Esdra 3:3: Dalle ceneri alla fiamma: il ristabilimento del culto
“Ristabilirono l’altare sulle sue basi, sebbene temessero i popoli delle terre vicine, e offrirono sopra di esso olocausti al Signore: gli olocausti del mattino e della sera”.
Dalle ceneri della distruzione, una fiamma di speranza si riaccese.
In un tempo difficile, un piccolo gruppo di uomini e donne Israeliti furono desiderosi di ritornare a Gerusalemme con un unico scopo: ricostruire!
Si trovavano in esilio in Babilonia - per il giudizio di Dio - e volevano ritornare in patria con l'intenzione di onorare il Signore che avevano disonorato con l'idolatria molti anni prima.
Non si limitarono a rialzare le mura di una città, ma volevano riaccendere l'altare del Signore, simbolo del loro legame indissolubile con Lui.
Esdra 3:3 ci racconta questa storia potente, una storia di rinascita, di coraggio e di incondizionata devozione.
Un racconto che risuona ancora oggi, invitandoci a riflettere sul nostro rapporto con il Signore e sul nostro ruolo nel mondo.
Attraverso questo passo, esploreremo tre temi principali: la costruzione, il coraggio e la consacrazione.
Questi elementi non sono solo parte della storia antica d'Israele, ma risuonano profondamente anche nella nostra vita di fede oggi.
Vedremo come la priorità data al culto, il coraggio di fronte alle opposizioni e la dedizione quotidiana a Dio, siano aspetti fondamentali del nostro cammino spirituale.
Prima di tutto vediamo:
I LA COSTRUZIONE
“Ristabilirono l’altare”.
Dopo che i Persiani sconfissero i Babilonesi, il re Ciro permise ai Giudei di ritornare a Gerusalemme e ricostruire il tempio (2 Cronache 36:22-23; Esdra 1:1-4).
Il versetto descrive uno dei primi passi nella ricostruzione: il ripristino dell'altare per i sacrifici.
Nei vv.1-2, vediamo chi sono i costruttori: “Giunto il settimo mese, dopo che i figli d’Israele si furono stabiliti nelle loro città, il popolo si adunò come un sol uomo a Gerusalemme. Allora Iesua, figlio di Iosadac, con i suoi fratelli sacerdoti, e Zorobabele, figlio di Sealtiel, con i suoi fratelli, si misero a costruire l’altare del Dio d’Israele”.
L'altare rappresentava il luogo centrale del culto Ebraico, dove si offrivano sacrifici a Dio.
Il suo ripristino simboleggiava il rinnovamento del legame tra il popolo e il Signore.
L’altare (mizbēaḥ), di solito fatto di pietra, era una struttura rialzata sulla quale venivano offerti sacrifici al Signore.
Nell'Antico Testamento, costruire un altare era un atto significativo, infatti come vediamo nella vita dei patriarchi, segnava una nuova dedizione a Dio, o una nuova esperienza della presenza e della guida di Dio (Genesi 12:7; 13:4; 22:9; 26:25; 33:20; 35:1, 7; Esodo 17:5).
Sul Monte Sinai, Dio ordinò agl’Israeliti di costruire il Tabernacolo e di includere due altari: un altare di bronzo nel cortile per il sacrificio degli animali (Esodo 27:1-8; 38:1-7) e un altare d'oro all'interno del Tabernacolo per bruciare l'incenso (Esodo 30:1-10; 37:25-29).
Salomone (1 Re 6:20, 22; 8:64) ed Ezechiele (Ezechiele 41:22; 43:13-17) seguirono uno schema simile.
Dio comandò anche che l'altare per gli olocausti fosse fatto di terra, o di pietre non spoglie, perché la lavorazione umana delle pietre lo avrebbe contaminato.
Inoltre, Dio ordinò che l'altare non avesse gradini, in modo che la nudità umana non fosse esposta su di esso (Esodo 20:24-26).
Allora, gli altari nell'Antico Testamento erano più che semplici strutture fisiche. Erano simboli concreti della relazione tra Dio e il suo popolo, luoghi di incontro, sacrificio e adorazione.
La loro presenza nel Tabernacolo e nel tempio sottolineava la centralità del culto.
Se nell'Antico Testamento l'altare era il luogo fisico dove si offrivano sacrifici animali, nel Nuovo Testamento, con la morte e risurrezione di Gesù Cristo, il significato dell'altare subisce una profonda trasformazione: Gesù Cristo è l’Altare e il Sacrificio (cfr. per esempio Ebrei 4:15; 9:26; 12:24; 13:10; 1 Pietro 2:22-24), e la cena del Signore, o santa cena ne è il memoriale (cfr. per esempio Matteo 26:26-28; 1 Corinzi 11:23-26).
Oggi, pertanto, non è più necessario offrire sacrifici di animali, perché quello perfetto di Gesù Cristo è stato fatto una volta è per sempre! (cfr. per esempio Ebrei 7:18-28; 10:1-18).
Come i Giudei ritornati dall'esilio ricostruirono l'altare, così anche noi siamo chiamati a lavorare continuamente sulla nostra relazione con Dio, basandoci sui fondamenti eterni della Sua parola.
Invece di offrire sacrifici animali, siamo chiamati a offrire sacrifici spirituali (1 Pietro 2:5).
Questi includono la lode (Ebrei 13:15), le buone opere (Ebrei 13:16), e l'offerta di noi stessi come sacrifici viventi (Romani 12:1).
Nella costruzione vediamo:
A) La priorità dell'altare
Una delle prime cose che fecero i figli d’Israele quando arrivarono a Gerusalemme, fu di costruire l’altare per ristabilire di nuovo il culto al Signore.
La ricostruzione dell'altare fu “un grido del cuore” a Dio.
Al loro ritorno dalla prigionia, gl’Israeliti diedero la priorità assoluta a ricostruire l'altare.
Questo gesto dimostra quanto fosse fondamentale per loro riconnettersi con Dio, quando fosse importante la loro relazione con il Signore.
Ricostruendo l'altare, gl’Israeliti rinnovarono la loro promessa di fedeltà a Dio e desideravano ardentemente ristabilire un rapporto intimo con Lui.
Quando Nabucodonosor distrusse Gerusalemme, e il suo tempio, la maggior parte degli artigiani e dei maestri di Giuda furono portati in esilio a Babilonia (2 Re 24:10-16; 25:8-10; 2 Cronache 36:18-21; Esdra 1:1-11; Geremia 24:1; 29:1-2; 52:12-15; Lamentazioni 1:1; Daniele 1:1-3); di conseguenza, il magnifico tempio costruito da Salomone giaceva in rovina senza il personale, e le risorse necessarie per ricostruirlo.
L’esilio non è stato solo una dislocazione fisica, ma anche una devastazione culturale e spirituale!
La deportazione di artigiani e maestri, da parte dei Babilonesi, mirava a indebolire Israele non solo militarmente, ma anche nella sua capacità di mantenere la propria identità e pratica religiosa.
Ma comunque, l’esilio è stato non solo un giudizio purificatorio e di rinnovamento spirituale da parte del Signore (cfr. per esempio (cfr. per esempio Isaia 1:25; Osea 3:4; Malachia 3:2-3), ma anche per riscoprire la propria identità e rafforzare il legame con Lui.
Come gl’Israeliti, anche noi siamo chiamati a ricostruire le rovine della nostra vita spirituale, ponendo Dio al centro e al di sopra di tutto.
Come diceva Martyn Lloyd Jones: "Dio non è un accessorio della nostra vita, ma il suo centro".
Dio non viene valorizzato affatto, se non viene messo al centro e al di sopra di tutti e tutto!
La priorità è una decisione quotidiana, un impegno costante a cercare il volto e la volontà di Dio.
Gesù disse: “Cercate prima il regno di Dio” (Matteo 6:33).
Mettere Dio al primo posto significa amarlo sopra ogni cosa con tutto sé stessi (cfr. per esempio Deuteronomio 6:4-5; Matteo 22:37-38), vuol dire che ogni nostro pensiero, desiderio e azione deve ruotare intorno a Lui, significa che è al centro dei propri pensieri e desideri (cfr. per esempio Salmo 1:2; 16:8; 42:1-2; 63:1; 73:25).
Se davvero il Signore è al primo posto nella nostra vita, influenzerà ogni nostra decisione, come spendiamo il tempo, i soldi, le energie, le relazioni che coltiviamo, gli obiettivi, i nostri valori, sogni, e azioni (cfr. per esempio Deuteronomio 6:6-9; Proverbi 3:5-6; Michea 6:8; Romani 12:1-2; 1 Corinzi 10:31; Colossesi 3:1-4,17).
Dio non deve essere compartimentalizzato nella nostra vita, ma dovrebbe permeare ogni aspetto di essa dal lavoro, alle relazioni, alla politica, all'intrattenimento, a tutto il resto! A 360 gradi!
Mettere il Signore al primo posto non è solo una questione di tempo, ma di cuore!
È riconoscere che ogni aspetto della nostra vita deve essere sottomesso alla Sua volontà!
Non significa trascurare gli affetti umani, o le responsabilità terrene, ma vederli alla luce della nostra relazione primaria con Dio (cfr. per esempio Luca 9:59-60; 14:26).
Dunque, la priorità sulle cose spirituali deve verificarsi in ogni epoca, non solo ai tempi di Esdra, ma anche oggi.
Dio deve avere la priorità, o falliremo!
Dio, prima di tutto, sempre e comunque!
Dio, il nostro Creatore e Redentore è ciò che conta veramente nella vita!
La vita è troppo breve per inseguire ciò che non conta davvero!
Dio non deve essere solo un capitolo della nostra vita, ma l'intero libro: ogni pagina, ogni parola, ogni pensiero dovrebbe essere consacrato a Lui!
Nella costruzione vediamo ancora:
B) Il luogo dell'altare
“Sulle sue basi”.
Mervin Breneman scrive: “La comunità ebraica decise di adorare Dio secondo le specifiche antiche e l'enfasi sulla continuità persistette”.
Quei Giudei, non stavano inventando nuove forme di culto, ma stavano seguendo attentamente le istruzioni date nella legge di Mosè.
Non stavano iniziando una nuova religione, ma stavano riprendendo l'antica fede dei loro padri: c’è una continuità di devozione con il passato.
“Sulle sue basi”, evidenzia, la sua esatta collocazione preesilica, ricostruirono l'altare nello stesso luogo dove era precedentemente, simboleggiando la continuità del loro culto con il passato.
Era necessario costruire nuovo altare al Signore (Esdra 4:2), sulle fondamenta del precedente tempio di Salomone in rovina (cfr. per esempio Aggeo 1:8; 2:21-23).
È probabile che per costruire il nuovo altare, coloro che ritornarono dall’esilio, siano stati costretti a distruggere quello precedente che era stato utilizzato da quei Giudei, Samaritani e stranieri che vivevano vicino a Gerusalemme durante l'esilio.
Ciò fece sì che tutti sapessero dove si trovavano spiritualmente: si doveva adorare e servire il Signore sui vecchi fondamenti della fede.
Così è anche per noi oggi.
Martin Lutero disse: "Noi siamo dei riformatori, non degli inventori".
Lutero, con questa affermazione, ci ricorda che riformare non significa inventare una nuova religione, ma piuttosto tornare alle pure origini del cristianesimo.
Sulle fondamenta della fede passata in relazione alla rivelazione e volontà di Dio, edifichiamo il presente!
Ricostruire la nostra fede sulle antiche fondamenta, significa radicarci nella verità eterna di Dio, onorando la continuità spirituale del passato mentre rinnoviamo il nostro impegno a glorificare Dio nel presente nell’obbedienza a Lui!
La nostra fede non è nuova, ma si radica nell'opera di Dio attraverso la storia.
Come i riformatori Esdra e Neemia, e gli altri come Iesua, figlio di Iosadac, con i suoi fratelli sacerdoti, e Zorobabele, figlio di Sealtiel, con i suoi fratelli, siamo chiamati a esaminare le nostre pratiche alla luce della Scrittura, assicurandoci che la nostra continuità sia con la verità biblica, e non con le tradizioni umane!
In un’epoca di rapidi cambiamenti, l’enfasi sulla continuità ci ricorda che apparteniamo a una storia più grande, che la nostra identità è radicata in un patto eterno con Dio (cfr. per esempio Genesi 17:7-8; Isaia 55:3; Geremia 31:31-34; Ezechiele 37:26; Matteo 26:26-29).
Radicati nel passato, ci estendiamo oggi nel progresso spirituale come ci ricorda
Warren Wiersbe quando dice: "Il vero progresso spirituale è sempre un ritorno alle verità fondamentali della fede."
La vita cristiana è sempre un ritorno alle radici, un ritorno alle vere fondamenta della rivelazione di Dio!
Thomas Merton parlando della buona tradizione Biblica diceva: "La tradizione non è la cenere di un fuoco che si è spento, ma un carbone ardente che deve essere riacceso".
Questa citazione di Thomas Merton si allinea perfettamente con il tema centrale di Esdra 3:3, mostrando che c’è una continuità viva e dinamica con il passato, proprio come i Giudei che ricostruirono l'altare "sulle sue basi".
L'immagine del "carbone ardente che deve essere riacceso" suggerisce che la tradizione richiede un impegno attivo e un rinnovamento costante.
Questo si allinea con il tuo punto sulla necessità di esaminare le pratiche alla luce della Scrittura.
E ancora, il carbone ardente contiene il potenziale per un fuoco più grande. Analogamente, le antiche verità della fede contengono il potenziale per una rinnovata vitalità spirituale nel presente.
L'idea di "riaccendere" implica una responsabilità per la generazione attuale di mantenere viva la fede, proprio come i riformatori in Esdra e Neemia.
Infine, la metafora del carbone ardente cattura perfettamente l'equilibrio tra il rispetto per l'antico (il carbone) e la necessità di una nuova vita (riaccendere).
Ci sono diversi passi nella Bibbia che sottolineano l'importanza di ricordare e tornare alle verità fondamentali della fede, di imparare dalle lezioni del passato e di mantenere una continuità spirituale con le generazioni precedenti (cfr. per esempio Deuteronomio 32:7; 2 Cronache 34:31; Salmo 77:11-12; Isaia 46:9; Geremia 6:16; 2 Pietro 3:2; Apocalisse 2:5).
Essi riflettono il tema centrale della tua meditazione su Esdra 3:3, enfatizzando l'importanza di costruire "sulle sue basi".
In secondo luogo, vediamo:
II IL CORAGGIO
“Sebbene temessero i popoli delle terre vicine”.
“Il coraggio non è la mancanza di paura, ma la volontà di agire nonostante la paura” (Mervin Breneman).
Il vero coraggio non è l'assenza di paura, ma la determinazione di procedere nonostante la paura, confidando che Dio è più grande di qualsiasi opposizione che possiamo affrontare!
La fiducia in Dio è più grande delle nostre paure!
I servi di Dio sono stati caratterizzati dal coraggio.
Davide affrontò il gigante Golia (1 Samuele 17).
Daniele coraggiosamente affrontò la fossa dei leoni per decreto reale perché era fedele al Signore (Daniele 6).
Pietro e Giovanni affrontarono il Sinedrio con franchezza e quindi coraggio (Atti 4:19-20).
Paolo a Roma predicava apertamente, anche se prigioniero (Atti 28:30-31), non aveva paura di perdere la vita per amore di Gesù (cfr. per esempio Atti 20:22-24; 21:13; 2 Corinzi 4:8-11).
Così anche questi uomini ai tempi di Esdra!
“Sebbene temessero i popoli delle terre vicine”, indica che c'era opposizione, o minaccia da parte delle popolazioni circostanti, forse perché vedevano il ritorno dei Giudei come una minaccia.
Nonostante l'entusiasmo per la ricostruzione, i Giudei erano consapevoli di essere circondati da popolazioni ostili che potevano ostacolare il loro progetto.
“I popoli delle terre vicine”, è un riferimento generale agli abitanti stranieri di Giuda e delle province circostanti, comprese le nazioni per esempio di Edom, Ammon, Moab, i nemici tradizionali d’Israele; come anche alle persone di origine straniera (anche in parte Ebrei) che vivevano in Giudea e agli Ebrei del paese che non avevano mantenuto la loro fede senza compromessi.
Alcuni erano persone stabilite lì dagli Assiri (Esdra 4:2).
Non è mai popolare essere un servo del Signore!
Gesù disse: “Se il mondo vi odia, sapete bene che prima di voi ha odiato me” (Giovanni 15:18).
Paolo scriveva: “Tutti quelli che vogliono vivere piamente in Cristo Gesù saranno perseguitati” (2 Timoteo 3:12).
La fedeltà a Dio spesso ci mette in contrasto con le norme culturali, gli interessi personali, o le aspettative degli altri.
Possiamo affrontare “opposizioni” diverse: derisioni per la nostra fede, pressione per compromettere i valori cristiani, ostacoli nel servizio cristiano.
Come i Giudei che ristabilirono l'altare prima di sentirsi completamente sicuri, siamo chiamati ad atti di fede anche in mezzo all'incertezza.
Il coraggio di ricostruire l'altare nasceva dalla convinzione che Dio li aveva riportati e li avrebbe protetti.
Il coraggio, quindi, nasce dalla fede in Dio!
Ebrei 11, il capitolo della fede, è pieno di esempi di coraggio in Ebrei 11:32-34 dice: “Poiché il tempo mi mancherebbe per raccontare di Gedeone, Barac, Sansone, Iefte, Davide, Samuele e dei profeti, i quali per fede conquistarono regni, praticarono la giustizia, ottennero l’adempimento di promesse, chiusero le fauci dei leoni, spensero la violenza del fuoco, scamparono al taglio della spada, guarirono da infermità, divennero forti in guerra, misero in fuga eserciti stranieri”.
Ambrose Redmoon disse: "Il coraggio non è la mancanza di paura, ma è piuttosto la convinzione che qualcosa è più importante della paura."
Per i Giudei ai tempi di Esdra e Neemia la cosa più importante era ricostruire l’altare del Signore che gli faceva vincere la paura dei nemici!
Il coraggio dei Giudei in Esdra 3 è un potente esempio per noi.
In un mondo che spesso si oppone ai valori del Regno di Dio, siamo chiamati ad avere quel coraggio radicato nella fiducia in Dio, un coraggio a prendere posizione per la rivelazione di Dio della Bibbia, di esprimere la verità che riguarda Dio e la Sua rivelazione che spesso è in contrasto con il relativismo di questo mondo; avere il coraggio di esprimere i valori biblici e di opporsi a comportamenti in contrasto con questi.
Come loro, possiamo dire: “Sì, c’è paura. Sì, c’è opposizione. Ma Dio ci ha chiamati qui, e quindi procederemo, secondo la sua volontà confidando in Lui”.
Siamo chiamati, inoltre ad accettare nuove sfide e progetti, anche quando non si è completamente sicuri delle proprie capacità.
Il coraggio di uscire dalla propria zona di conforto, servire il Signore mettendo le proprie capacità al servizio degli altri, donando tempo e risorse.
Dunque, allora possiamo dire che:
Il coraggio non è un tratto innato, ma una scelta consapevole di agire in base ai propri valori e convinzioni nel Signore, anche di fronte a ostacoli e paure.
La fiducia in Dio e nei Suoi propositi è il motore che ci spinge a compiere azioni coraggiose, superando le nostre limitazioni.
Gli atti coraggiosi sono spesso una testimonianza della propria fede e dei valori in cui si crede, e possono ispirare gli altri a fare lo stesso.
Essere coraggiosi significa affrontare attivamente le difficoltà e le opposizioni, piuttosto che evitarle, o arrendersi.
Gli atti coraggiosi contribuiscono alla crescita personale e spirituale, permettendo agli individui di superare i propri limiti e di scoprire nuove risorse interiori che prima non conoscevamo.
Infine, vediamo:
III LA CONSACRAZIONE
“E offrirono sopra di esso olocausti al Signore: gli olocausti del mattino e della sera”.
Cominciarono a offrire i sacrifici sull’altare.
La ripresa dei sacrifici quotidiani, come gli olocausti mattutini e serali, sottolinea la consacrazione del popolo e la sua volontà di ristabilire la relazione con Dio.
Nei sacrifici, l'intero animale veniva bruciato come simbolo della totale consacrazione a Dio.
Ed è quello che dovremmo fare anche oggi come ci esorta Paolo quando dice:
“Vi esorto dunque, fratelli, per la misericordia di Dio, a presentare i vostri corpi in sacrificio vivente, santo, gradito a Dio; questo è il vostro culto spirituale” (Romani 12:1).
Dio vuole la nostra anima, il nostro cervello, i nostri occhi, le nostre orecchie, la nostra bocca, le nostre mani e piedi, le nostre azioni come Suoi strumenti in sacrificio vivente, cioè continuamente dobbiamo offrire noi stessi a Dio da vivi, cioè in modo dinamico, attivo!
Il sacrificio di cui scrive Paolo non è la morte, ma la piena energia della vita, una vita attiva al servizio di Dio!
Come gli animali dell’Antico Testamento che venivano offerti a Dio erano senza difetti (cfr. per esempio Esodo 12:5; 34:19; Levitico 1:3,10; 4:23; 22:19; Numeri 6:14; 28:3,9; Malachia 1:13-14; 1 Pietro 1:19), così anche noi dobbiamo essere santi come lo è Dio (cfr. per esempio Levitico 11:44-45; 19:2; 20:7; Efesini 4:24; 1 Pietro 1:14-16; 1 Giovanni 3:3).
“Gradito” (euareston) significa corretto, secondo ciò che Dio desidera, che gli piace!
Quando gli animali erano offerti in sacrificio nel tabernacolo e poi nel tempio, dovevano essere offerti secondo le condizioni divine per ottenere il Suo favore, dovevano essere un sacrificio di profumo soave (cfr. per esempio Esodo 29:18, 25, 41; Levitico 1:3-13; 22:19-20; Numeri 15:7-14; Salmo 51:19).
Quindi il significato è: offrire noi stessi a Dio, ma in modo vivente e santo, questo sarà gradito a Lui!
Noi vediamo nell’Antico Testamento che a volte i sacrifici degli animali erano offerti senza seguire le condizioni stabilite da Dio, cioè in forma solo rituale e superficiale, e Dio non li accettava, non gli erano graditi (cfr. per esempio Malachia 1:8-14; cfr. Salmo 50:14,23; 51:16-17; 141:2; Isaia 1:11-17; Osea 8:13; Amos 5:21-24; Michea 6:6-8).
Quindi non possiamo servirlo a modo nostro, secondo il nostro egoismo, oppure orgoglio, la propria gloria, i propri interessi, ma siamo chiamati a servirlo come Dio vuole cercando di piacergli sia nella vita privata che pubblica in ogni momento, e ovunque ci troviamo, se lo amiamo veramente (cfr. per esempio Romani 14:18; 2 Corinzi 5:9; Filippesi 4:18; Colossesi 3:20; Ebrei 11:5–6; 12:28; 13:16, 21).
Ritornando a Esdra 3:3, la costruzione dell’altare con l’offerta dei sacrifici doveva essere com’era scritto nella legge di Mosè, l’uomo di Dio (Esdra 3:2; cfr. per esempio Deuteronomio 33:1; Giosuè 14:6).
I sacrifici dovevano essere offerti mattina e sera, ogni giorno, come specificato dal Pentateuco (cfr. per esempio Esodo 29:38-42; Numeri 28:2,4).
Così il sistema sacrificale fu ripristinato su base giornaliera.
Quindi questo richiedeva un grande impegno nel culto e nell’opera di Dio.
Ci sono persone che per vari motivi, servono il Signore a periodi, non tutti i giorni, molti servono Dio in modo intermittente (cfr. per esempio Osea 6:4), ma siamo chiamati a servire sempre Dio 24 ore su 24, sette giorni su sette (cfr. per esempio Numeri 1:50; Deuteronomio 10:12; 1 Cronache 28:9; Romani 12:11; 1 Corinzi 15:58).
La vera consacrazione a Dio non è un evento una tantum, ma un'offerta quotidiana di noi stessi, proprio come gli olocausti mattutini e serali nell'antico Israele.
CONCLUSIONE
Le ceneri del passato possono sembrare senza vita, ma la fede in un Dio vivente, vero e dinamico ha il potere di trasformarle in un nuovo inizio.
Come i Giudei ritornati dall'esilio, siamo chiamati a dare priorità alla nostra relazione con Dio, ponendolo al centro della nostra vita e al di sopra di tutto e tutti.
Come i Giudei che avevano la priorità di ristabilire l'altare, se ti sei allontanato da Dio, sei chiamato a ricostruire le rovine della tua vita spirituale, ponendo Dio al centro della tua vita e al di sopra di tutto e tutti!
Che possiamo, come il popolo d'Israele ai tempi di Esdra, ricostruire continuamente l'altare del nostro cuore, radicandoci nelle verità eterne della Parola di Dio mentre affrontiamo le sfide del presente.
Nonostante l’opposizione dei nostri nemici spirituali e morali (mondo, peccato e Satana), siamo chiamati a essere consacrati quotidianamente, come sacrifici viventi, questa è la nostra risposta alla misericordia di Dio.
In una società spesso caotica, incerta e relativista, il nostro impegno è a seguire Dio fedelmente e coraggiosamente nonostante le pressioni di un mondo immorale e idolatra, ricordando che la vera forza viene da Dio!
Ricordiamoci sempre che la nostra fede non è solo una pratica religiosa, ma una relazione viva e dinamica con un Dio che ci ama immensamente.
Possiamo contare su di Lui in ogni momento, certi del Suo sostegno e soccorso!
Siamo chiamati a essere costruttori, a riaccendere la fiamma della speranza e a testimoniare l'amore di Dio nel mondo.