Malachia 1:6: Coloro che ricevono la disapprovazione del Signore degli eserciti
Malachia 1:6 dice: “Un figlio onora suo padre e un servo il suo padrone; se dunque io sono padre, dov'è l'onore che m'è dovuto? Se sono padrone, dov'è il timore che mi è dovuto? Il SIGNORE degli eserciti parla a voi, o sacerdoti, che disprezzate il mio nome! Ma voi dite: ‘In che modo abbiamo disprezzato il tuo nome?’”
L’ultima volta abbiamo visto il responsabile della disapprovazione, oggi vediamo i riceventi della disapprovazione del Signore degli eserciti, cioè i sacerdoti.
In questo periodo storico d’Israele, il popolo aveva dimenticato le proprie priorità e mise i propri interessi e bisogni al di sopra di quelli del Signore (cfr. per esempio Aggeo 1:2–6).
Purtroppo, questa verità caratterizzava anche il loro culto, infatti, mentre il popolo prosperava, offriva al Signore gli avanzi, o il peggio dei sacrifici (Malachia 1:6–10), e i sacerdoti non facevano nulla per correggere questo comportamento sbagliato nei riguardi del Signore degli eserciti.
C’era un declino vocazionale dei sacerdoti, e il Signore mediante Malachia si rivolge proprio a loro.
Era loro responsabilità intercedere tra il popolo e il Signore offrendo sacrifici, guidandoli nell'adorazione e negli insegnanti della Torah, della legge del Signore.
Per loro fallire significava portare all'inevitabile fallimento anche il resto della popolazione nelle sue responsabilità davanti a Dio.
Come un figlio onorava il padre, e un servo il Suo padrone, così dovevano fare i sacerdoti con Dio Padre e Signore.
Ma i sacerdoti non lo facevano, disprezzavano regolarmente il Signore degli eserciti.
Quindi cominciamo a vedere:
I I RICEVENTI DELLA DISAPPROVAZIONE
“Il SIGNORE degli eserciti parla a voi, o sacerdoti, che disprezzate il mio nome!”
Dio è dispiaciuto ogni volta che non riusciamo a dargli la gloria che merita!
Prima di tutto vediamo Colui che disapprova, è:
A) Il Signore degli eserciti
“Il SIGNORE degli eserciti parla”.
“Parla” (ʾāmar - qal perfetto attivo) è una formula comune e profetica del messaggero del Signore.
“Parla” indica il solenne e autorevole messaggio del Signore degli eserciti (altri esempi Aggeo 2:7,9; Zaccaria 7:13; 8:14).
In questo capitolo “Signore degli eserciti” è ripetuto otto volte, ventiquattro volte in tutto Malachia! Un libro di soli quattro capitoli!
Citando questo nome in modo ridondante, il Signore mediante Malachia, vuole ricordare la natura di Colui che invia il messaggio in modo che gli ascoltatori pongano attenzione e rivedano il loro cattivo comportamento.
Vuole ricordare ai sacerdoti ipocriti la grandezza di Dio e che con Lui non si può essere ipocriti e superficiali!
Questo nome ci parla della trascendenza, sovranità e potenza di Dio, della Sua superiorità sovrana, della Sua immensa potenza, e in questo contesto sottolinea una validissima ragione per ascoltare la Sua parola, riportando alla mente dei sacerdoti appunto la caratteristica di chi è Dio!
Quindi i riceventi della disapprovazione del Signore degli eserciti sono:
B) I sacerdoti
“Parla a voi, o sacerdoti, che disprezzate il mio nome!”
Al posto di onorare e temere il Signore, i sacerdoti disprezzavano il Suo nome!
Anche una persona religiosa può disprezzare il Signore!
Sebbene il popolo nel suo insieme sia colpevole (Malachia 1:14), il Signore si rivolge a coloro che dovrebbero guidare il popolo nell'onorare il suo Dio.
Il vocativo: “O sacerdoti”, comporta un certo impatto di sorpresa, di schock per il popolo e di fastidio per i sacerdoti ripresi, sia oggi come nel periodo di Malachia!
Nessuno si aspetterebbe che i sacerdoti (hakkōhĕnîm) disonorino il Signore, ma è quello che è avvenuto nella storia biblica, nella storia della chiesa e avviene anche ai nostri giorni!
I sacerdoti dovevano aiutare il popolo a glorificare il Signore, questo era il loro compito e non farlo significava morire!
Molti anni prima, dopo che i sacerdoti figli di Aaronne, Nadab e Abiu morirono giudicati per un fuoco che uscì dalla presenza del Signore perché avevano offerto un fuoco estraneo, in Levitico 10:3 leggiamo: “Allora Mosè disse ad Aaronne: ‘Questo è quello di cui il SIGNORE ha parlato, quando ha detto: - Io sarò santificato per mezzo di quelli che mi stanno vicino e sarò glorificato in presenza di tutto il popolo-‘. Aaronne tacque”.
Questo versetto sottolinea una sorta di adempimento, o avvertimento di quello che aveva detto il Signore in una circostanza che non viene riportata nella Bibbia.
Oppure può essere un riassunto di Esodo 29:44–45; 40:34–35, o di quanto avvenne nel capitolo 9.
Comunque, il Signore ha rivelato la Sua santità mettendo a morte Nadab e Abihu.
R.H. Harrison scrive: ”Poiché la santità è uno degli attributi spirituali più caratteristici di Dio, è destinata a manifestarsi tra coloro che sono a lui associati”.
Dio si era fatto conoscere come geloso della Sua gloria (cfr. per esempio Esodo 20:3-6; Isaia 42:8; 48:11), e stava solo agendo in modo coerente con la Sua santità.
Se il Signore fosse rimasto indifferente al peccato di quei due sacerdoti, o se avesse fatto qualsiasi altra cosa, avrebbe sollevato dubbi sulla Sua santità, che non fosse davvero così puro, così vigile, o così potente, come Israele avrebbe potuto credere dal comportamento negligente dei sacerdoti Nadab e Abiu tollerato.
Se il Signore aveva difeso il Suo onore altre volte nella storia sia con i pagani, e sia con il popolo d’Israele, perché i sacerdoti irrispettosi verso di Lui, non dovevano essere giudicati da Dio?
Dovevano prestare un'obbedienza meno esigente di quella degli altri?
Assolutamente no!
L’azione rapida del Signore, ha risparmiato il popolo dalla Sua ira, e uno dei motivi per cui questo rimprovero di Dio è stato proclamato e registrato è che la comunità poteva avere una maggiore consapevolezza della santità del Signore ed essere spinta a onorarlo.
I sacerdoti erano quelli che erano più vicini al Signore per servirlo e quindi si dovevano santificare (cfr. per esempio Esodo 19:22; Ezechiele 42:13; 43:19)
Più ci si avvicina a Dio, più ci si deve santificare e maggiore deve essere l’attenzione nel comportamento, quindi anche nel servizio per Lui.
Più una persona è vicina a Dio, più attenzione deve prestare alla santità e alla gloria di Dio, e quindi nel modo di relazionare con Lui, nel comportamento e nel servizio, nell’obbedienza a Lui!
Il loro servizio richiedeva il massimo grado di vigilanza, cautela e sensibilità.
L’obbedienza al Signore richiede scrupolosità e impegno nei minimi dettagli se lo vogliamo glorificare veramente come Padre, o se lo temiamo veramente come Signore!
Quindi i sacerdoti avevano una pesante responsabilità!
Derek Tidball a riguardo scrive: “Quanto più si è vicini a Dio, tanto più si deve essere attenti alla sua santità e al suo onore; maggiori sono i privilegi che si sono ricevuti, più si deve essere attenti ad adempiere alle proprie responsabilità. Come avvertì Gesù: “A chi molto è stato dato, molto sarà richiesto; e a chi molto è stato affidato, tanto più si richiederà” (Luca 12:48). Essere vicini a Dio conferisce enormi benefici ma, nello stesso tempo, mette in pericolo, come hanno scoperto i sacerdoti. Nonostante tutta la grazia che fornisce, richiede ancora un'obbedienza pronta ed esatta dai suoi servi.
Pertanto, se Dio avesse tollerato un'obbedienza negligente e irrispettosa, come quella dei sacerdoti Nadab e Abiu, l'intero Israele avrebbe potuto presto avvicinarsi a Lui in modo negligente, o irrispettoso.
Ed era quello che stava accadendo nel periodo di Malachia!
Violando il patto di Levi, come è scritto in Malachia 2:8, quei sacerdoti, avevano fatto cadere molti!
I sacerdoti si dovevano santificare e dovevano mediare tra il Signore e il popolo come il Signore aveva istruito e voleva, in questo modo i sacerdoti lo avrebbero onorato, lo avrebbero glorificato davanti al popolo e il popolo avrebbero seguito il loro buon esempio.
Come dice James Montgomery Boice: “In altre parole, il problema della nazione era riconducibile al fallimento nella vita personale e nella devozione di coloro che Dio aveva chiamato a servirlo”.
I sacerdoti erano un esempio per il popolo, erano in una posizione di grande influenza in Israele.
I loro atteggiamenti verso Dio e i rituali dei sacrifici sarebbero stati adottati dalla popolazione.
I sacerdoti, dunque disprezzavano il nome del Signore!
“Nome” (šēm) indica tutta la persona di Dio, rappresenta Dio stesso (cfr. per esempio, Genesi 4:26; 12:8; Esodo 20:24; 23:20-21; Levitico 24:11; Deuteronomio 12:5; 28:58; 1 Samuele 25:25; 2 Samuele 7:13; Salmo 8:1; 22:22; 54:1,6; Proverbi 18:10; Isaia 30:27; 56:6; Michea 4:5; Giovanni 12:28; 17:6, 26), si riferisce agli attributi di Dio, o alla Sua vera natura così come si è rivelato nelle Sue opere.
Oppure il nome si riferisce al nome come si è presentato a Mosè, il nome del patto, Yahweh.
I Leviti sono stati incaricati di servire “nel nome del Signore” (Deuteronomio 18:5,7; 21:5), il che significava che oltre ad essere Suoi rappresentanti, dovevano riflettere il Suo carattere santo nelle loro vite (cfr. per esempio Levitico 21:6).
Dovevano anche benedire il popolo mettendo il nome del Signore sul popolo pronunciando una benedizione (Numeri 6:22–27).
In quanto regno di sacerdoti, gli Israeliti devono portare il nome del Signore e riflettere così il suo carattere nelle loro vite affinché il nome del Signore fosse conosciuto tra le nazioni (cfr. per esempio Deuteronomio 4:6-8; 26:19; 28:10; Giosuè 7:9; 1 Re 8:41,43).
I sacerdoti ai tempi di Malachia, erano negligenti nel loro servizio al Signore, nei loro doveri!
Ciò che sapevano di Dio non li impressionava, come oggi anche per moti che si dicono di essere credenti!
I sacerdoti designati a essere custodi del patto e chiamati a offrire i sacrifici (Deuteronomio 33:9-10), che avevano la responsabilità di insegnare la Torah, la legge del Signore, e di discernere tra il santo e il profano, tra l'impuro e il puro Levitico 10:10–11), come guide nella comunità del patto, per insegnare al popolo le vie del Signore e presentare le offerte e i sacrifici del popolo al Signore, sono accusati di disprezzare il Signore degli eserciti!
Come custodi del patto e sovrintendenti dei sacrifici del popolo a Dio, avrebbero dovuto fornirgli un esempio etico-religioso che non hanno dato! (cfr. Malachia 2:5-8).
Il verbo “disprezzate” (bôzê - qal attivo participio) indica che questo è uno stato di cose in corso, abituale, suggerisce un'azione continua, ed è un tema centrale in Malachia (Malachia 1:6,7,12; 2:9).
È l'atteggiamento continuo di mancanza di rispetto per il Signore.
Thomas McComiskey scrive: “L'accusa di aver ‘disprezzato il mio nome’ non è semplicemente una dichiarazione di un insulto alla reputazione di Dio o simili, ma equivale a dire ‘hanno sfidato la mia autorità e disobbedito alla mia volontà’".
"Disprezzo" altrove indica la disobbedienza all'autorità del patto (cfr. esempio, Numeri 15:31; 2 Samuele 12:9; Ezechiele 16:59).
Invece del rispetto, Dio ha ricevuto “disprezzo”; è stato trattato con leggerezza, non era importante per i sacerdoti (cfr. per esempio 1 Samuele 10:27; 17:42).
"Disprezzo" indica un atteggiamento interiore che ha chiaramente un impatto sulla relazione con il Signore degli eserciti!
La parola “disprezzare” (bāzāh) significa “elevare altamente e sdegnosamente la testa”, implica svalutare qualcuno, trattare come inutile, vederlo come insignificante, quindi i sacerdoti non davano il giusto valore a Dio!
Quei sacerdoti trattavano Dio come niente, non importante!
Non gli davano la gloria che il Signore degli eserciti meritava!
Disprezzare, dunque, è l’opposto di onorare, glorificare!
Certamente erano colpevoli anche le persone che portavano animali non idonei ai sacrifici (cfr. per esempio Malachia 2:14), ma che comunque i sacerdoti accettavano!
Noi cristiani siamo tutti sacerdoti del Signore! Attenzione a non disprezzarlo!
1 Pietro 2:9 leggiamo: “Ma voi siete una stirpe eletta, un sacerdozio regale, una gente santa, un popolo che Dio si è acquistato, perché proclamiate le virtù di colui che vi ha chiamati dalle tenebre alla sua luce meravigliosa”.
Non siamo più sacerdoti come lo erano quelli sotto l’Antico Patto, perché nel Nuovo di cui facciamo parte noi oggi, quello di Gesù Cristo (Matteo 26:26-29), non offriamo più sacrifici per i peccati, perché lo ha fatto Gesù una volta e per sempre (cfr. per esempio Ebrei 9-10), e rimane Sacerdote in eterno (cfr. per esempio Ebrei 7:14-28;), l’unico mediatore tra Dio e gli uomini (1 Timoteo 2:5).
Come sacerdoti possiamo offrire al Signore sacrifici spirituali graditi a Dio per mezzo di Gesù (Ebrei 13:15; 1 Pietro 2:5), avere il privilegio di servire alla presenza di Dio, di avvicinarci a Lui grazie a Gesù in qualsiasi momento (cfr. per esempio Giovanni 14:6; Efesini 3:12; Ebrei 4:14-16; 9:1–10:25), e di proclamare le Sue virtù.
Non pensare che non potresti cadere mai come hanno fatto quei sacerdoti che riprese Malachia!
Ricordati dell’esempio di Pietro che disse che non avrebbe mai tradito Gesù e lo ha rinnegato tre volte (Matteo 26:69-75).
Ricordando i peccati del popolo d’Israele ai Corinzi affinchè non seguissero il suo esempio Paolo dice loro: “Perciò, chi pensa di stare in piedi, guardi di non cadere” (1 Corinzi 10:12).
Paolo avverte coloro che sono orgogliosi della propria sicurezza spirituale inattaccabile, basata sulla propria conoscenza ed esperienza spirituale, e quindi di una certa fiducia in loro stessi.
Si riferisce a coloro che si considerano spiritualmente forti e sufficientemente qualificati tanto da non peccare!
Ma confidare in noi stessi è una falsa garanzia!
Quelli che cadono più facilmente sono coloro che credono che non lo faranno mai!
“Nessuno è così vicino a cadere come coloro che sono più sicuri nella propria posizione” (William Burkitt).
Possiamo avere un’eccessiva sicurezza e fiducia in noi stessi, ma possiamo sbagliare come Davide (2 Samuele 11), o Pietro (Luca 22:33-34).
Noi troviamo un avvertimento qui che è quello di non confidare in noi stessi, ma in Dio! (Salmo 20:7).
Faremo bene a essere umili e a fare attenzione a non cadere confidando nelle nostre capacità seguendo l’esempio negativo di Pietro e degli altri discepoli! (cfr. 1 Corinzi 10:12).
Quando confidiamo nelle nostre forze, il nostro sforzo non sarà vincente, è in Dio che dobbiamo confidare per la vittoria! (Salmo 27:1-3; Isaia 12:2; 26:3-4).
Consideriamo ora:
II IL RIFIUTO DELLA DISAPPROVAZIONE
“Ma voi dite: ‘In che modo abbiamo disprezzato il tuo nome?’”
L'obbedienza è la giusta risposta delle persone ai comandi di Dio!!
La vera obbedienza include le giuste azioni secondo la volontà di Dio.
L’obbedienza è segno che siamo nati di nuovo (Ezechiele 36:26-28), che facciamo parte del Nuovo Patto (Geremia 31:33-34).
L’obbedienza a Dio è la prova che una persona è stata salvata! (cfr. Efesini 2:8-10; Tito 2:14).
L’obbedienza è la prova che hai conosciuto Dio (cfr. 1 Giovanni 2:4-6).
Ma è importante non obbedire in modo parziale come facevano questi sacerdoti!
L'obbedienza parziale è in realtà disobbedienza fatta per sembrare accettabile.
“In che modo abbiamo disprezzato il tuo nome?” indica:
A) L’obiezione
Il Signore mediante Malachia rimprovera i sacerdoti che lo disprezzano, ma i sacerdoti non lo ammettevano, rispondono: “In che modo abbiamo disprezzato il tuo nome?”
I sacerdoti contestano l’affermazione del Signore degli eserciti!
I sacerdoti non si riconoscono nell'accusa che viene mossa loro.
C’è una vera e propria sfida al Signore negando la Sua affermazione a loro riguardo!
Certo, come dice Davide nel Salmo 19:12, ci sono peccati di cui non siamo consapevoli, ma non sembra il caso in questo contesto, infatti come potevano trascurare un aspetto così importante del culto al Signore di non offrire animali perfetti in sacrificio?
Era l’a b c del loro servizio cultuale per il Signore!
Anche dalla riprensione del Signore non sembra così!
È anche vero che quando si vive nel peccato, la coscienza diventa spiritualmente insensibile nonostante la rivelazione e il compito affidato loro dal Signore!
E ancora possiamo dire che quando si pensa che obbediamo al Signore perché abbiamo fatto una cosa che ci ha ordinato di fare, siamo soddisfatti anche se lo abbiamo fatto in modo parziale, o imperfetto, come hanno fatto questi sacerdoti pensando che il Signore non ci facesse caso!
John Mackay scrive: “Forse la loro familiarità con la verità di Dio li ha portati a considerarla (e lui) come ordinaria e di poco conto. Contrariamente alla rivelazione che Dio aveva dato di se stesso, dubitavano che fosse davvero in grado di fare una grande differenza nella loro vita (Isaia 5:18–19; Sofonia 1:12)”.
La stragrande maggioranza delle persone hanno naturalmente pensieri così superficiali della maestà, santità e della legge di Dio, che pensano che qualsiasi servizio sia abbastanza buono per Lui!
Ma questo passo ci dice che non è così!
Una persona religiosa può cadere in peccato confrontandosi con chi non lo è!
Quando obbedisce anche se in parte, si sente con la coscienza a posto se si confronta con chi sta peggio di lei!
Noi vediamo in questo testo che non è così: se obbediamo al Signore in modo parziale, o non come vuole il Signore, di certo non è contento! È disprezzato! Svalutato!
Se non siamo onesti con il Signore e con noi stessi, vuol dire che non lo onoriamo e non lo temiamo come Padre e Signore!
Vediamo ora:
B) L’oggettività
Questi sacerdoti non stavano onorando Dio come loro Padre, non lo stavano temendo come loro Signore, lo stavano solo disprezzando!
Questa era la loro realtà!
I sacerdoti vedevano il Signore degli eserciti insignificante offrendo animali difettosi e non servendolo di vero cuore e con gioia.
Questo versetto fa parte di una sezione (Malachia 1:6-2:9) dove Malachia denuncia un sacerdozio superficiale, lassista e corrotto.
Nel v.10 il Signore, mediante il profeta, continua la Sua severa disapprovazione dei sacerdoti che non onoravano Dio come loro Padre, e non lo temevano come Signore (v.6), rimprovera i sacerdoti per la loro negligenza nell'adempiere ai loro doveri secondo la legge di Dio e dice loro che è meglio chiudere il tempio che offrirgli un culto ipocrita, un culto che non gradisce!
Meglio chiudere il tempio se si continua a disprezzare il Signore!
Eugene Merrill scrive:”Il punto è chiaro: il vuoto formalismo religioso non impressiona il Signore, né reca benedizione o soddisfazione a coloro che vi si dedicano (cfr. Salmo 40:6-8; Isaia 1:11; Geremia 6:20; 7:22–23; Amos 5:22; Michea 6:6-8)”.
Infatti non offrivano sacrifici secondo le disposizioni del Signore che aveva dato a Mosè anni prima (Levitico 22:18–25; Deuteronomio 15:21), invece offrivano animali malati e con difetti, quindi non adatti e non accettevoli al Signore (v.8), mentre la legge Mosaica stabiliva che gli animali sacrificali dovevano essere "senza difetti" (Levitico 1:3,10; 22:19,21).
I sacrifici dovevano essere della più alta qualità, i migliori animali appropriati per il Dio santo, il Signore degli eserciti, a cui venivano offerti.
I sacerdoti mancavano nella loro responsabilità di sorvegliare sulle giuste regole dei sacrifici!
Mentre la gente portava questi animali con difetti, i sacerdoti non solo non li rifiutavano dopo averli esaminati (cfr. Levitico 27:1-12), ma affermavano, contrariamente alla legge, che non c'era niente di sbagliato in quello che facevano quelle persone! (v.7)
In tal modo, permettevano e persino incoraggiavano le persone, a offrire, non il meglio a Dio, ma il peggio, come se non ci fosse alcun male nel disprezzare così la tavola del Signore, cioè l’altare dove si offrivano i sacrifici (vv.7-8).
Per i sacerdoti non c'era bisogno di avvicinare il Signore degli eserciti con il rispetto necessario!
Malachia fa l’esempio di presentare una bestia zoppa, o malata al governatore e chiede se l’accetterebbe con gratitudine e favore (v.8).
La risposta ovviamente è “no”!
A maggior ragione Dio non l’accetterà! (v.9)
Quindi, anche se il popolo nel suo complesso è colpevole (cfr. Malachia 1:14), il Signore riprende coloro che dovevano guidare la comunità nel glorificare il loro Signore, cioè i sacerdoti, infatti, il Signore doveva essere santificato e glorificato (Cfr. Levitico 10:3), mentre in realtà lo stavano disprezzando!
In Levitico 22:2,32 il Signore mette in guardia i sacerdoti dal profanare il Suo santo nome, affinché il Suo nome non sia profanato, ma santificato!
Una qualsiasi delle infrazioni elencate in Levitico 22 significherebbe profanare il nome del Signore.
Quindi i sacerdoti dovevano fare in modo, con il loro comportamento e servizio, che il nome del Signore non venisse profanato!
Inoltre i sacerdoti denigravano la loro mansione, il che significa disprezzare il servizio di Dio e la loro chiamata (vv.12-14).
Quindi questi sacerdoti non davamo il meglio al Signore!
Quando non diamo il meglio di noi stessi a Dio, lo stiamo disprezzando!!!!!
Steven J. Cole riguardo il dare a Dio il meglio di noi stessi dice che dovremmo dare il meglio in termini di costi, di qualità, di priorità e d'integrità personale.
1) Dovremmo dare al Signore il meglio di noi stessi
In termini di costi significa non dare il superfluo, gli avanzi, o cosa non ci serve.
I capi religiosi ai tempi di Gesù gettavano molto denaro nel tesoro del tempio. Ma una povera vedova aveva messo due piccole monete di rame.
Gesù ha apprezzato questa donna perché aveva messo più di tutti gli altri messi insieme, perché avevano dato quello che avevano in eccesso, ma lei aveva dato tutto ciò di cui aveva per vivere (Luca 21:3-4).
G. Campbell Morgan osserva: "Il sacrilegio è centrato nell'offrire a Dio qualcosa che non costa nulla, perché tu pensi che Dio non valga nulla".
Quando Davide voleva comprare un’aia per fare un altare per offrire un sacrificio, il proprietario gli è la voleva dare gratis.
Davide gli rispose: "No, io comprerò da te queste cose per il loro prezzo e non offrirò al SIGNORE, al mio Dio, olocausti che non mi costino nulla". Davide comprò l'aia e i buoi per cinquanta sicli d'argento” (2 Samuele 24:24).
Onoriamo Dio solo quando gli diamo il meglio in termini di costi!
2) Dovremmo dare al Signore il meglio in termini di qualità, cosa che questi sacerdoti non stavano facendo perché offrivano animali difettosi!
Ancora Steven J. Cole dice: “Ma c'è una mentalità sbagliata che dobbiamo affrontare: ‘Se qualcosa è logoro o inutile per me, lo darò alla chiesa o alle missioni’. Così i servitori del Signore zoppicano con computer obsoleti e cianfrusaglie scassate, mentre il popolo del Signore riempie le proprie case di roba buona!”
Una volta un missionario ricevette un carico di abiti usati e altri oggetti di seconda mano, incluso una scatola con un barattolo pieno di bustine di tè usate che un'anziana signora aveva asciugato e inviato per l'uso del missionario!
Stai dando il meglio di te al Signore, o gli dai gli avanzi?
Se dobbiamo donare al Signore dovremmo dargli il meglio!
3) Dovremmo dare al Signore il meglio in termini di priorità
La Parola di Dio non era la massima priorità per questi sacerdoti e per il popolo d’Israele.
Offrendo animali difettosi voleva dire che erano disobbedienti e che la Parola di Dio per loro non era importante!!
Mentre la Bibbia c’insegna a mettere Dio e il Suo regno al primo posto (Matteo 6:33; Luca 14:25-26).
Chiediti: “Il modo in cui spendo il mio tempo, il mio denaro e i miei sforzi, riflettono che il Signore ha la priorità? Sto mettendo il Signore prima di ogni altra persona, o cosa?”
4) Dovremmo dare al Signore il meglio in termini d’integrità personale
Dovremmo essere integri al Signore, puri di cuore (Matteo 5:8), non ipocriti! (cfr. per esempio Isaia 29:13; Matteo 23:25-28).
Dio non si accontenta di una religiosità superficiale, esteriore e formale.
Dio è interessato al nostro cuore!!! (cfr. per esempio Deuteronomio 10:16; 1 Samuele 16:7).
E in questo senso non è solo importante l’obbedienza al Signore, ma anche il motivo per cui lo facciamo! E lo dovremmo fare per la gloria di Dio!
CONCLUSIONE
Se per te Dio è insignificante, è perché non ti rendi conto di chi è Dio!
Per te, Dio è importante? Allora dai a Lui il meglio della tua vita!!
Sia il popolo e sia i sacerdoti non davano il meglio dei sacrifici, ma animali con difetti!
Che cosa stai offrendo tu al Signore?
Come stai adorando il Signore?
Quanto di te stesso stai dando a Dio?
Dio vuole tutto di te!!! (cfr. per esempio Matteo 22:37).
Non dare a Dio gli avanzi dei tuoi soldi, della tua salute, del tuo tempo, e di qualsiasi altra cosa, ma dai tutto te stesso a Dio in sacrificio vivente! (Romani 12:1-2).
Le parole salmista: “Che potrò ricambiare al SIGNORE per tutti i benefici che mi ha fatti?” (Salmo 116:12) ci fanno riflettere, Dio ci ha dato e ci dà davvero tante benedizioni, soprattutto non ha risparmiato il Figlio Suo Gesù Cristo a morire per i nostri peccati (Romani 8:32), quindi ha dato il meglio che aveva e se Dio ci ha dato il meglio di sé, diamogli il meglio di noi stessi!