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Bibbia

"La Bibbia, l'intera Bibbia e nient'altro che la Bibbia è la religione della chiesa di Cristo".
C. H. Spurgeon

Neemia 8:10: La gioia del Signore è la nostra forza!

 Neemia 8:10: La gioia del Signore è la nostra forza!
“Non siate tristi; perché la gioia del SIGNORE è la vostra forza”.
Il libro di Neemia ci parla del ritorno degli esuli Giudei in patria per la costruzione delle mura di Gerusalemme.
Il muro fu terminato il venticinquesimo giorno del sesto mese (Neemia 6:15). 
Le riunioni e le feste di metà anno di Israele si tenevano durante il settimo mese (cfr. per esempio Levitico 23:24-25,27,34), quindi questa era un'occasione adatta per riunire il popolo per celebrare il completamento del muro ricostruito (Neemia 7:73; 8:1) proprio nel tempo della Festa delle Capanne/Tabernacoli.
Celebrata per otto giorni, era la gioiosa festa autunnale di ringraziamento di Israele per la raccolta dall'aia e dal torchio (Esodo 23:16; 34:22; Deuteronomio 16:13–15). Ma era da molti anni che non si celebrava (cfr. per esempèio Neemia 8:17).
Il suo principale rituale distintivo era di dimorare in capanne in commemorazione della protezione di Dio durante il cammino nel deserto dopo la liberazione dall’Egitto (Levitico 23:39–43; Neemia 8:13–18).
La "capanna" nella Scrittura non è un'immagine di privazione e di miseria, ma di protezione, conservazione e riparo (Salmo 27:5; 31:20; Isaia 4:6). 
La comunità che si rallegrava comprendeva la famiglia, i servi, le vedove, gli orfani, i leviti e i gli stranieri (Deuteronomio 16:13-15).
Su richiesta del popolo, Esdra, assistito da alcuni leviti, lesse la legge e la spiegò al popolo. Doveva essere passato così tanto tempo da quando le persone avevano sentito la legge che tutti ascoltarono attentamente (Neemia 8:1–8). Mentre ascoltavano la legge erano tristi e piangevano, probabilmente erano addolorati perché si sentvano mancanti davanti  al Signore.
Neemia era preoccupato che la celebrazione, invece di essere un momento di festa gioiosa, si stesse trasformando in un momento di cordoglio e pianto, tradendo così lo spirito della festa.
Così Neemia invita il popolo a mangiare e a bere, quindi a festeggiare perché era un giorno consacrato al Signore e li esorta dicendo: “Non siate tristi, perché la gioia del Signore è la vostra forza”.
La giornata era consacrata (qāḏôš) al Signore (v.10), era una festa per Lui (cfr. per esempio Deuteronomio 16:13-15), pertanto meritava di essere celebrata senza tristezza.
Il popolo fece come Neemia aveva detto, perché avevano capito le parole che che erano state loro spiegate (Neemia 8:9–12).
Il giorno dopo i capi d'Israele tornarono per ascoltare ancora la legge di Dio (Neemia 8:13). 
Questo portò a sua volta a una celebrazione nazionale su larga scala della Festa delle Capanne/Tabernacoli con il ritual di vivere nei ripari temporanei delle capanne in ricordo del peregrinare dei loro antenati nel deserto senza fissa Dimora (Neemia 8:14-18; cfr. Levitico 23:33-43).
Dunque la popolazione non doveva essere triste (ʿāṣaḇ), cioè addolorata emotivamente (cfr. per esempio 1 Samuele 20:34) a causa dei loro peccati.
La motivazione é: perché la gioia del Signore è la nostra forza.
Cosa significa la gioia del Signore? 
Robert Jamieson scrive:“Un profondo senso dei loro peccati nazionali, portato loro in modo impressionante alla memoria dalla lettura della legge e delle sue denunce, colpì i cuori delle persone con dolore penitenziale. Ma nonostante i dolorosi ricordi dei loro peccati nazionali che la lettura della legge risvegliava, il popolo era esortato a custodire i sentimenti di gioia e gratitudine associati a una festa sacra (cfr. Levitico 23:24)”.
In questa festa consacrata al Signore la popolazione doveva essere gioiosa e piena di gratitudine a Lui.
Thomas Derek scrive: “La Festa delle Capanne era un affare di famiglia, con il suo rituale di cibo speciale e prelibatezze. Sicuramente non era il momento di piangere, ma di rendere grazie e ricordare la bontà e la fedeltà di Dio verso Israele (vedere Neemia 8:13–18)”.
Neemia non stava suggerendo che non dobbiamo fare cordoglio per i nostri peccati, altri passi c’incoraggiano a farlo (cfr. per esempio Matteo 5:4; Luca 18:13; 2 Corinzi 7:10), ma semplicemente perché quello doveva essere un giorno di festa e di gioia per la bontà, la grazia, la misericordia e la fedeltà di Dio!
John Goldingay scrive: “Il dolore deve lasciare il posto alla gioia, forse perché la lettura avviene nel settimo mese, settembre/ottobre, un tempo in cui si gioisce per la donazione di Dio nel raccolto e si ricordano le azioni di Dio durante l'esodo. Per un giorno del genere, le attività appropriate sono mangiare qualcosa di ricco, bere qualcosa di dolce e condividere con persone che non hanno nulla di preparato; molte delle persone non vivono a Gerusalemme e potrebbero non aver portato con sé tali cibi e bevande, ma la gioia di questa occasione deve essere inclusiva”.
Così una festa consacrata al Signore, scaturisce da ciò che ha dato e ha fatto per il Suo popolo. 
Allora è una gioia fondata sul sentimento di comunione con il Signore, sulla consapevolezza di avere nel Signore bontà, grazia e misericordia nonostante i nostri peccati, nonostante non meritiamo niente da Lui!
La consapevolezza della relazione che si ha con Dio e delle benedizioni che comporta, influisce sulle nostre emozioni, infatti dopo che Neemia disse al popolo di non piangere spiegando i motivi, il popolo fece festa ed ebbe grandissima gioia (Neemia 8:9–12,17).
Neemia qui ripete il tema della gioia che si trova anche in Esdra (Esdra 3:13; 6:16).
Quindi la gioia e il contrario della tristezza, ed è riferita al popolo.
La popolazione doveva avere gioia per il Signore!
C. S. Lewis scrisse:"La gioia è il serio affare del cielo". 
Il regno di Dio è "giustizia, pace e gioia nello Spirito Santo" (Romani 14:17). 
La gioia è il frutto dello Spirito Santo (Galati 5:22)
Thomas Derek ci dice ancora: “Che cosa costituisce una vita fruttuosa e di successo per un cristiano? Non l'acquisizione di cose, o l'accumulo di un certo patrimonio netto economico. I cristiani possono non avere nulla di tutto questo e conoscere ancora un profondo senso di ogni felicità e benessere. Perché? Perché conoscendo il perdono del Signore, la certezza delle sue promesse e la presenza che sostiene lo Spirito Santo, troviamo che queste cose esteriori non hanno alcun significato reale. Ciò che conta è la pace della coscienza e la comunione con Gesù Cristo, che ci chiama amici (Giovanni 15:15). L'incessante ricerca del piacere al di fuori del Vangelo è un vicolo cieco, un vicolo cieco della disperazione”.
Così la causa della gioia nei riguardi del Signore è il rapporto che hanno con il Signore e le benedizioni che porta. 
Questa gioia del Signore è la nostra forza.
La parola Ebraica per “forza” (māʿôz) indica “protezione”, “un luogo di rifugio”, “una fortezza”, cioè un posto dove essere al sicuro in una situazione di pericolo (cfr. per esempio Salmo 27:1; 28:8; 31:2,4; 37:39; 43:2; 52:7), in questo caso dall’ira di Dio.
Sebbene avessero peccato, sebbene erano mancanti davanti a Dio, il Signore rimaneva misericordioso come riocrda il salmista: “Egli non ci tratta secondo i nostri peccati, e non ci castiga in proporzione alle nostre colpe. Come i cieli sono alti al di sopra della terra, così è grande la sua bontà verso quelli che lo temono” (Salmo 103:10-11). 
Così la loro protezione proveniva dalla misericordia e grazia di Dio.
C’è da dire, secondo un’altra interpretazione, che la gioia del Signore è la Sua gioia per il Suo popolo.
In altre parole, è la gioia del Signore per il Suo popolo il fondamento per la speranza che saranno salvati, o protetti dalla Sua ira.
Wong afferma: "È la gioia di Yahweh per il suo popolo che è la base per la speranza che saranno salvati o protetti dalla sua ira".
In questo senso allora la gioia del Signore è la certezza della loro protezione dalle conseguenze della loro negligenza alla Sua legge, una protezione dalla collera di Dio verso i trasgressori della Sua legge (cfr. per esempio Levitico 26; Deuteronomio 27-28).
Oppure, per la Sua gioia verso il Suo popolo, ha smosso il cuore del re Persiano Ciro per riportarli nella terra promessa per ricostruire il tempio e le mura di Gerusalemme sotto Esdra e Neemia.
Così la loro forza, rifugio è la gioia del Signore per il Suo popolo per, o nel salvarli, restaurarli e proteggerli riportandoli di nuovo nella loro patria dall’esilio, questa è un ulteriore fiducia nella grazia, misericordia e fedeltà del Signore anche per il futuro. 
E in questo senso, questa frase ha lo scopo di far smettere il popolo di piangere e di farli invece gioire, perché nonostante sono peccatori, Dio sarà per loro un rifugio.
Questa è una grande consolazione anche per noi oggi che facciamo parte della Sua chiesa in Cristo Gesù, il Sacrificio e il Sommo Sacerdote Perfetto mediante il quale siamo perdonati dai nostri peccati e non più sotto la Sua ira (cfr. per esempio Giovanni 3:16,36; Romani 3:23-25; 5:9-11; Romani 8:31-34; Efesini 1:7) 
Come dice David Guzik: “La nostra conoscenza del nostro peccato non dovrebbe mai essere più grande della nostra conoscenza di Gesù come nostro Salvatore. Noi siamo grandi peccatori, ma Lui è un Salvatore più grande”.
Ciò che allora dobbiamo fare è di portare i nostri fallimenti, i nostri peccati a Gesù che li ha crocifissi per la gioia che aveva davanti a Lui (Ebrei 12:2) di vedere sia la redenzione, le benedizioni per i credenti e anche le gioie del cielo per loro, come anche la Sua futura glorificazione e maestà dopo la morte, la resurrezione e l’ascensione.
Concludo questa meditazione con le parole di Chris Tiegreen affinché dal cordoglio dei peccati possiamo passare alla gioia del perdono dei peccati: “Avete mai pianto per i vostri fallimenti? È un'esperienza umiliante versare il proprio cuore su peccati gravi che non possono essere cancellati. Il cuore umano non si sente mai così debole come quando si trova di fronte alle sue innegabili mancanze. Ma, che ci crediate o no, è un posto fantastico in cui trovarsi. È una fragilità benedetta quella di non avere alcuna pretesa davanti a Dio, nessuna parola con cui giustificarsi, nessun potere di contrattazione. Quando riusciamo ad accettarlo, possiamo accettare la Sua provvidenza; e non c'è gioia più grande della Sua provvidenza. È tutto ciò di cui abbiamo bisogno. Possiamo abbandonare i nostri stressanti e dolorosi tentativi di autosufficienza e accettare invece la Sua sufficienza. Quale gioia più grande c'è nel rendersi conto che tutto ricade sulle sue spalle e non sulle nostre? Conoscete la gioia di Dio? Il cristiano senza gioia porta pesi che nessun uomo è in grado di sopportare. Il cristiano gioioso ha fatto i conti con la propria debolezza personale e ha accettato la forza di Dio gettando tutti i pesi su di Lui. Imparate l'arte di gettare i pesi, siate gioiosi e forti”.


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