Ebrei 11:14-16:
La fede è il desiderio assoluto della patria celeste
Questi versetti ci parlano che la fede è il desiderio assoluto della patria celeste.
Il credente desidera andare nella patria celeste e non rimanere in quella terrena e avendo così l’approvazione di Dio.
L’autore dell’epistola agli Ebrei sta parlando della fede dei patriarchi.
Al v.13 parla della loro perseveranza nonostante non avessero ricevuto le promesse perché avevano una percezione spirituale di fede e professavano pubblicamente di forestieri e pellegrini sulla terra.
I vv.14-16 rafforzano ciò che è stato detto al v.1; quindi vediamo la ragione e il risultato della fede.
Cominciamo con:
I LA RAGIONE DELLA FEDE (vv.14-15)
Nei vv.14-15 leggiamo:“Infatti, chi dice così dimostra di cercare una patria; e se avessero avuto a cuore quella da cui erano usciti, certo avrebbero avuto tempo di ritornarvi!”
Il contesto rende abbastanza ovvio che solo Abramo, Sara, Isacco e Giacobbe sono inclusi in questa osservazione.
Sono le persone che hanno ricevuto le promesse (cfr. per esempio Galati 3:16) e avrebbero potuto tornare alla loro patria terrena se avessero avuto a cuore questa.
Ma preferirono rimanere come forestieri e pellegrini in Canaan (v.13), perché i loro cuori erano rivolti alla patria celeste, la patria migliore (v.16).
Allora ciò che vediamo è:
A) La dimostrazione
“Infatti, chi dice così dimostra di cercare una patria” (v.14).
La fede dei patriarchi ci fa capire che la fede non nasconde le sue convinzioni, non dice che è una questione privata, ma dice chiaramente agli altri senza ambiguità, o parole difficili qual è veramente la sua patria!
Il verbo “dimostra” (emphanizousin - presente attivo indicativo) indica “dichiarare”, “rendere manifesto chiaramente”, “rendere visibile”, “chiarire”, “informare”, “indicare” quindi rendere presente, o evidente all'esperienza, o ai sensi (cfr. per esempio la “La settanta” per Esodo 33:18; Ester 2:22. Matteo 27:53; Giovanni 14:21-22; Atti 23:22Ebrei 9:24).
Questa parola era usata in un senso quasi tecnico per “fare un rapporto ufficiale” (cfr. per esempio Atti 23:15).
Secondo il dizionario espositivo di Vine questa parola indica: “Dichiarare con la testimonianza orale e ‘manifestare’ con la testimonianza della vita”.
Il tempo presente attivo indicativo è un riferimento enfatico a un atteggiamento continuo e reale.
La parola greca “cercare” (epizētousin – presente attivo indicativo) significa “cercare in modo diligente”, “cercare ardentemente”, quindi non è una ricerca disattenta, sfogliata, ma è rigorosa, attenta, seria.
Indica essere seriamente interessati, o avere un forte desiderio, desiderare ardentemente (cfr. per esempio Matteo 6:32; Atti 12:19; Romani 11:7, Filippesi 4:17).
Il pensiero analogo è espresso nel v.16, dove i patriarchi sono raffigurati come desiderosi della città celeste che Dio ha preparato per loro.
Come per “dimostra”, il verbo indica che questo forte desiderio era attivo, costante, abituale e reale!
“Cercare” non suggerisce, qualcosa che è stato perso, ma qualcosa ancora da avere.
I patriarchi d’Israele non dimostravano e cercavano la patria di tanto in tanto!
Ma ogni giorno il loro desiderio era rivolto alla patria celeste!
Così il cristiano dichiara ogni giorno pubblicamente che desidera fortemente la patria celeste, cioè la città e quindi la propria casa, a questo si riferisce la parola “patria” (patrida – è in enfasi in greco la ‘patria cercano’), un luogo dove risiedere, una dimora permanente dove possono dire: “Finalmente siamo a casa nostra!”
Gareth Lee Cockerill riguardo la parola “patria” scrive: “La parola greca in questione deriva dalla parola per ‘padre’ e non contiene la parola per ‘terra’. Denota il luogo a cui le persone appartengono, dove sono ‘a casa’, dove si trova la loro famiglia, dove sono nativi, dove sono cittadini”.
(cfr. per esempio Matteo 13:54,57; Marco 6:1,4; Luca 4:23, 24; Giovanni 4:44).
Questa città è in cielo (cfr. per esempio Filippesi 3:20; Ebrei 11:10,16; 12:22-24; 13:14) dove andranno tutti coloro che Gesù ha salvato (Giovanni 14:1-3; 2 Corinzi 5:1-2; Colossesi 1:4-5; Tito 2:13-14; 1 Pietro 1:3-5) ed è edificata e fondata da Dio (Ebrei 11:9-10).
Dana M. Harris scrive: “L'autore non sta parlando di una regione, o di un paese, ma piuttosto di una città. Nel mondo antico, l'identità era spesso strettamente legata alla propria città natale, di cui si possedeva la cittadinanza. Questo immaginario è più probabilmente quello che l'autore aveva in mente”.
Ci saranno promesse che sembra che Dio non abbia, o stia mantenendo come per esempio risposte non esaudite alle nostre preghiere, ma come Abraamo, ci rendiamo conto e crediamo che quello che cerchiamo e bramiamo non si trova qui!
Come i patriarchi dovremmo attivamente, costantemente e realmente desiderare ardentemente la città celeste, dove saremo finalmente a casa, e dichiararlo con la testimonianza orale e con lo stile di vita!
I veri cristiani credono che su questa terra sono di passaggio, la loro permanenza è temporanea (cfr. per esempio Ebrei 13:14) e che la loro dimora è in cielo stabile e permanente (cfr. per esempio 2 Corinzi 5:1-2; Ebrei 12:28; 12:28; 13:14), ed è questa che desiderano sena lasciarsi distrarre dalle cose di questo mondo (Colossesi 3:1-3; 1 Giovanni 2:15-17).
Arthur Pink scriveva: "’Cercare’ il cielo deve essere lo scopo principale e il compito supremo che il cristiano si prefigge: mettere da parte tutto ciò che potrebbe ostacolare e usare tutti i mezzi che Dio ha stabilito. Il mondo deve essere tenuto a bada, gli affetti devono essere rivolti alle cose di lassù e il cuore deve essere costantemente esercitato a percorrere la Via Stretta, che è l'unica a condurci là”.
A differenza dei figli di questo mondo, i veri cristiani non possono stabilirsi in qualche luogo terreno e sentirla come loro patria e sentirsi pienamente soddisfatti e contenti in questa.
Questo perché sono nati da Dio, sono figli di Dio (cfr. per esempio Giovanni 1:12-13), questa terra non è la loro casa, si sentono e dichiarano di essere forestieri e pellegrini, e desiderano ardentemente la loro città celeste, e mostrano sempre questo, non sono attratti e legati alle cose di questo mondo!
John Butler scrive: “Questa dichiarazione di ricerca sottolinea anche che gli interessi di ‘questi’ che camminano per fede sono nell'aldilà. Non sono soddisfatti di questo vecchio mondo. Non sono ingannati dal luccichio e dal fascino delle luci brillanti del mondo, perché vedono la luce di una città celeste che supera di gran lunga qualsiasi cosa in questa vita presente. Sfortunatamente, per coloro che non vivono per fede, questo mondo è tutto ciò che interessa; non stanno cercando nulla al di là di questa vita. Investono tutto il loro tempo, le loro energie e i loro beni in questa vita. Ma quando arriveranno alla fine di questa vita, non avranno nulla; perché non possono portare nulla di questo mondo con loro. Si lasceranno tutto alle spalle. La vita dell'incredulità è una vita sterile, non produttiva, che non soddisfa. Le sue ricerche sono tutte orizzontali, nessuna è verticale. Ma la fede ci dà una via migliore. Cerca un paese nell'aldilà; cerca il verticale che resiste”.
Vediamo ora:
B) La deduzione
Nel v.15 è scritto:“E se avessero avuto a cuore quella da cui erano usciti, certo avrebbero avuto tempo di ritornarvi!”
La vera fede è una fede perseverante!
Abramo, Sara, Isacco e Giacobbe non sono mai ritornati a vivere nel paese che avevano lasciato, non erano legati alla loro patria terrena, ma erano proiettati a quella celeste! E lo furono costantemente!
Non nutrivano pensieri e desideri della loro terra di origine, con tutti i piaceri, i peccati, gli idoli, le comodità e non vi sono ritornati.
Nel passato furono costanti a non ritornare nella loro terra natia (Ur Dei Caldei e Caran Genesi 11:28,31 in Mesopotamia) perché non avevano nessun desiderio di ritornarci perché desideravano una patria migliore, quella celeste!
È interessante che nel greco “avuto a cuore” (emnēmoneuon – imperfetto attivo indicativo) è richiamare alla memoria, continuare a ricordare, pensare ancora e ancora! (cfr. per esempio Marco 8:18; Luca 17:32; Giovanni 16:21; 1 Tessalonicesi 1:3), o anche menzionare (cfr. Ebrei 11:22).
Praticamente i patriarchi non ci pensavamo proprio alla loro patria terrena, ma solo quella celeste!
Quelle persone che amano veramente la loro terra, ma che la lasciano a malincuore per motivi di lavoro, o sentimentali, hanno nostalgia, pensano sempre con grande desiderio di ritornarci anche per fare una vacanza.
I patriarchi non avevano assolutamente nessun desiderio nostalgico di ritornare, non pensavano proprio alla loro patria terrena nonostante la loro esistenza instabile nelle tende (Ebrei 11:9), professavano di essere forestieri e pellegrini (Ebrei 11:13).
Se avevano questa nostalgia, avrebbero avuto tempo (eichon kairon) di ritornarci in qualsiasi momento per vivere là permanentemente! Ma non lo fecero!
Con un desiderio nostalgico continuo avrebbero trovato un modo per ritornare a viverci per sempre!
Se la loro speranza fosse stata sulla terra, non avrebbero desiderato quella celeste.
Thomas Hewitt scrive: “Dentro al cuore di questi patriarchi vi era un profondo anelito a una dimora stabile e permanete. Se tale anelito fosse stato rivolto alla Mesopotamia, essi avrebbero sempre potuto ritornare alla loro terra natale. Ma il loro desiderio era più elevato e più grande, e si protendeva verso quella città invisibile ‘il cui architetto e costruttore è Dio’”.
Mentre gli Israeliti dopo la liberazione dalla schiavitù di Egitto si lamentavano delle difficoltà del loro viaggio e desideravano tornare alla loro precedente schiavitù in Egitto.
In Numeri 11:4–5 leggiamo: “L'accozzaglia di gente raccogliticcia che era tra il popolo fu presa da concupiscenza; e anche i figli d'Israele ricominciarono a piagnucolare e a dire: ‘Chi ci darà da mangiare della carne? Ci ricordiamo dei pesci che mangiavamo in Egitto a volontà, dei cocomeri, dei meloni, dei porri, delle cipolle e dell'aglio’”.
Anche Dema amando questo mondo abbandonò Paolo (2 Timoteo 4:10).
In contrasto con questi esempi, le persone di fede come Pietro, Giacomo e Giovanni quando Gesù li chiamò ad essere suoi discepoli, lasciarono ogni cosa e lo seguirono (Luca 5:11; cfr. Romani 12:1-2).
Quindi un vero cristiano desidera stare alla patria celeste che a quella terrena!
Ogni pensiero, ogni sentimento, ogni azione punta decisamente in avanti e in alto!
Non guarda indietro come i figli d’Israele citati in Numeri, o Dema.
In terzo luogo vediamo:
C) L’aspirazione
È una forte aspirazione!
John Butler scrive: “La fede non è soddisfatta di questo mondo. Vuole qualcosa di molto meglio. La fede preferisce il meglio e questo è il paradiso”.
Nel v.16 leggiamo:”Ma ora ne desiderano una migliore, cioè quella celeste”.
In contrasto con il ritornare, o desiderare la patria terrena, l’autore dell’epistola agli Ebrei dice che i patriarchi desideravano quella migliore, quella celeste.
Vance Havner disse: “Non siamo a casa in questo mondo perché siamo fatti per uno migliore”.
Questa era anche la speranza dei patriarchi come per tutti i veri cristiani!
I patriarchi non pensavano alla loro patria terrena perché desideravano abitualmente (oregontai – presente medio indicativo) una migliore (kreittonos), cioè quella celeste (epouraniou), ed è la casa del loro Padre celeste (cfr. per esempio Matteo 6:9), è la stessa città di Dio (cfr. per esempio Ebrei 11:9-10).
Come ho detto prima questa città è in cielo (cfr. per esempio Filippesi 3:20; Ebrei 11:10,16; 12:22-24; 13:14) dove andranno tutti coloro che Gesù ha salvato
Questa è la patria verso la quale l'uomo, o la donna di fede aspirano e corrono!
(Giovanni 14:1-3; 2 Corinzi 5:1-2; Filippesi 3:12-20; Colossesi 1:4-5; Tito 2:13-14; 1 Pietro 1:3-5).
Cercavano la vita eterna con Dio che aveva dato loro le promesse.
L’immagine di “desiderano” (oregontai) è quella di allungare le mani per raggiungere qualcosa, indica esercitare molto sforzo, o energia per raggiungere qualcosa, da qui bramare ardentemente.
Questo desiderio non era un passatempo! Era la passione e l'attività principale della loro vita perché Dio per loro era reale, l'unica vera fonte di benedizione e di pace!
Questo desiderio implica una speranza realistica basata sulla promessa di Dio!
La patria, la città a cui guardavano i patriarchi è reale, anzi è più reale delle realtà presenti!
Un credente che proprietario che viveva nel sud della California diceva: “Ho vissuto qui più a lungo di quanto abbia mai vissuto in qualsiasi altro posto della mia vita, dal 1940, e lo adoro, nonostante lo smog, il traffico e tutte queste persone che ci hanno seguito fin qui. Vorrei che avessimo potuto mettere un muro intorno alla California (dopo che siamo arrivati qui, ovviamente!), e poi avremmo potuto avere questo posto meraviglioso tutto per noi. Tutti noi che siamo venuti qui di certo non abbiamo aiutato il posto, ma lo preferisco comunque a qualsiasi altro. Ho un ‘ranch’ qui in California. Non è quello che chiami un grande ranch: è largo circa 22 metri e lungo circa 40 metri. Ma ho la mia casa proprio nel mezzo, e l'ho ben fornita. Ho aranci, avocado, mandarini, nettarine, albicocche, prugne e limoni. Vedi, sono davvero un agricoltore. L'altro giorno ho appena alzato lo sguardo e ho ringraziato il Signore che mi ha dato quel posto. È il primo posto che abbia mai posseduto e pagato, ma me l'ha dato e lo ringrazio per questo. Tuttavia, gli ho detto: ‘Non farmi innamorare di questo posto, o non vorrò lasciarlo per andare in un posto migliore’. Siamo stranieri e pellegrini quaggiù, perché camminiamo per fede, cercando un posto migliore. ‘Poiché quelli che dicono cose simili dichiarano chiaramente che cercano un paese’”.
Possiamo essere legati a questa terra per le bellezze che lo caratterizza da non farci desiderare la patria celeste, ma se pensiamo che l’ha creata Dio, dobbiamo fidarci che quando farà nuovi cieli e nuova terra sarà altrettanto bella, se non di più! (cfr. per esempio Isaia 65:17; 66:22; 2 Pietro 3:13; Apocalisse 21:1–22:5)
Una persona saggia dovrebbe guardare al futuro e considerare la fine che l’aspetta (cfr. per esempio Deuteronomio 32:29).
John Tillotsun arcivescovo anglicano di Canterbury disse: "Colui che provvede a questa vita, ma non si prende cura dell'eternità è saggio per un momento, ma uno sciocco per sempre".
Molte persone vivono solo per oggi e pensano poco seriamente all'eternità, a cosa c’è dopo la morte e cioè l’inferno e il paradiso!
Raymond Brown scrive: “L'uomo o la donna di fede ha la capacità di distinguere tra bene e male, eterno e temporale, permanente e deperibile; questa è una delle grandi caratteristiche della vita di Mosè, come riportato alcuni versetti più avanti in questo capitolo (11:24–28)”.
La fede è il desiderio assoluto della patria celeste che è migliore di quella terrena!
"Migliore" è stato usato in questa lettera agli Ebrei per descrivere sia l'opera pienamente sufficiente ed efficace di Cristo nel purificare il popolo di Dio dal peccato, sia per le benedizioni permanenti ed eterne rese disponibili attraverso quell'opera (cfr. per esempio Ebrei 7:22; 8:6; 9:23-24; 12:24).
Barry Davis riguardo che la patria celeste è migliore dice:
1) È un paese più esaltato. La parte più gloriosa della creazione. Dove il Dio degli eserciti ha il Suo palazzo—trono—corte, ecc. Il paradiso dei cieli. Pieno della gloria divina.
2) È un paese più santo. Non inquinato. Nessun peccato nelle sue terre felici.
3) È un paese più sano. Il peccato è la causa della malattia; pertanto, poiché non c'è peccato, non c'è maledizione. Non ci sono afflizioni fisiche, mentali, spirituali.
4) È un paese più felice. Le fonti di lutto e dolore non sono temute e sconosciute. Nessun seme di amarezza, nessuna croce, nemici aperti, falsi amici, fratelli imperfetti, povertà, né dolore, né fatica, né paura, tentazione, morte.
5) È un paese più duraturo. Non per essere visitatori, ma residenti. Non visitatori per una stagione, ma abitanti per sempre. Quell'eredità è incorruttibile—quella corona non svanisce—quel regno è un regno eterno.
6) È un paese migliore, in quanto è il luogo della perfezione e della gloria assoluta. Capacità perfette—godimento perfetto—sicurezza perfetta—impiego perfetto—giornata perfetta. Luce senza nuvole. L'apice della gloria. Beatitudine immutabile e immutabile.
Ma a tutto questo possiamo aggiungere un paese migliore dove il suo popolo godrà della piena comunione con Dio ed entrerà nel suo "riposo" (Ebrei 4:1–11).
Il vero cristiano “allunga la sua anima” verso il cielo dove passerà l’eternità con Dio nella felicità eterna (cfr. per esempio Apocalisse 21:4,23).
Come i patriarchi d’Israele vivono per fede e sono più interessati all'aldilà che al qui-e-ora.
Consideriamo ora:
II IL RISULTATO DELLA FEDE (V.16)
Nel v.16 leggiamo:”Perciò Dio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio, poiché ha preparato loro una città”.
Il risultato delle fede dei patriarchi fu che Dio non si vergognò di loro!
Quindi vediamo:
A) La relazione
“Perciò Dio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio” (v.16).
Tutta la vita dei patriarchi, era orientata e diretta verso Dio e la Sua promessa!
Pertanto, Dio li ha approvati.
Una persona che ha fede piace a Dio! La fede ci rende accettabili a Dio (Ebrei 11:6).
“Perciò” (dio) è una congiunzione logica che indica “per questa ragione”, spiega perché Dio non si vergogna, cioè del fatto che Abraamo, Sara; Isacco e Giacobbe confessavano pubblicamente di essere forestieri e pellegrini, dicevano di essere persone di fede che desideravano la patria celeste!
Così sarà anche per i discepoli di Gesù se non lo rinnegano pubblicamente (cfr. per esempio Marco 8:38; Luca 9:26; Romani 1:16; 2 Timoteo 1:8,12,16; Ebrei 2:11-12).
È certamente insolito leggere che Dio non si vergogna, poiché la vergogna è una caratteristica dell'uomo.
Tuttavia, Dio era felice di essere conosciuto come il loro Dio.
David Guzik dice: “Spesso consideriamo l'idea che non dovremmo vergognarci di Dio, ma dobbiamo anche considerare che potremmo far vergognare Dio di noi. Quando non consideriamo Dio, il paradiso e l'eternità come reali, può accadere che Dio si vergogni di essere chiamato il nostro Dio”.
“Si vergogna” (epaischunetai - presente medio indicativo) indica imbarazzo, disagio.
Arthur Pink scriveva: "’Non vergognarsi’ significa letteralmente che Egli non aveva motivo di 'arrossire' perché era stato disonorato da loro”.
Dio non è imbarazzato da questo tipo di persone, e il negativo “non si vergogna” implica un forte opposto affermativo: è molto disponibile, li accoglie, li gradisce.
Di che cosa Dio non si vergogna: “Di essere chiamato loro Dio”.
Non si vergogna di essere conosciuto e chiamato il loro Dio, “Dio” è in enfasi.
Donald Guthrie scrive: “Nessun elogio più grande potrebbe essere dato a nessun uomo del fatto che Dio non si vergogni di essere chiamato il loro Dio”.
L’autore di questa lettera aveva già sottolineato che Gesù non si è vergognato di chiamare i santificati, cioè i credenti, fratelli (Ebrei 2:11).
Nelle parole “essere chiamato” (epikaleisthai - presente passivo infinitivo) “loro Dio” diversi studiosi hanno visto come un soprannome, o cognome.
L'idea è quindi quella di aggiungere un nome aggiuntivo a quello che si ha già. (cfr. Numeri 21:3; Giudici 6:32; Daniele 10:1; Matteo 10:25; Luca 22:3; Atti 1:23; 1 Pietro 1:27).
Dio non si vergognava di essere chiamato da questi patriarchi fedeli come loro Dio.
Ma il senso potrebbe anche essere che quando un nome, in questo caso quello di Dio, è invocato su qualcuno designa che quest'ultimo è proprietà del primo, o c’è una relazione (2 Samuele 6:2; 1 Re 8:43; Geremia 7:30; 14:9).
Il Signore in 1 Samuele 2:30 dice che onora quelli che l’onorano!
I patriarchi onoravano Dio e Dio li onorava.
Nulla Gli fa onore tanto quanto la vita di fede.
I patriarchi onorarono Dio riponendo la loro fede in Lui e Dio li onorò facendosi chiamare loro Dio, infatti così si presentò a Mosè dicendo: “Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abraamo, il Dio d'Isacco e il Dio di Giacobbe” (Esodo 3:6; cfr. per esempio Genesi 28:13; Esodo 15:2; 3:15–16; Deuteronomio 1:21; Giosuè 18:3; 1 Cronache 29:18; 2 Cronache 30:6).
E questo nonostante quei patriarchi non era perfetti! Erano peccatori come noi!
F.F. Bruce scrive: “Quale onore più grande di questo potrebbe essere tributato a qualsiasi mortale? Questi tre patriarchi non erano irreprensibili, ma Dio non si vergogna di essere chiamato il loro Dio, perché lo hanno preso in parola. È interessante notare che, mentre Giacobbe è per molti versi il meno esemplare dei tre, Dio è chiamato il Dio di Giacobbe molto più frequentemente nella Bibbia di quanto non sia chiamato il Dio di Abramo, o di Isacco. Nonostante tutti i suoi difetti, Giacobbe aveva un vero senso dei valori spirituali che scaturivano dalla sua fede in Dio”.
“Loro Dio”, anche se in questo versetto l’autore della lettera non usa la parola "alleanza", o “patto” che era così importante nei capitoli 8–9; tuttavia, egli ha in mente i patti (cfr. per esempio Genesi 17-18; Esodo 29:45; Geremia 31:33; 24:7; 32:38; Ezechiele 11:20; 14:11; 37:2, 27; Zaccaria 8:8; Ebrei 8:10) quando dice: "Io sarò loro Dio ed essi saranno mio popolo", o viceversa: “Saranno il mio popolo e io sarò il loro Dio”, e questo indica che c’è una relazione che era regolata da un patto.
Come allora l'espressione rassicurante “Io sarò loro Dio” per quelli che erano sotto l’Antico Patto, Dio sarebbe stato anche il Dio del popolo sotto il nuovo patto, quello di Gesù Cristo (cfr. per esempio Matteo 26:26-29; 1 Corinzi 11:23-26).
Quindi vi è un legame di patto tra Dio e il Suo popolo!
Chiunque ripone la sua fede in Dio entra in quel paese celeste menzionato dall'autore dell'epistola agli Ebrei, e Dio non si vergogna di essere il loro Dio.
E questo non si riferisce solo ai patriarchi, ma anche a tutti i veri cristiani!
Se pensiamo di appartenere a Dio come Suoi figli (Giovanni 1:11-13; Romani 8:14-17; Galati 4:4-6) e come Suo popolo (cfr. per esempio 1 Pietro 2:9), Dio ci permette, o approva di chiamarlo “nostro Dio”!
Questo perché abbiamo fede in Lui e nelle Sue promesse facendo parte del Nuovo Patto di Gesù Cristo, e le dimostriamo che amiamo la patria celeste e non quella terrena, e viviamo come forestieri e pellegrini su questa terra!
In Cristo Dio porta il Suo popolo in questa relazione speciale del Nuovo Patto e coloro che gli appartengono, i loro cuori sono posseduti da Lui, e loro si abbandonano completamente a Lui, mettendolo al primo posto (cfr. per esempio Salmo 16:5-6; 73:25); con un atteggiamento di sottomissione (cfr. per esempio Atti 9:6), amandolo con tutto se stessi (cfr. per esempio Deuteronomio 6:4-5; Matteo 22:37), e avendo fiducia in Lui (cfr. per esempio Salmo 23:1;Marco 11:22; Giovanni 14:1; Ebrei 11:6).
Giovanni Calvino a proposito di questo scrive: "Dobbiamo quindi concludere che non c'è posto per noi tra i figli di Dio se non rinunciamo al mondo, e che non ci sarà per noi alcuna eredità in cielo se non diventiamo pellegrini sulla terra".
In secondo luogo consideriamo:
B) La motivazione
“Poiché ha preparato loro una città”.
John Butler scrive: “La fede ha le migliori prospettive. L'incredulità ha solo il destino, il terrore e la sofferenza come suo futuro. La fede ha una città gloriosa nel suo futuro. E ciò che la rende una città così gloriosa è che Dio è il Creatore. Egli è Colui che la sta preparando”.
La gloriosa città celeste di Gerusalemme è descritta in Apocalisse 21, e il suo splendore è descritto con pietre preziose.
Nessun costruttore su questa terra può produrre qualcosa del genere.
Solo Dio può costruire una città così.
E tutto questo è la prospettiva e il desiderio della fede.
Lungi dal vergognarsi dei patriarchi, Dio ha preparato per loro una città.
Essi vedranno il suo volto e il suo nome sarà scritto sulla loro fronte (Apocalisse 22:3–4).
“Poiché” (gar) è la spiegazione del commento precedente, indica il motivo per cui il Signore non si vergogna di essere chiamato il loro Dio, e questa è la prova che ha accettato, approvato i patriarchi, quindi Dio ha aveva già preparato (hētoimasen - aoristo attivo indicativo; cfr. Esodo 23:20; Giovanni 14:1-3; Apocalisse 12:6) per loro una città, e questa si riferisce alla Gerusalemme celeste (Ebrei 12:22; Apocalisse 21:2,10-23), al regno preparato fin dall'inizio del mondo (Matteo 25:34) dove si riposeranno (cfr. Ebrei 3:7-4:11), una città stabile fondata da Dio (Ebrei 11:10).
“Preparato” ricorda il linguaggio nell’Antico Testamento per la cura di Dio del popolo (Salmo 22:5; 64:9; 77:20; 88:4; 118:73; 131:17) che continua nei passi del Nuovo Testamento che parlano delle realtà della fine dei tempi (Matteo 25:34, 41; 1 Corinzi 2:9; Apocalisse 12:6; 19:7; 21:2).
Se Dio gli ha preparato una città, vuol dire che li approva!
Così il fervente desiderio dei patriarchi non era fuorviante! Era pienamente giustificato dalla realtà oggettiva della città che Dio aveva già preparato come ricompensa della fede (Ebrei 11:6) e che sarebbe apparsa al tempo stabilito da Dio.
Questo era d’incoraggiamento ai credenti a cui scrisse l’autore di questa lettera, che hanno dovuto affrontare periodi difficili, anche di persecuzione ed erano incoraggiati allora a essere costanti nella fede (Ebrei 10:32-39), e quindi incoraggiati a considerare gli esempi di fede descritti in Ebrei 11, così anche a guardare Abraamo, Isacco e Giacobbe, che si consideravano su questa terra stranieri e pellegrini, desideravano la loro patria celeste, la Gerusalemme celeste!
F.F. Bruce scrive:”Le parole non potrebbero rendere più chiaro che i patriarchi e gli altri uomini e donne di Dio che vissero prima di Cristo hanno una parte nella stessa eredità di gloria promessa ai credenti in Cristo dei tempi del Nuovo Testamento”.
Per questi, dunque, e per tutti coloro che percorrono lo stesso cammino di fede, Dio ha preparato la sua città.
CONCLUSIONE
La fede è vera fiducia in realtà invisibili
Richard Phllips scrive: “La morte stessa è terribile; Non è una buona cosa. Ma per coloro che confidano nel Signore, diventa la porta d'accesso alla vita. Se crediamo questo, allora la nostra visione della morte cambierà la nostra visione della vita. Non è qui che porremo i nostri cuori, ma oltre l'orizzonte della vita. Questa nuova attenzione trasforma la nostra visione delle prove e dei dolori attuali”.
Ed è quello che è avvenuto a un famoso predicatore, il quale in una lettera scrisse a un amico della morte della sua amata moglie dicendo: "Ho alcune delle migliori notizie da comunicare. Una persona da voi amata ha compiuto la sua guerra, ha ricevuto una risposta alle sue preghiere e la gioia eterna riposa sul suo capo. La mia cara moglie, fonte del mio miglior conforto terreno da vent'anni, se n'è andata martedì".
Quest’uomo era triste per la morte della moglie, ma nello stesso tempo capiva che cosa significava la morte per una vera credente!
Significava raggiungere la patria celeste, la casa a cui aveva a lungo anelato.
I cristiani per fede hanno visto e vedono le cose migliori in un altro luogo, dopo la morte, nella città celeste; ed è lì il nostro tesoro e il nostro cuore! (Matteo 6:19-21).
I veri cristiani non trovano qui il loro riposo accontentandosi di ricchezze minori. Questo è ciò che John Bunyan ha trasmesso nel “Pellegrinaggio del Cristiano”, quando Cristiano ha spiegato la sua partenza a coloro che hanno cercato di impedirgli di lasciare la sua casa ed erano perplessi dal suo desiderio di lasciare una vita mondana confortevole, Cristiano li esortò ad andare con lui: "Tutto ciò che lascerete (2 Corinzi 4:18) non è degno di essere paragonato a quello che sto cercando di godere, e se venite con me, lo troverete anche voi, perché la dove vado ce n’è per tutti (Luca 15:17). Venite e vedrete che ho ragione!” Uno degli interlocutori, Ostinato gli chiese: “Quali sono le cose che cerchi, visto che lasci il mondo per trovarle?” Cristiano rispose: “Cerco un'eredità incorruttibile, senza macchia e indistruttibile (1 Pietro 1:4) e si trova conservata al sicuro in cielo (Ebrei 11:16) e sarà data al tempo prestabilito a coloro che la cercano diligentemente”.
I patriarchi a cui si riferisce l’autore in questi versetti erano persone così.
Anche la loro fede cercava una casa, una città celeste che Dio aveva preparato per loro.
Così ogni cristiano conosce, o condivide qualcosa del desiderio ardente di queste persone di fede del passato!
Albert Barnes disse: “Possiamo osservare che la vita dei patriarchi era, sotto tutti gli aspetti essenziali, quella che dovevano condurre. Essi attendevano con ansia il cielo; non cercavano possedimenti permanenti qui; si consideravano stranieri e pellegrini sulla terra. Così dovremmo essere. Nelle nostre abitudini di vita più fisse e stabili, nelle nostre case tranquille, nella nostra residenza nella terra in cui siamo nati, e nella società di vecchi e provati amici, dovremmo ancora considerarci "stranieri e ospiti". Non abbiamo qui una dimora fissa. Le case in cui abitiamo saranno presto occupate da altri; i sentieri in cui andiamo saranno presto percorsi dai piedi degli altri; i campi che coltiviamo saranno presto arati, seminati e mietuti da altri. Altri leggeranno i libri che leggiamo noi, siederanno ai tavoli dove ci sediamo, si sdraieranno sui letti dove ci riposiamo, occuperanno le camere dove moriremo, e da dove saremo rimossi nelle nostre tombe. Se abbiamo una casa permanente, quella è in cielo, e questo ce lo insegnano le vite fedeli dei patriarchi e ce lo assicura ovunque la parola infallibile di Dio.”
Allora possiamo fare due considerazioni da questi versetti.
1)La prima considerazione è che la descrizione dei patriarchi sfida la nostra vigliaccheria
I patriarchi confessavano pubblicamente di essere forestieri e pellegrini, dicevano di essere persone di fede che desideravano la patria celeste!
Confessavano audacemente che su questa terra erano stranieri e rendere manifesto chiaramente, informavano gli altri che desideravano ardentemente la loro patria celeste che è migliore di questa patria.
La maggior parte delle persone che conosciamo, o dei nostri contemporanei vivono come se questo mondo fosse tutto!
Non hanno alcuna idea dell’eternità, di quello che c’è dopo la morte!
Noi cristiani siamo responsabili di dire ciò che dice la Bibbia a riguardo!
2) La seconda considerazione è che la descrizione dei patriarchi rimprovera il nostro materialismo
La prospettiva indicata nei vv. 15-16 era ed è una prospettiva che certi cristiani non hanno! O se ce l’hanno non la praticano!
All'inizio del secondo secolo, a Roma, l'anonimo scrittore del Pastore di Erma trovò necessario svergognare quei cristiani del suo tempo perché non mettevano al centro della loro vita la prospettiva della città celeste, non facevano della città di Dio l'oggetto del loro desiderio.
Il Pastore di Erma scriveva:"Voi sapete che siete servi di Dio, abitate in terra straniera, perché la vostra città è lontana da questa città [cioè Roma]. Se dunque riconoscete la vostra Città, nella quale abiterete, perché preparate qui campi e costosi allestimenti, edifici e abitazioni che sono superflui? Chi prepara queste cose per questa città non intende tornare alla propria città".
Queste parole ci richiamano a vivere una vita più semplice, a non ricercare il materialismo e a investire nel progresso del regno di Dio!
Il teologo James Dagg parlando che i cristiani saranno nella Gerusalemme celeste con Gesù e con Dio Padre oggetto del loro amore e fonte della loro gioia scrive: “In tale società passeremo l'eternità. Stiamo viaggiando verso la nostra ultima dimora, attraverso una terra deserta, una landa desolata e ululante, ma cerchiamo una città; e Dio non si vergogna di essere chiamato il nostro Dio, poiché ha preparato per noi una città. Una città è un luogo dove la società abbonda. I ricchi e i nobili ricorrono alle città per godersi la vita. Qui ostentano la loro ricchezza, erigono magnifici palazzi per la loro residenza e moltiplicano al massimo i mezzi di godimento. Nella nostra casa eterna, non saremo pellegrini solitari; ma noi abiteremo nella città del nostro Dio; dove si godrà la società più nobile, dove gli abitanti saranno tutti ricchi, arricchiti dalla povertà di Gesù, e tutti re e sacerdoti a Dio; e dove il Re dei re tiene la sua corte e ammette tutti alla sua gloriosa presenza”.
Dovremmo rivedere il nostro stile di vita e le nostre priorità, compreso l'uso del nostro tempo, denaro e beni secondo quello che è stato l’esempio di Gesù, o di Paolo che hanno dato tutto ciò che avevano per l’opera di Dio!