Ecclesiaste 1:1-2: L’autore del libro “Ecclesiaste” e il suo scopo
Ecclesiaste 1:1 dice: “Parole dell'Ecclesiaste, figlio di Davide, re di Gerusalemme. Vanità delle vanità, dice l'Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità”.
Il libro dell’Ecclesiaste è una lettura difficile, e questo lo puoi capire quando cominci a leggerlo e ti viene difficile interpretarlo; poi prendi un commentario che dovrebbero aiutarti a capirlo e nell’introduzione trovi scritto frasi tipo: "Questo libro è uno dei libri più difficili di tutta la Bibbia, uno che nessuno ha mai completamente padroneggiato"; oppure: "Duemila anni di studi e interpretazioni hanno completamente fallito nel capire ciò che voleva dire veramente l’autore quando parlava di vanità".
David Guzik scrive: “Il libro dell'Ecclesiaste è uno dei libri più insoliti e forse più difficili da capire della Bibbia. Ha uno spirito di disperazione senza speranza; non ha lode né pace; sembra promuovere comportamenti discutibili. Eppure queste parole del predicatore ci mostrano la futilità e la stoltezza di una vita vissuta senza una prospettiva eterna. La questione nell'Ecclesiaste non riguarda l'esistenza di Dio; l'autore non è ateo, e Dio è sempre lì. La domanda è se Dio conta o meno. La risposta a questa domanda è di vitale importanza connessa a una responsabilità verso Dio che va oltre questa vita terrena”.
L’Ecclesiaste mette in evidenza che la vita non ha significato se non abbiamo una relazione con Dio di timore e obbedienza.
Alla domanda perché studiare l’Ecclesiaste Philip Graham Ryken da diverse ragioni, ne riporto due: “Dovremmo studiare l'Ecclesiaste perché è onesto sui problemi della vita, così onesto che il grande romanziere americano Herman Melville una volta lo definì ‘il più vero di tutti i libri’. Più di ogni altra cosa nella Bibbia, l'Ecclesiaste cattura la futilità e la frustrazione di un mondo caduto… Dovremmo anche studiare l'Ecclesiaste per imparare cosa ci accadrà se scegliamo ciò che il mondo cerca di offrire invece di ciò che Dio ha da dare. Lo scrittore di questo libro aveva più soldi, godeva di più piaceri e possedeva più saggezza umana di chiunque altro al mondo, eppure tutto finiva ancora in frustrazione. Lo stesso accadrà a noi se viviamo per noi stessi piuttosto che per Dio. ‘Perché commettere i propri errori’, ci sta dicendo lo scrittore, ‘quando invece si può imparare da un esperto come me?’”
I LE PAROLE
“Parole dell'Ecclesiaste”.
Consideriamo:
A) Il potere delle parole
La poetessa Emily Dickinson disse: “Non conosco nulla al mondo che abbia tanto potere quanto la parola. A volte ne scrivo una, e la guardo, fino a quando non comincia a splendere”.
Sia nel presente che nella storia dell’umanità, apprendiamo quanto le parole possano essere importanti, siamo consapevoli del potere che hanno.
Ne era convinto anche il famoso neurologo e psicoanalista Sigmund Freud quando diceva: “Le parole erano originariamente incantesimi, e la parola ha conservato ancora oggi molto del suo antico potere magico. Con le parole un uomo può rendere felice un altro, o spingerlo alla disperazione, con le parole l’insegnante trasmette il suo sapere agli studenti, con le parole l’oratore trascina l’uditorio con sé e ne determina i giudizi e le decisioni. Le parole suscitano affetti e sono il mezzo generale con cui gli uomini si influenzano reciprocamente”.
Le parole allora, hanno il potere d’incoraggiare, o di distruggere le persone, il potere anche, di cambiare il corso della storia.
Ci sono numerosi libri che trattano i tanti discorsi che hanno cambiato il corso della storia.
Per esempio sono famosi i discorsi e le trasmissioni di Winston Churchill in tempo di guerra come hanno portato ispirazione e determinazione al popolo britannico nel fronteggiare la forte minaccia nazista.
Certamente erano discorsi fatti con molta cura, come anche quelli dell’Ecclesiaste, su cui ha riflettuto a lungo.
Quindi vediamo:
B) La ponderazione delle parole
“Parole” (dibrê – sostantivo maschile plurale) si riferisce alle brevi dichiarazioni, brevi messaggi, o brevi discorsi (cfr. per esempio Genesi 11:1; Isaia 36:5; Geremia 51:64), possiamo dire anche una raccolta d’insegnamenti appunto dell’Ecclesiaste.
In Ecclesiaste 12:11-12 viene chiarito che si tratta di una raccolta di perle di saggezza messe insieme e ben organizzate che ha insegnato, e sono parole ben ponderate di verità.
Allora queste parole non dovrebbero essere pensate solo come detti messi insieme casualmente, ma come un'attenta e riflessiva ricerca, creazione e raccolta di materiale in un insieme letterario.
Infatti, sebbene “parole” potesse avere il senso del discorso orale, non si può escludere la possibilità che le parole dell’Ecclesiaste fossero una composizione scritta per istruire suo figlio (Ecclesiaste 12:12,14); come anche il popolo (Ecclesiaste 12:11), infatti Ecclesiaste 1:12–12:7 ha il tono di una lezione di un insegnante ai suoi studenti.
“Parole”, descrive tutto il discorso trattato in questo libro chiamato: “Ecclesiaste” perché appunto sono parole dell’Ecclesiaste.
Il versetto indica che sebbene l'autore dell'opera fosse un re, non scrive secondo questa funzione, non sta parlando in qualità di re, ma di insegnante.
Il libro contiene insegnamenti, consigli e riflessioni più che decreti.
È interessante che questa parola era usata per trasmettere anche la comunicazione divina.
Spesso la parola del Signore significava la rivelazione data ai profeti (2 Samuele 7:4; Geremia 25:3; Osea 1:1).
Allo stesso modo, i Dieci Comandamenti furono letteralmente chiamati le dieci parole del Signore (Esodo 34:28; Deuteronomio 4:13).
Seguendo il Targum (la traduzione aramaica dell’Antico Testamento) lo studioso Stuart Weeks, secondo certi versetti nel libro per come sono stati tradotti in Aramaico (Ecclesiaste 1:1; 4:15), vede nelle parole dell’Ecclesiaste un’ispirazione profetica, quindi una conoscenza al di là del normale accesso umano (Ecclesiaste 1:2; 3:11,14; 9:7; 10:7).
Vediamo ora:
C) La persona delle parole
La parola Ebraica per “ecclesiaste” (qōhelet) non ricorre in nessun'altra parte dell'Antico Testamento se non in questo libro (sette volte) e il suo significato è incerto.
“Ecclesiaste” descrive una funzione, o occupazione.
La parola “ecclesiaste” (qōhelet) viene dalla radice qāhal, che significa "convocare un'assemblea", “radunare”, quindi "rivolgersi a un'assemblea".
“Ecclesiaste” è una traduzione (la Settanta - traduzione greca dell’Antico Testamento) del greco “ecclēsiastēs” che denota un individuo “che siede, o parla
nell' ekklēsia, cioè un'assemblea di cittadini locali” (Whybray).
Così allora indicherebbe, “colui che chiama, o raduna, o guida l’assemblea”, oppure: “Colui che parla a un'assemblea” quindi un oratore, un predicatore, un insegnante che parla all’assemblea, non certamente come avviene oggi in una classe moderna (cfr. per esempio Ecclesiaste 12:11-12).
Lo studioso Albert Barnes parlando della parola “Ecclesiaste” scriveva: “Descrive una persona nell'atto di convocare un'assemblea di persone come con l'intenzione di rivolgersi a loro”.
Così Girolamo disse: "Con questo termine è designato un uomo che riunisce un gruppo, cioè una congregazione; uno che dovremmo chiamare predicatore”.
Tenendo conto dello status regale di questa persona, forse dovremmo immaginare una scena come quella in 1 Re 8 dove il re Salomone radunò il popolo di Israele a Gerusalemme per la dedicazione del tempio e si rivolse all’assemblea (1 Re 8: 1,2,14,22,55).
Così anche il re Giosia radunò il popolo per leggere ed esortare il popolo a mettere in pratica il libro del patto (2 Re 23:1-3).
Oppure “Ecclesiaste”, secondo altri studiosi, indicherebbe il raccogliere detti sapienziali in forma codificata (cfr. Ecclesiaste 12:11); in questo senso l’Ecclesiaste ha esaminato le cose specificatamente per capirne la ragione (Ecclesiaste 7:27), quindi era uno studioso che ha investigato, raccolto informazioni e codificato una ricchezza di osservazioni.
L’ecclesiaste, allora era uno che raccoglieva materiale didattico per insegnare agli altri.
Come osserva William Brown: “La sua missione è trovare la somma delle cose, arrivare a un resoconto unificato di tutto ciò che accade ‘sotto il sole’”.
Certamente le due interpretazioni non si escludono, ma possono essere accettate entrambe contemporaneamente.
Non c'è motivo per cui l’Ecclesiaste non possa riferirsi sia a colui che insegna al pubblico e sia a colui che raccoglie attentamente materiale per l'istruzione pubblica.
In Ecclesiaste 12:11-14 vediamo entrambi le interpretazioni, sia colui che ha raccolto il materiale didattico e sia un insegnante, o un predicatore.
Derek Kidner scrive: “Dal racconto più completo dell'autore in 12:9 s. abbiamo il ritratto di uno studioso la cui vocazione è l'insegnamento, la ricerca, l'editing e la scrittura creativa. Ciò che il suo libro nel suo complesso ci dice indirettamente è che è tanto sensibile quanto coraggioso e maestro di stile”.
Ma attenzione!
Queste parole dell’Ecclesiaste sono parole ispirate da Dio, cioè è stato influenzato dallo Spirito Santo in modo che scrivesse e a annunziasse in maniera esatta e con autorità il messaggio ricevuto da Dio.
Questa influenza era estesa fino all’uso delle parole per preservarle da qualsiasi errore e omissione (1 Corinzi 2:13; 3:16; 2 Pietro 1:21).
E quindi in questo senso, queste parole, vanno riconosciute e accettate come da parte di Dio, e questo implica che saranno il nostro punto di riferimento e regola di credo e comportamento.
L’Ecclesiaste pronuncia parole che devono essere prese profondamente sul serio come tutta la Bibbia!
Dopo le parole, vediamo:
II LA POSIZIONE DELL’ECCLESIASTE
Qual era la posizione sociale dell’Ecclesiaste?
A) L’Ecclesiaste era di stirpe regale: era il re Salomone
L’Ecclesiaste è: “Figlio di Davide, re di Gerusalemme”.
Al v.12 è scritto: “Io, l'Ecclesiaste, sono stato re d'Israele a Gerusalemme”.
Quindi, l’Ecclesiaste era figlio del re Davide e anche lui è stato re d’Israele.
Anche se non tutti gli studiosi sono daccordo, ci sono prove a sufficienza per indicare che l’Ecclesiaste era il re Salomone.
Almeno per tre motivi.
Un primo motivo è:
(1) Perché Salomone è l'unico dei figli di Davide che governò su un Israele unito da Gerusalemme (cfr. per esempio Ecclesiaste 1:12; 1 Cronache 29:25).
Solo Davide e Salomone erano re su Israele a Gerusalemme con il regno unito.
Un secondo motivo è:
(2) Perché Salomone ha scritto altri libri sapienziali, o poetici come il libro dei Proverbi (Proverbi 1:1), e il Cantico dei Cantici (Cantico dei Cantici 1:1).
Un terzo motivo è:
(3) Perché Salomone era un uomo saggio
In 1 Re 3, appena insediato re, Salomone pregò che Dio gli desse saggezza, e Dio gli è la diede tanto che nessuno sarebbe stato simile a lui nella storia (1 Re 3:1-12; cfr. Ecclesiaste 1:16).
In 1 Re 4:29-34 troviamo scritto: “Dio diede a Salomone sapienza, una grandissima intelligenza e una mente vasta com'è la sabbia che sta sulla riva del mare. La saggezza di Salomone superò la saggezza di tutti gli orientali e tutta la saggezza degli Egiziani. Era più saggio di ogni altro uomo; più di Etan l'Ezraita, più di Eman, di Calcol e di Darda, figli di Maol; e la sua fama si sparse per tutte le nazioni circostanti. Pronunziò tremila massime e i suoi inni furono millecinque. Parlò degli alberi, dal cedro del Libano all'issopo che spunta dalla muraglia; parlò pure degli animali, degli uccelli, dei rettili, dei pesci. Da tutti i popoli veniva gente per udire la saggezza di Salomone, da parte di tutti i re della terra che avevano sentito parlare della sua saggezza”.
In secondo luogo vediamo:
B) L’Ecclesiaste penitente
Salomone era il più sapiente del mondo antico, eppure commise anche lui dei peccati, si comportò da stolto!
Salomone è noto per la sua saggezza, eppure finisce per percorrere il sentiero di uno stolto.
Anche le persone più sagge e spirituali possono cadere nel peccato!
Ciò che impariamo da Salomone è: dove una persona è più forte potrebbe anche essere la sua più grande debolezza!
È nell’area della nostra più grande forza, da dove dipenderanno le nostre capacità che saremo più attaccati dal diavolo!
Pertanto dobbiamo stare molto attenti a non cadere (cfr. per esempio 1 Corinzi 10:12).
Pietro era sicuro di non rinnegare mai Gesù, ma lo rinnegò! (Marco 14:66-72).
Salomone violò i comandi reali di Deuteronomio 17 e accumulò beni e donne per sé.
Jon Courson scrive: “In Deuteronomio 17, Dio disse specificamente che quando un re saliva al trono, non doveva moltiplicare mogli, cavalli, oro o argento per sé. Eppure, con settecento mogli, più trecento concubine per buona misura, con abbastanza cavalli per riempire le enormi stalle di Meghiddo, i cui resti esistono ancora oggi, e con abbastanza oro nel suo regno da rendere l'argento praticamente privo di valore, è ovvio che Salomone ignorò l'ingiunzione di Dio”.
Salomone ebbe settecento mogli e trecento concubine (1 Re 11:3) che lo allontanarono dal Signore per seguire gli idoli (1 Re 11:1-8).
Non si negò nulla di ciò che desiderava, e di conseguenza, rovinò il suo regno e Dio disse a Salomone che, dopo la sua morte, il suo regno sarebbe stato diviso (1 Re 11:9-13).
Anche se non c’è modo di verificarlo con certezza, è probabile che quest’opera, Salomone l’abbia scritta quando era abbastanza anziano da come vediamo dal tono del libro.
Josh Hunt scrive: “L'Ecclesiaste sembra essere il tipo di libro che una persona scriverebbe verso la fine della vita, riflettendo sulle esperienze della vita e sulle lezioni apprese”.
Non c'è scritto che il re Salomone si pentì e si rivolse al Signore, ma il suo messaggio nell'Ecclesiaste suggerirebbe che lo fece.
Questo è quello che credono molti studiosi, e cioè che alla fine dei suoi anni, Salomone si pentì!
Daniel e Jonathan Akin scrivono: “La tradizione dice che l'Ecclesiaste rivela un Salomone più anziano e pentito che contempla i suoi errori e ciò che ha imparato”.
Così questo libro dell'Ecclesiaste è stata la dichiarazione degli errori e penitenza di Salomone, sarebbe la prova che egli ritornò a Dio alla fine della sua vita.
Così anche Philip Graham Ryken dice: “Dopo essersi allontanato da Dio ed essere caduto in un tragico peccato, Salomone si pentì delle sue vie peccaminose e tornò al giusto e giusto timore di Dio. Ecclesiaste è il suo libro di memorie, un resoconto autobiografico di ciò che ha imparato dal suo futile tentativo di vivere senza Dio. In effetti, il libro è il suo testamento finale, scritto forse per guidare suo figlio Roboamo nella giusta direzione spirituale”.
Infatti, nella conclusione, il padre avverte il figlio di non seguire le sue orme, ma lo indirizza nella giusta direzione, quella del timore e dell’obbedienza a Dio (Ecclesiaste 12:14-16).
Così questo è un libro di memorie di Salomone, un resoconto autobiografico di ciò che ha imparato dal suo futile tentativo di vivere senza Dio.
Infine vediamo:
III IL PUNTO
Il messaggio di Salomone nell'Ecclesiaste è rilevante ancora oggi dopo molti secoli.
Le persone associano la felicità alla prosperità.
Molti dicono: “Se potessi avere più soldi, più piaceri, più successo, allora sarei davvero felice!”
Salomone aveva tutto e aveva provato tutto, ma alla fine della sua vita, ci dice: "No! Tutto nella vita dell’umanità non ha senso, è vanità!"
Il punto allora è:
A) La vanità della vita
Al v.2 leggiamo:“Vanità delle vanità, dice l'Ecclesiaste, vanità delle vanità, tutto è vanità”.
Allora il punto principale del libro dell'Ecclesiaste è: tutto è vanità!
In questo versetto, per ben cinque volte, l’Ecclesiaste scrive “vanità”, tutto è vanità!
Questa è davvero una dichiarazione scioccante!
Non è certo un inizio stimolante di un libro! Eppure, questo sarà il motto dell’Ecclesiaste in tutto il libro.
Se ho contato bene, la parola “vanità”, la troviamo altre trentadue volte in tutto il libro, è il filo rosso, il tema centrale del libro.
La parola Ebraica per “vanità” (hĕbēl) letteralmente denota, vapore, soffio, o respiro (cfr. per esempio Salmo 144:4; Proverbi 21:6; Isaia 57:13); ma qui seguendo il significato della parola, è usato metaforicamente per indicare inconsistente, senza sostanza, che non ha valore, senza senso, privo di significato, vuoto, futile, inutile, inconsistente, illusorio (cfr. per esempio Giobbe 9:29; 35:16; Salmo 62:9; 94:11; Proverbi 21:6; 31:30; Isaia 30:7; 49:4; Geremia 8:19; 10:15;16:19; 51:18; Zaccaria 10:2).
Derek Kidner scrive:” Un filo di vapore, uno sbuffo di vento, un semplice respiro – niente su cui potresti mettere le mani; la cosa più vicina a zero. Questa è la 'vanità' di cui parla questo libro".
William Brown commentando questo versetto scrive: ”La ‘vanità’ è come un miraggio, o più precisamente, una fata morgana in cui gli sforzi, le speranze e i piani umani ‘evaporano’ davanti alle vicissitudini della vita e vengono sostituiti dal bisogno e dalla miseria… Il verdetto di vanità di Qoheleth riconosce che non importa quanto duramente ci provino, gli esseri umani non possono proteggersi o riempire il vuoto più di quanto possano bere acqua da un miraggio… E non c'è modo di aggirarlo, perché il vuoto della ‘vanità’, come dimostrerà il saggio, inghiotte sia l'universale che l'individuo, sia il cosmo che il corpus. Qualunque cosa significhi esattamente hebel, il mondo ne è pieno!”
Così “vanità” può avere anche il senso di fugace, fragile, temporaneo, come la vita come illustrato dal vapore (cfr. per esempio Giobbe 7:16; Salmo 39:5-6; 78:33; 144:4).
E sempre come il vapore, la parola può combinare le nozioni di essere inconsistente, privo di significato e insoddisfacente.
Giacomo 4:14 dice:”…che cos’è infatti la vostra vita? Siete un vapore che appare per un istante e poi svanisce”.
Tutto è inconsistente, privo di significato, tutto svanisce più o meno rapidamente e completamente, non lascia alcun risultato, o nessun risultato adeguato dietro, e quindi non riesce a soddisfare il cuore di una persona, che desidera naturalmente qualcosa di stabile e duraturo che gli dia serenità, sicurezza, scopo e significato, quindi illusorio!
L’Ecclesiaste rafforza il suo motto esclamandolo con un superlativo Ebraico, quando dice: “Vanità delle vanità” (hě·ḇěl hĕbālîm), e lo ripete due volte per rafforzarne il concetto.
Questa forma di linguaggio è usata altrove per indicare l'unicità e la supremazia di ciò che viene considerato, come per esempio "Cantico dei Cantici", che significa il miglior canto (Cantico dei Cantici 1:1), e "Santo dei Santi", in riferimento al luogo più santo sulla terra (santissimo - Esodo 29:37).
"Servo dei servi" (Genesi 9:25); "cielo dei cieli" (Deuteronomio 10:14; 1 Re 8:27; 2 Cronache 2:6; 6:18; Neemia 9:6); "Re dei re" (Geremia 3:19; 1 Timoteo 6,15; Apocalisse 17:14); “Signore dei signori” (Deuteronomio 10:17; Salmi 136:3; 1 Timoteo 6:15; Apocalisse 17:14).
Il superlativo sottolinea che questa affermazione è completa, assoluta!
Il senso allora è: “Il più privo di significato possibile!”
O: “Completamente privo di significato!”
Oppure: “Assolutamente privo di significato!”
Enfatizza l'universalità e la pervasività di questa verità.
Questa dichiarazione tematica che scorre in tutto il libro, questo motto allora è estremamente forte ed enfatica.
Dunque, quando l’Ecclesiaste afferma: “Vanità delle vanità, tutto è vanità”, sta dicendo con franchezza che non esiste nulla nella vita che abbia abbastanza sostanza da fornire a qualcuno stabilità, sicurezza, scopo e significato.
Ci troviamo di fronte un messaggio profondamente disperato!
L’Ecclesiaste non è semplicemente perplesso considerando la vita senza Dio, ma è anche emotivamente e psicologicamente angosciato nel considerare che tutto è vanità!
In Ebraico è “il tutto” (hakkōl) è stato interpretato per tutte le cose che ci sono in questo mondo con cui facciamo i conti, e che facciamo, che per noi sono importanti, si riferisce alle cose umane, alle esperienze umane, agli sforzi, alle intenzioni e alle prospettive degli esseri umani.
Non c'è un solo aspetto dell'esistenza umana che non sia frustrato dalla vanità!
Si riferisce alle varie attività della vita fatte al di fuori di Dio, non al mondo buono che Dio ha creato!
“Il tutto” allora include tutte le cose normali nella vita dell’umanità, e non l’intero universo creato da Dio e le cose che Dio usa per i Suoi scopi.
Secondo Brian Currie: “Non include illimitatamente le cose divine ed eterne, ma comprende tutte le cose normali nella vita degli uomini naturali. Non si tratta di insegnare che l'intero universo creato e lo scopo di Dio per esso sono futili”.
Per altri studiosi, l’Ecclesiaste con “il tutto” non pensa che ogni singola cosa del mondo, o della vita sia così privo di significato, ci sono delle cose buone nella creazione, ma si riferisce alla vita nel suo insieme, alla somma totale, quindi in senso generale tutto è vanità.
Derek Kidner dice:”Ciò che rende questa lettura della vita inquietante è che questo nulla arioso non è visto come un semplice sfarfallio sulla superficie delle cose, dove potrebbe anche aver avuto un certo fascino. È la somma totale”.
Quindi quello che l’Ecclesiaste ci vuole dire che lui ha riscontrato nella sua ricerca esistenziale e che vediamo ancora oggi è: nonostante uno si riempie di lavoro, di successi, di piaceri, e così via, la sua vita sarà sempre priva di significato e insoddisfatta!
Anche se una persona ha tutto quello che ha sempre desiderato, la sua vita, sarà insignificante e illusoria!
Sono come quelli che si sono persi nel deserto e si trascinano sotto il sole cocente e senza acqua che hanno l’illusione, il miraggio di vedere all’orizzonte ciò che non c’è!
Eppure si continuano a presentare stili di vita, da come vediamo in internet, o in televisione, o nei social, che non portano da nessuna parte!
L’Ecclesiaste, non è l’unico ad avere una visione pessimista di questa vita!
Anche personaggi più moderni vedono la vita ugualmente priva di significato.
Il drammaturgo Tennessee Williams diceva: "Viviamo tutti in una casa in fiamme, nessun corpo dei vigili del fuoco da chiamare; nessuna via d'uscita, solo la finestra al piano di sopra da cui guardare fuori mentre il fuoco brucia la casa con noi intrappolati, chiusi in essa".
Mentre lo scrittore George Orwell affermava: "La maggior parte delle persone ottiene una buona dose di divertimento dalla propria vita, ma a conti fatti la vita è sofferenza e solo i molti giovani, o gli sciocchi immaginano il contrario."
Anche il filosofo ateo Bertrand Russell in un certo senso era d’accordo con l’Ecclesiaste quando parla della realtà del mondo in cui le persone si trovano, dice così: “Siamo sulla riva di un oceano, piangendo alla notte e al vuoto; a volte una voce risponde dall'oscurità. Ma è la voce di uno che annega; e in un attimo ritorna il silenzio. Il mondo mi sembra abbastanza terribile; l'infelicità della maggior parte delle persone è molto grande, e spesso mi chiedo come tutti la sopportino. Conoscere bene le persone è conoscere la loro tragedia: di solito è la cosa centrale su cui è costruita la loro vita. E suppongo che se non vivessero la maggior parte del tempo nelle cose del momento, non sarebbero in grado di andare avanti”.
Quindi il punto è:
B) La vanità della vita è la vita senza Dio
Quindi l'Ecclesiaste presenta una visione pessimistica della vita, in uno stato d'animo di disperazione esistenziale, semplicemente per dimostrare che la vita senza Dio, Colui che ci ha creati, non ha significato, perché Dio, il Creatore ci ha creati per avere una relazione con Lui!
Senza questa relazione, tutto è vanità!
Quello che ci sta dicendo l’Ecclesiaste in modo pessimistico “fino all’osso” è che la vita senza Dio è assolutamente priva di significato!
La ricerca della felicità non può essere soddisfatta dall'uomo stesso nelle cose di questo mondo!
Le persone senza Dio, sono come i criceti su una ruota, che corrono costantemente, ma non arrivano da nessuna parte!
Il mondo è caratterizzato da un movimento costante che sembra non portare da nessuna parte! Questa è la vanità secondo l’Ecclesiaste, secondo Salomone!
Salomone si rivolge a tutti coloro la cui visione è delimitata dagli orizzonti di questo mondo!
Parlando che tutto è vanità, sta parlando del fallimento del secolarismo e di una religione secolare, di una visione che mette Dio al di fuori della propria vita!
Michael Eaton afferma che l'Ecclesiaste: "Difende la vita di fede in un Dio generoso indicando la cupezza dell'alternativa".
I nostri astuti tentativi di rendere la vita significativa senza Dio sono in definitiva inutili!
Se cerchiamo di costruire la nostra vita e di viverla senza Dio, sarà in definitiva completamente priva di significato!
Alla fine di tutti i discorsi, alla fine della sua letteratura pessimista della vita, l’Ecclesiaste conclude: “Ascoltiamo dunque la conclusione di tutto il discorso: Temi Dio e osserva i suoi comandamenti, perché questo è il tutto per l'uomo” (Ecclesiaste 12:15).
La vita non è vana se è vissuta secondo la volontà di Dio, ed è ciò che Salomone insegna in questo libro.
L’Ecclesiaste allora, ci mette in guardia da una vita presa dalla ricerca di ciò che è illusorio, di ciò che non ha significato, e cioè vivere una vita senza obbedire a Dio!
David George Moore riguardo i vv.1-2 scrive: “Considerate la natura brusca di questa introduzione. Fin dall'inizio Salomone ci mette di fronte alla triste realtà che la vita senza Dio è priva di significato. Salomone non ci prepara lentamente nella sua argomentazione. Piuttosto, ci colpisce con grandi dosi di realtà fin dall'inizio. Immaginate qualcuno che si presenta oggi in questo modo. Lo definiremmo certamente intenso o serio. Potremmo anche essere tentati di chiamarlo pazzo. Ma Salomone non è psicologicamente compromesso. Vuole semplicemente gettare acqua fredda su qualsiasi illusione che possiamo avere che la vita sia significativa al di fuori di Dio”.
Quindi la vanità consiste nel vivere senza Dio!
Lo scopo dell’Ecclesiaste in questo libro è: non c'è nulla “sotto il sole” che sia in grado di dare un significato alla vita.
Lo scopo e il senso della vita è temere Dio e osservare i Suoi comandamenti!
La nostra vita deve essere Dio-centrica!
Se vogliamo essere saggi dobbiamo seguire quello che ci dice l’Ecclesiaste e cioè: che temere Dio e osservare i suoi comandamenti, ricevere e usare i doni di Dio con gioia e gratitudine (cfr. per esempio Ecclesiaste 2:24; 3:12-13).
Sidney Greidanus scrive: "Temete Dio per trasformare una vita vana e vuota in una vita significativa che godrà dei doni di Dio".
Così il pessimismo dell’Ecclesiaste è dal punto di vista umano dalla vita senza Dio!
Potere, prestigio, piacere, e tutte le altre cose umane, non riempiranno il nostro vuoto interiore a forma di Dio, tranne Dio stesso!!
E con la visione dalla prospettiva di Dio, con Lui e per Lui, la vita diventa significativa e appagante.
Agostino diceva:”Ci hai fatti per te, e il nostro cuore è inquieto finché non trova riposo in te”.
Così alla fine, il messaggio dell’Ecclesiaste è un messaggio positivo, pieno di speranza, non deprimente, o angosciante!
Il famoso predicatore inglese John Wesley scrisse una volta nel suo diario personale che aveva iniziato una serie di predicazioni dal libro dell’Ecclesiaste: "Cominciai a esporre il libro dell'Ecclesiaste; mai prima d'ora avevo visto così chiaramente né il suo significato né le sue bellezze. Né immaginavo che le varie parti di esso fossero collegate in modo così squisito, tutte tendenti a provare la grande verità, che non c'è felicità fuori da Dio”.
Non troverai mai alcun vero significato, o felicità al di fuori della relazione con Dio!
CONCLUSIONE
Quindi i principi che vediamo con l’Ecclesiaste sono:
1) Le persone cercano il significato della vita senza Dio in molti modi
Ma:
2) Tutte le soluzioni umane danno un vero significato alla vita, sono illusorie
3) La persona che non ha una relazione di timore e di obbedienza con il Dio della Bibbia avrà una disperazione esistenziale
Quali applicazioni possiamo fare?
(a) Medita sulla valutazione di Dio della situazione umana attraverso la Bibbia, la Sua rivelazione
La Bibbia è parola di Dio, è verità e lo standard della nostra vita (cfr. per esempio Luca 16:19; Giovanni 17:17; 2 Timoteo 3:16-17; 2 Pietro 2:19-21), Dio attraverso di essa ci fa capire ciò che dobbiamo credere e come comportarci.
(b) Valuta onestamente i vari sostituti di Dio che potresti essere tentato di credere e vedi dove ti porteranno
Questo perché come afferma Duane Garrett commentando questo passo dice: “Tutto è transitorio e quindi privo di valore durevole. Le persone sono intrappolate nella trappola dell'assurdo e perseguono piaceri vuoti. Costruiscono le loro vite sulle bugie”.
Le bugie evidentemente sono il credo, o la visione della vita che mettono il Dio della Bibbia, fuori dalla propria vita.
Allora puoi pregare così: “Padre celeste tienimi lontano dall'inganno popolare secondo cui il significato e lo scopo possono essere trovati in qualsiasi cosa, o in chiunque in questo mondo, tranne Te. Nel nome di Gesù! Amen!”.