua energia, il tuo denaro più di Dio?

Che cosa ti stimola, ti scuote, ti eccita, o ti entusiasma più di Dio?
Questo è il tuo idolo!

“Qualunque cosa un uomo cerchi, onori o esalti più di Dio, questo è il dio dell'idolatria” (William Bernard Ullathorne).

Ma Dio vuole che dobbiamo essergli fedeli, che non dobbiamo avere idoli!
Questo è quello che predicavano i profeti come Osea.

Come per il popolo di Israele (cfr. per esempio Isaia 54:5; 62:4; Geremia 2:1-4:4; Ezechiele 16:8–14,59-60; 23:37; Osea 1:2-2:23); oggi il rapporto della chiesa con Cristo è paragonato alla sposa e allo sposo (Efesini 5:22-33; 2 Corinzi 11:2; Apocalisse 19:7–9; 21:1-3; 22:17–20).

L’idolatria nella Bibbia è vista come infedeltà e disobbedienza al Signore e descritte come adulterio spirituale come in questo caso di Osea (cfr. per esempio Numeri 25:1–4; Giudici 2:17; Geremia 3:20; Ezechiele 16:15–59; 23:1–48; Osea 1:2; 2:2–13; 3:3).

Nel significato biblico, il matrimonio deve essere caratterizzato dall’amore e dalla fedeltà (cfr. per esempio Esodo 20:14; Deuteronomio 22:1–27; Matteo 5:27–28), il tradimento è visto come una prostituzione e adulterio, così anche se lo facciamo con gli idoli tradendo Dio (cfr. per esempio Deuteronomio 31:16; Giudici 16:6-7; Isaia 57:3-8; Geremia 2:32; 3:1-3,20; Ezechiele 16:32-34; Osea 2:2-13; 3:1-5; 4:15; 5:4,7; 6:10; 9:1). 

Dio non richiede altro che la tua fedeltà!
Dio è più interessato alla tua fedeltà che alle tue realizzazioni!

La nostra società è orientata al successo, ammiriamo quegli uomini e donne che hanno avuto successo. 
Ma lo standard di Dio per il successo è molto diverso da ciò pensiamo noi. 

Dio non è impressionato della tua posizione sociale, o della tua ricchezza, quindi del tuo successo, ma cerca la tua fedeltà verso di Lui!
Pertanto cerca di essergli fedele!

La fedeltà è la risposta adeguata a Dio da parte del Suo popolo con cui è legato con un patto (cfr. per esempio Esodo 19:5; Deuteronomio 5:32-33; 10:12-13; 29:9; 1 Re 2:3-4; Isaia 1:26).

Come Dio è fedele, coloro che fanno parte del Suo popolo sono chiamati alla fedeltà: la fedeltà a Dio riflette la Sua fedeltà! (cfr. per esempio Deuteronomio 7:9; 1 Samuele 2:35; 1 Corinzi 10:12-13; Ebrei 4:14-16; 10:23; 1 Pietro 4:19)

La fedeltà è vista come un impegno costante verso Dio, in incrollabile devozione (cfr. per esempio Giosuè 24:14-15; Michea 4:5; Luca 9:62; Apocalisse 2:10); in obbedienza (cfr. per esempio Deuteronomio 11:13; Ezechiele 18:9), e nel servizio (cfr. per esempio 1 Samuele 12:24; 2 Cronache 19:9; 34:10-12; Ezechiele 44:15; 48:11; Matteo 24:45-47; 25:14-30; 1 Corinzi 4:1-2; 1 Timoteo 1:12).

Il Signore è Dio, non c'è altro all'infuori di Lui (Deuteronomio 4:35) e richiede un impegno assoluto e fedele solo per Lui (Esodo 20:3). 

Nessuno può servire due padroni (cfr. Matteo 6:24).

Se pensi di avere degli idoli nella tua vita, secondo questo testo, sei chiamato a ravvederti per seguire al 100% il Signore! Amandolo con tutto te stesso! (cfr. Matteo 22:37).

La seconda applicazione che possiamo fare è:
2) Siamo chiamati a esortarci gli uni gli altri
“La Scrittura insegna che la riprensione è uno dei metodi più completi per mezzo dei quali si esprime l’amore per gli altri” (Wayne A. Mack e Davidi Swavely). 

I figli di Israele, cioè gli Israeliti, sono stati chiamati a prendere le distanze da Israele! 
A non tollerare e nemmeno a continuare a seguire i peccati.

Come “figli della chiesa”, se così possiamo dire, dobbiamo esortare la chiesa, l’insieme delle persone riscattate da Gesù Cristo, a camminare fedelmente al Signore.

Siamo chiamati riprenderci e a esortarci gli uni con gli altri (cfr. per esempio Salmo 141:5; Proverbi 9:8; 27:5-6; Matteo 18:15-17; Romani 15:14; Colossesi 3:16; 1 Timoteo 5:20; Tito 3:10; Ebrei 3:13).

Siamo chiamati a non essere complici dei peccati degli altri (cfr. per esempio Efesini 5:8-12), questo c’insegna questo versetto di Osea.

Indubbiamente molti di noi hanno difficoltà a fare questo, ma la riprensione e l’esortazione, fatta per un cambiamento della persona e per la gloria di Dio, è un segno di amore per Dio e per le persone che peccano (per cfr. Giacomo 5:19-20), cioè le cui azioni non sono in linea con la santità, la verità, la bontà e la giustizia di Dio, ma farlo con spirito di mansuetudine (cfr. per esempio Galati 6:1-2), con parole che edificano (Efesini 4:29), e quindi che non “uccidono” (Proverbi 12:18,25; 18:21), che vanno dette al momento giusto (Proverbi 15:23; 25:11).
3) Siamo chiamati a predicare il ravvedimento
Noi troviamo l’esempio di Osea da seguire che è quello che predicava con franchezza e spirito di mansuetudine il ravvedimento.

La predicazione del ravvedimento non deve essere trascurata nella chiesa, infatti dopo i profeti dell’Antico Testamento, Giovanni Battista (cfr. per esempio Matteo 3:7), Gesù (cfr. per esempio Marco 1:15), e gli apostoli (cfr. per esempio Atti 2:38; 3:19) predicavano il ravvedimento.

Eppure oggi non seguiamo il loro esempio, infatti invitiamo le persone solo a credere in Gesù come Salvatore e non come Signore, e quindi non esortiamo le persone a ravvedersi!

Facendo così non stiamo predicando conformemente alla predicazione dei profeti, di Giovanni Battista, di Gesù e degli apostoli.

Michael L. Brown scrive: “L’attuale messaggio di salvezza è troppo blando nei confronti del peccato e fiacco riguardo la signoria di Cristo”.

Aggiungo che non deve essere così! 
Ma pur di riempire le chiese non si parla di peccato, d’inferno, di ravvedimento!
Si predica un vangelo umano, vale a dire un vangelo che le persone vogliono sentire che non si parla di santità, di giudizio di Dio, di cambiamento interiore!

Non deve essere così se vogliamo essere fedeli al Signore!


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