Salmo 24:3-6: La rivelazione della purezza del Signore
Spurgeon disse: “Ci dovrebbe essere una certa preparazione del cuore nel venire all'adorazione di Dio. Considera chi è colui nel cui nome ci riuniamo, e sicuramente non possiamo affrettarci insieme senza pensarci. Considera chi professiamo di adorare, e non ci affretteremo alla sua presenza come si corre al fuoco”.
Non dobbiamo essere frettolosi nell’adorazione del Signore, ma dobbiamo preparare i nostri cuori adeguatamente considerando chi è.
Questi versetti mettono in evidenza il fatto che Dio è santo e quindi implica l'assenza di ogni impurità morale e imperfezione, e il possesso, in grado infinito, di tutto ciò che è moralmente puro, amabile ed eccellente.
Pertanto il peccato è una cosa vile e detestabile a Dio, è un abominio.
(cfr. per esempio Proverbi 3:31-32; Abacuc 1:13).
Matthew Henry disse: “Nessun attributo di Dio è più terribile per i peccatori della sua santità”.
Per molti studiosi, questo salmo descrive l’ingresso dell’arca del Signore degli eserciti a Gerusalemme subito dopo che era stata catturata dai Filistei (2 Samuele 6:12-19; 1 Cronache 15).
Certamente per Davide fu, il giorno, o uno dei giorni più belli della sua vita.
L’arca rappresentava la presenza di Dio in mezzo al Suo popolo (1 Samuele 4:21-22; 6:19-20), e allora doveva prepararsi adeguatamente ad accoglierlo.
Il salmista ricorda ai fedeli, o agli adoratori, chi sono coloro che possono entrare alla presenza di Colui che ci ha creato.
Gli adoratori dovevano soddisfare le condizioni di Dio per entrare nella Sua santa presenza, richiedeva qualcosa di più di una semplice celebrazione, richiedeva la santificazione!
Se vogliamo entrare alla presenza del Signore, dobbiamo essere santi, questo è il messaggio di questi versetti.
I LE DOMANDE (v.3)
Cominciamo con la prima domanda:
A) Chi può avvicinarsi al Signore? (v.3)
Nel v. 3 leggiamo: “Chi salirà al monte del Signore”.
Il “monte del Signore" è un riferimento al monte Sion, il monte santo del Signore (cfr. per esempio Salmo 2:6), o a Gerusalemme che sorgeva in cima al monte Sion, dove Dio avrebbe stabilito il Suo santuario (Esodo 15:17) con l’arca dell’alleanza e dove Salomone costruirà il tempio del Signore.
Quindi "salirà" (yaʿăleh) si adatta bene alla salita fisica del monte santo, e per questo motivo, non importa dove vivessero i pellegrini, essi "salivano" sempre per adorare il Signore, quindi, secondo lo studioso Kraus, era un termine tecnico per la processione che sale al santuario sul monte (cfr. per esempio 1 Samuele 1:3,22; 2 Samuele 6:12,15; 1 Re 8:4; 12:33; Salmo 47:5; Isaia 2:3; 37:14; 38:22).
Il senso della domanda allora è: “Poiché Dio è il Signore sovrano su tutta la creazione (vv.1-2), chi può salire al Suo monte santo per adorarlo?”
“Chi tra gli abitanti della terra è accettabile e in grado di presentarsi davanti il Re di gloria?(vv.7-10)”
La seconda domanda è:
B) Chi può dimorare con il Signore? (v.3)
Sempre nel v.3 è scritto: “Chi potrà stare nel suo luogo santo?”
Il secondo verbo, aggiunge l'idea di rimanere nel santuario, indica un’azione abituale.
“Stare” (yqûm – qal imperfetto attivo) è “stare in piedi” (cfr. per esempio Giobbe 19:25) per benedire il Signore (cfr. per esempio Neemia 9:5).
“Nel suo luogo santo”, è il luogo dedicato per adorare Dio, o il luogo di culto messo a parte per adorare Dio.
Il senso di questa domanda è: “Chi è moralmente e spiritualmente qualificato per avere comunione con il Re di gloria? Chi può stare alla Sua presenza?”
C’è:
II LA RISPOSTA (v. 4)
Nella risposta vediamo le condizioni per avvicinarsi al Signore e avere comunione con Lui.
Noi vediamo nella Bibbia che Dio accetta il culto alle Sue condizioni.
Per esempio non accettò il sacrificio di Caino, ma quello di Abele (Genesi 4:3-5).
Isaia mette in evidenza l’umiltà e il timore di Dio, condizioni necessarie affinché il Signore si mostri favorevolmente (Isaia 66:2).
Gesù dirà che gli adoratori devono adorare Dio in spirito e verità (Giovanni 4:23–24).
In questi versetti vediamo altre condizioni.
Prima di tutto si parla di:
A) Santità (v.4)
Nel v. 4 troviamo scritto: “L'uomo innocente di mani e puro di cuore”.
Questa frase si riferisce alla:
(1) Santità di condotta
È la purezza esteriore di una persona come indicata dalla frase: “L’uomo innocente di mani”.
La mano rappresenta l'azione e la funzione, la parte di una persona che compie azioni e produce risultati, usato anche per indicare azioni malvagie, violente (cfr. per esempio 1 Re 16:7; Isaia 1:15), ma qui si riferisce all’uomo innocente di mani.
“Innocente” (nĕqî) si riferisce a essere liberi dal male, o dalla colpa, quindi esente dalla punizione (cfr. per esempio Esodo 21:28; Giobbe 4:7; 9:23), si riferisce alla corretta condotta nella vita quotidiana della comunità (cfr. per esempio Salmo 15:2-5).
Questa frase si riferisce anche alla:
(2) Santità di cuore
È la purezza interiore di una persona come indicata dalla frase: “Puro di cuore”.
Oswald Chambers disse: “L'intuizione che ci mette in relazione con Dio nasce dalla purezza del cuore, non dalla lucidità dell'intelletto”.
Possiamo conoscere bene tutta la teologia, ma Dio guarda al nostro cuore!
“Il SIGNORE non bada a ciò che colpisce lo sguardo dell'uomo: l'uomo guarda all'apparenza, ma il SIGNORE guarda al cuore” (1 Samuele 16:7; cfr. Salmo 15:2; 40:6-8; 51:10,13; 86:11).
Spurgeon disse: “La vera religione è il lavoro del cuore. Possiamo lavare l'esterno della coppa e del piatto finché vogliamo, ma se le parti interne sono sporche, siamo completamente sporchi agli occhi di Dio, poiché i nostri cuori sono più veramente noi stessi delle nostre mani; la vera vita del nostro essere risiede nella natura interiore, e quindi il bisogno imperativo di purezza interiore. I puri di cuore vedranno Dio, tutti gli altri non sono che pipistrelli ciechi”.
Gesù ammonì i farisei per la loro ipocrisia, li paragonò a sepolcri imbiancati che appaiono belli fuori, ma dentro sono pieni di ossa di morti e di ogni immondizia!
Sembravano giusti fuori, ma dentro erano pieni d’ipocrisia e d’iniquità (Matteo 23:27-28).
“Puro” (bar) si riferisce a ciò che pulito moralmente (cfr. per esempio Giobbe 11:4; Salmo 73:1).
“Cuore” (lēbāb) si riferisce all’interiorità di una persona, il luogo dei pensieri (mente – cfr. per esempio Genesi 6:5), desideri (cfr. per esempio Genesi 34:3,8) delle emozioni (cfr. per esempio Deuteronomio 1:28) e della conoscenza del bene dal male (coscienza - cfr. per esempio Deuteronomio 30:14,17), della volontà, qui molti studiosi lo vedono in questo senso (cfr. per esempio Esodo 25:2; 35:22; Numeri 24:13; 2 Cronache 29:31; Ecclesiaste 2:22), quindi alle motivazioni, intenzioni e alle scelte.
Possiamo dire che il cuore è l’aspetto interiore che deve essere puro, cioè santo, quindi senza contaminazione immorale.
Dunque, sono rappresentate sia la vita interiore, il carattere di una persona e sia la vita esteriore, la condotta di una persona.
In altre parole, la vita di una persona deve essere moralmente pura e pulita se si vuole avvicinare Dio in adorazione e comunione.
Non c'è da stupirsi che Davide abbia gridato sotto il peso del suo peccato: " O Dio, crea in me un cuore puro e rinnova dentro di me uno spirito ben saldo" (Salmo 51:10).
Dopo aver parlato delle promesse di Dio della Sua presenza in mezzo Israele, che sarebbe stato Suo Dio e Israele il Suo popolo, che lo avrebbe accolto, che sarebbero stati Suoi figlie e figlie, quindi applicando questo alla chiesa di Corinti (2 Corinzi 6:16-18), Paolo dice in 2 Corinzi 7:1: “Poiché abbiamo queste promesse, carissimi, purifichiamoci da ogni contaminazione di carne e di spirito, compiendo la nostra santificazione nel timore di Dio”.
Abbiamo questa purezza di condotta e di cuore?
Può, Dio dire della nostra vita individuale: "Ho trovato un uomo, una donna secondo il mio cuore, che adempirà tutta la mia volontà?”
Un’altra condizione per avvicinarsi a Dio e avere comunione con il Signore è la:
B) Fedeltà (v.4)
Nel v.4 leggiamo: “Che non eleva l'animo a vanità”.
“Eleva l’animo” è innalzare l’anima (nāśāʾ nep̱eš), e si può riferire all'essere interiore (cfr. per esempio Isaia 10:18; Geremia 2:24; Abacuc 2:4); o a tutta la persona (cfr. per esempio Genesi 1:20; Salmo 124:7); o alla forza animatrice, la vita di una persona (cfr. per esempio Levitico 17:11).
Ma può esserci anche il significato di dirigere il proprio desiderio verso la vanità (cfr. per esempio Deuteronomio 24:15; Proverbi 19:18; Osea 4:8).
Così, in questo senso elevare la propria anima, si può riferire sia all’essere interiore, al desiderio, come anche a offrire il proprio impegno più profondo di tutta la persona, in questo caso alla vanità!
Oppure può avere il senso di fiducia, il confidare nella vanità e non in Dio (cfr. per esempio Salmo 25:1; 86:4; 143:8).
“Vanità” (šāwʾ) si riferisce a cose senza valore, senza sostanza, e si può riferire agli idoli (cfr. per esempio Salmo 31:6; Geremia 18:15; Giona 2:9).
Gli idoli sono vuoti perché non c'è sostanza.
Non dobbiamo avere idoli prima, o al posto, o con il Signore, quindi dobbiamo essere fedeli all’unico e vero Dio (cfr. per esempio Esodo 20:3).
Un idolo è chiunque, o qualcosa che una persona ama, teme, o serve più di Dio, o con Dio.
Un’altra condizione è la:
C) Sincerità (v.4)
Sempre nel v.4 è scritto: “E non giura con il proposito di ingannare”.
“Giura” (nišbaʿ - nifal perfetto passivo) è prestare, o fare un giuramento e può essere inteso in due modi: al giuramento di un'alleanza tra gli esseri umani (cfr. per esempio Genesi 21:22–32), o tra Dio e le persone (cfr. per esempio Ezechiele 16:8), ma può anche riferirsi al giuramento chiamando una divinità a testimoniarlo, quindi gli idoli.
L'atto del giuramento comporta l'aspettativa che la promessa fatta sarà mantenuta (cfr. per esempio Esodo 20:7; Zaccaria 5:3-4; Malachia 3:5).
Davide si riferisce al giuramento con il proposito di ingannare (mirmāh).
Quindi il "fare false promesse" o "rendere falsa testimonianza sotto giuramento".
In questo senso, si riferisce a una violazione della legge riguardante il falso giuramento, cioè il giuramento, usando il nome del Signore invano per raggiungere un fine ingannevole.
Oppure il senso potrebbe essere che una persona non deve giurare su ciò che è falso.
Ciò significherebbe porre una maggiore fedeltà a un falso dio.
In questo senso è un parallelo al verso precedente, significare "usare il nome di un idolo nel fare una promessa".
In sintesi, queste condizioni, o requisiti del v.4, richiedono l'integrità di tutta la vita di una persona, inclusi sia i motivi interiori che i modi esteriori.
Certo era impossibile all’epoca come oggi, che questo possa avvenire, perché siamo peccatori (cfr. per esempio Romani 3:23), e per questo motivo Allen Ross scrive: “A prima vista questo criterio avrebbe eliminato tutti dall'entrare alla presenza di Dio senza qualche provvedimento divino. Il suo scopo era quello di ricordare alle persone quanto sia santo il Signore e come non fossero qualificati per entrare alla sua presenza senza prima il rituale di purificazione”.
Siamo peccatori e quindi necessitiamo di pentimento e fede (cfr. per esempio Atti 20:21), e ai tempi di Davide dell’offerta di sacrifici espiatori come ci ricorda il libro del Levitico, oggi, invece del sacrificio e dell’intercessione di Gesù Cristo che ha sostituito quei sacrifici per coloro che lo hanno riconosciuto come loro Signore e Salvatore (cfr. per esempio Romani 10:9-10; Ebrei 7-9).
Così questo passo ci ricorda quanto Dio è santo e noi dobbiamo fare del nostro meglio per santificarci (cfr. per esempio 1 Pietro 1:13-16), ma ci ricorda anche che dipendiamo dalla grazia misericordiosa di Dio in Cristo!
Consideriamo ora:
III IL RISULTATO SICURO (v.5)
La persona che si santifica, che è fedele al Signore, che è sincera, riceverà certamente dal Signore.
Vediamo una doppia promessa.
Che cosa riceverà?
Prima di tutto riceverà:
A) La benedizione del Signore (v. 5)
Il v.5 dice: “Egli riceverà benedizione dal Signore”.
In questo contesto, “riceverà” (yiśśāʾ- qal imperfetto attivo) indica prendere (cfr. per esempio Genesi 27:3; Rut 1:4; Esdra 9:2,18), o ricevere volentieri il dono della benedizione, accoglierla (cfr. per esempio Ecclesiaste 5:18; Malachia 1:8).
Nel Salmo 5:11-12 è scritto: “Si rallegreranno tutti quelli che in te confidano; manderanno grida di gioia per sempre. Tu li proteggerai, e quelli che amano il tuo nome si rallegreranno in te, perché tu, o SIGNORE, benedirai il giusto; come scudo lo circonderai con il tuo favore”.
“Benedizione” (bĕrākâ) ha una vasta gamma di significati, ma tutti sono legati all'idea di base di un dono, di un arricchimento, o di una generosità da parte del Signore, che può essere fisico, o spirituale, o entrambi.
La benedizione è qualcosa che porta prosperità e vita (cfr. per esempio Genesi 27:35; 49:25; Esodo 32:29; Deuteronomio 33:23; Malachia 3:10).
È il favore di Dio sui giusti (cfr. per esempio Genesi 12:2; Malachia 3:10), è la bontà di Dio verso i Suoi fedeli.
Joshua Mathews da questa definizione: “La benedizione riguarda le situazioni, le condizioni e le esperienze favorevoli di cui godono la persona, o le persone a cui appartengono le benedizioni. Può riferirsi a pronunciamenti intesi a provocare queste circostanze benefiche, o alle circostanze che ne derivano stesse”.
La migliore descrizione della benedizione di Dio si trova, per esempio, in Deuteronomio 27–28, dove sono elencate le maledizioni e le benedizioni del patto.
Le benedizioni arrivano su coloro che sono obbedienti alla legge di Dio, e quindi presuppongono un rapporto armonioso con Dio, tali benedizioni caratterizzeranno coloro che cercano il volto del Signore.
Secondo lo studioso John Goldingay: “La benedizione si riferisce tipicamente al coinvolgimento di Dio nelle ricorrenze quotidiane della vita, rendendola fruttuosa”.
Ma in questo contesto, può anche riferirsi alla benedizione che si riceve all'interno del luogo santo del Signore sul Suo monte santo, quindi nel luogo dove si manifesta.
Forse questo potrebbe essere paragonato all'esperienza che Mosè ebbe della gloria di Dio che gli fece risplendere il volto, quando il profeta s’incontrò con Dio faccia a faccia sul monte (Esodo 33:11-34:29; cfr. per esempio Numeri 12:8; Deuteronomio 34:10).
Dunque, se pensiamo alla benedizione ricevuta nel luogo santo sul monte del Signore, allora sarebbe naturale che la benedizione fosse l'esperienza della presenza favorevole del Signore.
Se ci pensate questa è davvero una grande benedizione: sperimentare Dio nella nostra vita!
Chi lo ha sperimentato sa che non c’è niente di più meraviglioso e appagante di questo!
Nel risultato sicuro vediamo:
B) La rivendicazione del Signore (v.5)
Ancora nel v. 5 leggiamo: “Giustizia dal Dio della sua salvezza”.
Chi è fedele riceverà giustizia da Dio suo Salvatore, questa è la rivendicazione del Signore: darà al Suo popolo ciò che è giusto!
“Giustizia” (ṣĕdāqâ) si riferisce al giusto trattamento riservato da Dio ai Suoi fedeli servitori; come anche la conformità alla Legge, allo standard di giustizia di Dio (cfr. per esempio Genesi 18:19; 30:33; Deuteronomio 6:25; 9:4–6; Salmo 5:9; 31:2; 33:5; 36:7,11).
Dio nelle Sue azioni non sbaglia mai, perché è giusto e perfetto (cfr. per esempio Deuteronomio 32:4; Salmo 145:17; Matteo 5:48).
Ma, in questo contesto, “giustizia” indica agire nel modo giusto in relazione alle persone con cui si ha una relazione (cfr. per esempio Salmo 1:5, 6; 7:9, 11; 11:3, 5, 7; 22:31).
La parola “giustizia” (ṣĕdāqâ) è una parola di relazione (cfr. per esempio Genesi 15:6), il fatto che Dio fa la cosa giusta da parte Sua nel mantenere la promessa, quindi “giustizia” implica la fedeltà al patto (cfr. per esempio Salmo 111:3,5,9; Isaia 5:7,16; 11:4–5; 42:6; 51:1).
Così la parola “giustizia” si riferirebbe che il Signore fa la cosa giusta con le proprie relazioni, o comunità, e questo comporta la Sua fedeltà.
In questo contesto può avere anche un significato di salvezza, un atto di Dio in cui si manifesta la Sua giustizia salvifica (cfr. per esempio 1 Samuele 12:6-11; Salmo 9:7-10; 40:10; 85:9-10; 98:1-3; Isaia 45:8; 46:12-13; 51:5).
“Dio della sua salvezza” (ʾĕlōhê yišʿô) significa "Dio suo salvatore", o "il Dio che lo salva".
Il significato della parola “salvezza” a che fare con lo spazio, cioè la liberazione da esperienze restrittive e oppressive, angosciose sia fisiche che spirituali.
Questa parola salvezza, nell’Antico Testamento, indica che Dio salva fisicamente da un pericolo presente e quindi portare in sicurezza (cfr. per esempio 2 Samuele 22:3,6, 47; 23:5; Giobbe 5:4,11; Salmo 18:36; 25:5; 27:1, 9; 62:8; 65:6; 79:9; 85:5; 132:16; Isaia 17:10; 45:8; 51:5; 61:10; 62:11; Michea 7:7; Abacuc 3:13, 18); quindi anche la salvezza dai nemici (cfr. per esempio Deuteronomio 20:4; Giosuè 22:22; Salmo 25:5; Isaia 25:9).
Ma questa parola è anche usata per indicare una salvezza spirituale, l'atto di liberare dal peccato o salvare dal male (cfr. per esempio Salmo 18:3, 47; 20:7; 24:5; 50:23; 51:14; 69:14; 85:8, 10; 95:1).
Gesù nel Nuovo Testamento è chiamato Salvatore (cfr. per esempio Luca 2:11; Atti 5:31; 13:23; Tito 1:4; 2:13), il Salvatore del mondo (Giovanni 4:42), l’unico che ci salva dai peccati (Matteo 1:21; Atti 4:12).
Questo versetto ricorda ai fedeli che il Signore è il loro Salvatore fedele, non solo dalle situazioni materiali, ma anche morali e spirituali come il perdono dei peccati.
Infatti 1 Giovanni 1:9 dice: “Se confessiamo i nostri peccati, egli è fedele e giusto da perdonarci i peccati e purificarci da ogni iniquità”.
Infine vediamo:
IV LA REALTÀ SPIRITUALE (v.6)
Una famiglia era andata in montagna per le vacanze. Il loro chalet si affacciava su un lago calmo. Dopo una nuotata e la cena, era ora di andare a letto.
Con tenerezza, la madre preparò la figlioletta per la notte, ascoltò le sue preghiere, la baciò e uscì dalla stanza. Immediatamente, la figlia chiamò la madre affinché tornasse.
La bambina le fece alcune domande difficili su Dio, e la madre con pazienza l’ascoltò e poi disse in tono rassicurante: “Saremo in veranda. Non c'è niente che ti possa ferire. Dio è nelle tenebre così come nella luce”. La bambina rispose: “Ma non riesco a vederlo al buio, mamma. Voglio un Dio con una faccia”.
Siamo un po' tutti come quella bambina, quando arriva la notte, quando i problemi, le delusioni, la sofferenza ci avvolge, tutti desideriamo un Dio con un volto che si faccia vedere per consolarci, sostenerci, o soccorrerci.
Nella nostra ansia, o angoscia, cerchiamo la faccia di Dio e la vogliamo trovare!
Nella realtà spirituale vediamo:
A) La generazione che cerca Dio (v.6)
Nel v.6 è scritto: “Tale è la generazione di quelli che lo cercano”.
La parola “generazione” (dôr) è un'età, ma spesso descrive un gruppo che ha qualcosa in comune, una classe di persone e come nel Salmo 12:7, si riferisce a persone che hanno certe qualità morali (cfr. per esempio Salmo 14:5).
La generazione di cui si parla nel v. 6 è un certo tipo di persone, vale a dire, il tipo di persone che cercano Dio che hanno le caratteristiche del v.4.
Tale è la generazione che a volte può essere resa come "il popolo è così", o "le persone che vengono a Dio sono così".
Il senso allora potrebbe essere: “Riconosciamo che le persone che vogliono cercare il Signore e trovare la Sua benedizione devono essere quel tipo di persone (del v.4), e noi lo siamo”.
“Cercano” (dāraš) è “cercare di ottenere”, o “raggiungere qualcosa che si desidera” (cfr. per esempio Genesi 9:5; Deuteronomio 22:2; Geremia 30:14; Amos 5:14), quindi anche il Signore (cfr. per esempio Deuteronomio 4:29; Osea 10:12; Amos 5:4).
Allen Ross riguardo questa parola scrive: “È una parola significativa per gli atti di adorazione nella Bibbia, che si riferisce alla ricerca diligente del Signore, a volte per scoprire qualcosa dal Signore (come nell'andare a chiedere al Signore)”.
“Cercare il Signore” qui è il contrario dell'idolatria (cfr. per esempio Esdra 4:2; 6:21; 2 Cronache 15:12-13; 17:3-4; 25:15, 20; 34:3; Isaia 65:1,10; Geremia 8:2; Sofonia 1:6).
Inoltre vediamo:
B) La specificazione: cercano il volto di Dio (v.6)
Ancora il v.6 ci dice: “Di quelli che cercano il tuo volto, o Dio di Giacobbe”.
Quelli che cercano Dio, sono quelli descritti nel v.4, sono quelli che veramente cercano volto, del Dio di Giacobbe.
La parola “cercare” (bāqash) in questo versetto è diversa da quella precedente, con lo stesso significato di cercare di ottenere, o raggiungere qualcosa che si desidera (cfr. per esempio Genesi 37:15-16; Esodo 4:19; Salmo 27:4; Ecclesiaste 7:25; Geremia 2:33); entrambe le parole esprimono lo scopo interiore del cuore.
Questa parola denota cercare la presenza di qualcuno, specialmente quella del Signore (cfr. per esempio 1 Re 10:24; 2 Cronache 20:4; Osea 5:15), o la Sua parola (cfr. per esempio Amos 8:12), o la volontà del Signore (cfr. per esempio Daniele 9:3).
Qui, cercare il volto di Dio è cercare il favore del Signore, e c’è un'allusione alla benedizione sacerdotale di Numeri 6:25 che dice: "Il Signore faccia risplendere il suo volto su di te e ti sia proprizio”.
Cercare il volto del Signore ha implicazioni simili a quelle del Salmo 27:8 (bāqash).
Significa non solo cercare il senso di essere alla presenza di Dio, ma anche cercare di vedere risplendere il volto del Signore, cioè il Suo favore, la Sua benedizione, la Sua liberazione.
Il riferimento al “Dio di Giacobbe” suggerirebbe che il popolo avrebbe avuto bisogno della benedizione di Dio, come del resto ne aveva bisogno Giacobbe ai suoi tempi.
È stato Giacobbe a supplicare Dio a Peniel, quando disse: “Non ti lascerò prima che tu mi abbia benedetto” (Genesi 32:26).
Nel contesto, con il riferimento a coloro che cercano Dio, ha più senso interpretarlo come un'identificazione dei veri adoratori con il loro antenato Giacobbe.
Così il nome "Giacobbe" qui si riferisce alla nazione che discendeva dal patriarca e condivideva gran parte della sua natura; una nazione che riconosceva la sua pochezza morale e spirituale, e perciò cercava la grazia, il favore di Dio, perché sapevano di non essere qualificate per entrare alla Sua presenza per i loro meriti.
CONCLUSIONE
Ancora Allen Ross scrive: “L'idea espositiva che meglio esprime il messaggio del salmo sarebbe qualcosa del genere: Coloro che si riuniscono per lodare il sovrano SIGNORE della creazione per i suoi potenti e gloriosi atti di liberazione devono essere puri nei pensieri e nelle azioni (se vogliono trovare il favore di Dio e vendetta)”.
Le persone possono correttamente venire a cercare la benedizione del Signore alla Sua presenza se sono integre nella loro condotta e cuore.
È necessario essere in Cristo, perché intercede a favore nostro davanti Dio Padre (cfr. per esempio Romani 8:32-34; Efesini 3:11-12; 1 Timoteo 2:5; Ebrei 10:19-22).
Ma rimane importante comunque il principio della santificazione da parte nostra: Dio vuole che ci santifichiamo (cfr. per esempio 2 Corinzi 6:18-7:1; Ebrei 12:14; 1 Pietro 1:14-16), il peccato rimane un ostacolo alla comunione con Lui (cfr. per esempio Isaia 59:1-2; Michea 3:4).
Inoltre la grazia salvifica di Dio c’insegna a vivere consacrati e in modo santo (Tito 2:13), come anche la natura della nostra unione spirituale con Gesù e la nostra relazione con Dio (cfr. per esempio Romani 5:20-21-6:14; 2 Corinzi 6:14-7:1)
Alla fine del v. 6 leggiamo: “Pausa”.
“Pausa” (selah), ricorre 71 volte nei Salmi e indica una pausa nella musica, ma può anche significare il riflettere su quello che è stato appena detto.
Allora riflettiamo su quanto abbiamo detto.