Lamentazioni 3:25: Luce nell’oscurità
Il libro delle Lamentazioni, scritto dal profeta Geremia, è un grido di dolore, un lamento straziante per la devastazione e la distruzione di Gerusalemme caduta nel 586 a.C. per mano Babilonese.Ma nel bel mezzo di questa oscurità, di questo lamento di sofferenza e disperazione umana, un raggio di speranza emerge nel capitolo 3, e quindi anche nel v.25 dove troviamo scritto che il Signore è buono, una verità fondamentale che illumina il nostro cammino spirituale; una luce di speranza in mezzo all’oscurità per coloro che sperano nel Signore e lo cercano.
Mediteremo su queste due verità: la bontà del Signore e i beneficiari della Sua bontà.
Cominciamo con la prima verità:
I LA BONTÀ DEL SIGNORE
“Il SIGNORE è buono”.
Gesù ha dichiarato che Dio è l’unico buono (Matteo 19:17; Marco 10:18; Luca 18:19); è una verità fondamentale lodata nei salmi (Salmo 25:8; 34:8; 86:5; 100:5; 118:1; 136:1; 145:9).
La bontà di Dio è una qualità intrinseca ed essenziale della Sua natura, che non dipende da fonti esterne, ma è radicata in Lui stesso; è perfetta così com’è, non peggiora, o migliora, è immutabile, eterna e infinita, incapace di malvagità.
È un tesoro inesauribile che riempie ogni cosa in ogni momento e in ogni luogo, e ne siamo rivestiti e avvolti come ci ricorda Giuliana di Norwich: “Così come il corpo indossa abiti e la carne pelle, e le ossa carne, e il cuore petto, così noi, anima e corpo siamo rivestiti e avvolti nella bontà di Dio”.
La parola "buono" in Ebraico (ṭôḇ) ha un significato molto ampio, ma in questo contesto implica l’eccellenza morale, o perfezione morale, integrità di carattere, è l'attributo di chi è giusto e irreprensibile (cfr. per esempio 1 Samuele 26:16; Ecclesiaste 3:12; Isaia 65:2; Amos 5:14); come anche la benevolenza attiva, la generosità, le buone azioni, i benefici (1 Samuele 25:15; Salmo 31:19; 34:8,10; 73:1; 145:9; Proverbi 22:9).
La parola descrive essenzialmente tutto ciò che è benefico per la vita, tutto ciò che produce, promuove, migliora, o adorna la vita; come anche all’utilità e appropriatezza, un senso di adeguatezza, idoneità e scopo, qualcosa che non è solo buono in se stesso, ma serve anche bene alla sua funzione prevista (cfr. per esempio Genesi 2:9; Proverbi 15:23).
Il bene nella Bibbia sottolinea come sia radicato nella bontà di Dio e si manifesti attraverso i Suoi doni, azioni e promesse.
La Bibbia ci dice, riguardo i credenti, che al tempo stabilito da Dio tutto ciò che è veramente buono per loro gli sarà dato, o fatto (cfr. per esempio Salmo 34:10; 84:11; 85:12; Romani 8:28,32; Efesini 1:3).
Allora Geremia sta dichiarando che Dio non è solo moralmente perfetto, ma attivamente benefico verso i Suoi fedeli.
Non si riferisce solo a un attributo morale, ma anche alla capacità di Dio di provvedere, proteggere e benedire il Suo popolo nel fare la cosa utile e appropriata; è un amore in azione che si manifesta in benedizioni tangibili e in un patto di vita e di bene.
La bontà di Dio è pari alla Sua grandezza! La bontà di Dio è un tesoro inesauribile, una fonte di speranza che non si prosciuga mai che implica fedeltà al patto, quello Mosaico, o Sinaitico, con il Signore era legato al Suo popolo (Israele).
John Mackay scrive: “Dire che il SIGNORE è buono significa tracciare come la sua disposizione interiore diventa evidente in ciò che fa e nella qualità della relazione che mantiene con il suo popolo. ‘Tu sei buono e continui a fare il bene’ (Salmo 119:68), e così la chiamata alla lode echeggiava attraverso le assemblee di Israele: ’Rendete grazie al SIGNORE, perché è buono’ (Salmo 136:1). Specificamente come Re d'Israele del patto, il SIGNORE fornì al suo popolo una ‘buona terra’ come loro eredità (Deuteronomio 4:21–22) e, quando li benedisse, fu aprendo il suo ‘buon magazzino’ per soddisfare i loro bisogni (Deuteronomio 28:12). In effetti, l'essenza della benedizione del patto era "vita e bene" (Deuteronomio 30:15)”.
John Mackay sottolinea che la bontà di Dio non è semplicemente un concetto astratto, ma si manifesta concretamente nelle Sue azioni e nel Suo rapporto con il Suo popolo.
Quando diciamo che Dio è buono, stiamo riconoscendo come la Sua natura interiore si traduce in azioni di amore e cura fedele.
Ma perché Geremia in questo contesto dice che il Signore è buono? Lo fa almeno per due motivi.
Il primo motivo:
A) Perché vuole evidenziare che il Signore è sempre buono
La bontà del Signore non viene meno, anche quando le circostanze sono difficili.
“I giudizi di Dio si fondano sempre sulla sua bontà” diceva Giovanni Calvino.
Anche nel buio più profondo, la bontà di Dio è una luce che non si spegne!
Quando siamo provati, quando soffriamo, preghiamo e Dio non cambia la situazione, allora ci viene difficile credere che Dio è buono.
Geremia fa questa affermazione in un periodo storico di grande sofferenza per il popolo dovuto al giudizio di Dio per i peccati.
Gerusalemme era stata attaccata e distrutta per mano di Nabucodonosor, strumento di giudizio di Dio (cfr. per esempio 2 Cronache 36:11-21; Lamentazioni 1:5-22).
Geremia sapeva che Dio era buono, nonostante avesse usato le maniere forti di sofferenza per il Suo popolo, e lo vuole ricordare e affermare per se stesso e per il popolo Giudaico.
In mezzo alle lacrime, in mezzo al buio egli ricorda a se stesso e al popolo una verità fondamentale: Dio è buono.
Quando predicava in Louisiana durante la depressione il giovane dottor Gardner Taylor fu testimone di questa storia. L'elettricità stava appena arrivando in quella parte del paese e lui era in una chiesa rurale che aveva solo una piccola lampadina appesa al soffitto per illuminare l'intera comunità.
Mentre stava predicando a metà del suo sermone, la corrente elettrica saltò. L'edificio fu avvolto improvvisamente e completamente dal buio e il dottor Taylor non sapeva cosa dire, essendo un giovane predicatore inesperto.
Barcollò finché uno degli anziani diaconi seduti in fondo alla chiesa non gridò: “Continua a predicare, predicatore! Possiamo ancora vedere Gesù al buio”.
È vero!
Anche Geremia in un momento davvero drammatico, buio della sua vita e del suo popolo, vedeva la bontà di Dio!
Geremia, il profeta che ha visto la città cadere in rovina, non si è lasciato sopraffare dalla disperazione totale: la sua speranza era fondata non sulle circostanze esterne, che rimanevano tragiche, ma sulla natura immutabile di Dio.
Sia nell’Antico come nel Nuovo Testamento, Dio desidera il bene del Suo popolo, sia materiale che spirituale, e anche quando permette il male, lo fa per un fine ultimo buono (cfr. per esempio Genesi 50:20; Salmo 4:6; 145:9; Marco 3:4; Matteo 7:11; Luca 6:35; Atti 10:38; 14:17; Romani 8:28; Giacomo 1:17).
George Müller disse: “Il nostro Padre celeste non toglie mai nulla ai suoi figli a meno che non intenda dare loro qualcosa di meglio”.
Un vecchio vasaio stava lavorando al suo tornio, creando un vaso di rara bellezza. Il vaso era quasi finito quando, per un movimento brusco, il vasaio lo fece cadere. Il vaso si ruppe in mille pezzi.
Gli apprendisti del vasaio, che avevano assistito alla scena, rimasero costernati. Uno di loro disse: "Maestro, che sfortuna! Tutto il tuo lavoro è andato perduto!".
Il vasaio, con un sorriso sereno, raccolse i pezzi del vaso rotto. "Non vi preoccupate" disse, "Non è tutto perduto. Anzi, userò questi pezzi per creare qualcosa di ancora più bello".
E così fece. Con i frammenti del vaso rotto, il vasaio creò un mosaico, un'opera d'arte unica e affascinante.
Questo aneddoto ci ricorda che anche quando le cose nella nostra vita vanno in frantumi, quando i nostri piani falliscono e le nostre speranze sembrano infrangersi, Dio è ancora buono.
Come il vasaio, Dio può prendere i pezzi rotti della nostra vita e usarli per creare qualcosa di ancora più bello, qualcosa che non avremmo mai potuto immaginare.
“Le circostanze possono sembrare che distruggano le nostre vite e i piani di Dio, ma Dio non è impotente tra le rovine. Le nostre vite spezzate non sono perse, o inutili. L'amore di Dio è ancora all'opera. Lui entra e prende la calamità e la usa vittoriosamente, realizzando il suo meraviglioso piano d'amore” (Eric Liddel).
Nelle valli più profonde della nostra sofferenza, la bontà di Dio non è assente, sta operando in modi che vanno oltre la nostra comprensione immediata.
I piani di Dio sono più alti dei nostri pensieri, molte volte incomprensibili (Isaia 55:8-9; Romani 11:36).
Ma come dice Frank Relief: “Affidarci a Dio e dipendere dalla sua bontà intrinseca ci libera dalla necessità di trovare spiegazioni per ogni cosa”.
Molte volte, Dio intraprende una strada per realizzare i Suoi scopi direttamente contraria a ciò che le nostre ristrette vedute prescriverebbero, diversa dai nostri desideri, e molte volte è di sofferenza, una sofferenza che nasconde benedizioni mascherate! (Romani 8:28-29; Giacomo 1:3-4).
La bontà di Dio è spesso nascosta e difficile da riconoscere nel momento stesso in cui le viviamo nei momenti difficili, ma c’è!
Non può essere diversamente perché il Signore è buono!
Come Geremia trovò speranza nelle rovine di Gerusalemme, così noi possiamo trovare conforto nella bontà immutabile di Dio anche quando tutto sembra crollarci addosso!
“Non possiamo sempre rintracciare la mano di Dio, ma possiamo sempre fidarci del cuore di Dio” (C. H. Spurgeon).
Il secondo motivo per cui Geremia dice che il Signore è buono è:
B) Perché vuole incoraggiare il popolo
La bontà di Dio è una fonte di speranza.
Geremia sapeva che, se Dio era buono, allora c’era ancora speranza per il futuro.
Poiché è buono, ci si può aspettare future azioni di bontà, anche se in quel momento erano devastati dalla guerra.
È interessante notare come questo versetto si collochi quasi al centro del libro delle Lamentazioni, fungendo da perno tra le espressioni di dolore che lo precedono e lo seguono.
Rappresenta un momento di speranza in mezzo al lamento, ricordando ai lettori che anche nelle circostanze più buie, la bontà di Dio rimane una costante sia per il presente che per il futuro.
Il popolo in un momento drammatico della loro vita di guerra e devastazione, privazioni e sofferenza, non deve dimenticare che il Signore è buono!
Questo per incoraggiarli a sperare in Lui e a cercarlo anche in mezzo alla sventura.
Geremia vuole guidare i suoi ascoltatori su come affrontare la giustizia e l'ira di Dio, cioè il Suo giudizio, non disperandosi, non lamentandosi, non scoraggiandosi, bensì ricordare e affermare la bontà del Signore come stimolo di speranza e ravvedimento.
La bontà di Dio è la risposta a ogni nostra domanda, la cura per ogni nostra ferita, la forza per ogni nostra battaglia.
Allora se ti senti intrappolato, o quando lo sarai, in situazioni umanamente disperate, ricorda che il Signore non ha cessato di essere buono!
Questo è l’antidoto allo scoraggiamento, alla disperazione e alle lamentazioni contro il Signore!
Credere nella bontà di Dio è fondamentale per la nostra fede. Ci dà speranza nei momenti difficili, ci incoraggia a fidarci di Lui e ci spinge a vivere una vita di gratitudine.
E allora afferma e innalza la bontà del Signore anche nella sofferenza!
Avendo compreso la natura della bontà del Signore, passiamo ora a vedere:
II I BENEFICIARI DELLA BONTÀ DEL SIGNORE
Come già detto: Dio è buono non solo nella Sua natura, ma anche al modo pratico in cui tratterà coloro che sperano in Lui e lo cercano.
Questo versetto ha profonde implicazioni pratiche per la vita spirituale: ci insegna che la relazione con Dio richiede sia speranza che ricerca attiva, e che queste due qualità sono interconnesse.
Il versetto stabilisce una relazione dinamica tra l'essere umano e Dio: non è sufficiente una fede passiva, ma è necessario un atteggiamento attivo di attesa fiduciosa personale e di ricerca anche senza il tempio.
A riguardo John Mackay scrive: “Poiché il tempio era stato distrutto, la ricerca di Dio non poteva più essere effettuata attraverso le istituzioni della religione organizzata, ma un rapporto spirituale appropriato con lui era sempre stato disponibile senza tale assistenza liturgica”.
Geremia dice che la bontà di Dio è:
A) Per coloro che sperano in Lui
“Con quelli che sperano in lui”.
Durante un viaggio verso l'aeroporto di Pittsburgh, il pastore e scrittore Richard John Neuhaus ascoltava il suo ospite lamentarsi della disintegrazione del tessuto sociale americano e della scomparsa dei valori cristiani. Dopo aver pazientemente ascoltato, Neuhaus rispose: "I tempi possono essere brutti, ma sono gli unici momenti che ci vengono dati. Ricorda, la speranza è ancora una virtù cristiana e la disperazione è un peccato mortale".
Questa storia ci ricorda che la speranza non è solo un sentimento, ma una scelta consapevole; è una dichiarazione di guerra contro la disperazione, combattuta non con le armi del mondo, ma con la certezza di fede nella bontà di Dio.
Questa bontà non è un elemento opzionale della fede, ma il fondamento su cui poggia ogni nostra aspettativa.
"Sperare in Dio" significa confidare nella Sua presenza anche nei momenti difficili, credendo che non abbandonerà il Suo popolo.
La vera speranza non risiede nell'assenza di sofferenza, ma nella certezza della Sua presenza incrollabile di luce che ci guida attraverso le nostre valli più oscure.
È un atteggiamento di fede radicato nella consapevolezza che Dio è immanente e opera nella storia controllandola.
L'espressione "sperano in lui" (qōwā - qal attivo participio) descrive un'attesa attiva, paziente e fiduciosa in Dio.
“Sperare” significa attendere con pazienza l'intervento divino, guardando avanti con fiducia a ciò che è buono e benefico Dio darà (cfr. per esempio Genesi 49:18; Giobbe 3:9; 6:19; 7:2; 17:13; 30:26; Salmo 25:3; 37:9; 69:7; 37:24; 40:1; 69:20; 130:5; Isaia 5:2,4; 25:9; 40:31; 49:23; Lamentazioni 2:16).
Allora in questo senso ci sono momenti in cui una cosa giusta che un sofferente può fare è aspettare Dio con fede, sapendo che è buono.
Geremia aspettava pazientemente l'intervento divino a favore del suo popolo, aspettava la Sua salvezza.
In diversi passaggi biblici vediamo che la speranza è collegata alla salvezza, o liberazione (cfr. per esempio Genesi 49:18; Salmo 25:5; 27:14; 39:7-8; 40:1-2; Isaia 40:31; 49:23).
La speranza è la fiducia esclusiva in Dio in contrapposizione ai propri rimedi, o stratagemmi, o ad altre possibili fonti di liberazione.
Nel contesto delle Lamentazioni, questa verità assume un significato ancora più profondo.
Immaginiamo Gerusalemme: una città in rovine, il tempio distrutto, il popolo disperso, la carestia e la sofferenza all'ordine del giorno.
Non è una speranza basata sulle circostanze favorevoli, anzi, emerge proprio quando tutte le circostanze sembrano contraddirla.
Come dice G.K. Chesterton: "Speranza significa aspettativa quando le cose sono altrimenti senza speranza".
L’affermazione di Geremia non è una semplice formula religiosa, ma una profonda dichiarazione di fede che emerge dal cuore della sofferenza.
Richard Sibbes affermava giustamente: "La natura della speranza è aspettarsi ciò che la fede crede".
Dove non c'è speranza, non c'è fede, e dove c’è fede c’è speranza!
È una fede che si aggrappa alla bontà di Dio anche quando tutto sembra suggerire il contrario.
È un atto di fiducia che riconosce che Dio è più grande di qualsiasi tragedia e che la Sua bontà non viene meno, nemmeno nei momenti più bui.
“La speranza può vedere il cielo attraverso le nuvole più spesse” (Thomas Brooks).
La speranza non è una capacità umana innata, ma è radicata nel carattere e nell'attività del Signore, Egli è la speranza d’Israele, Suo salvatore in tempo di angoscia (cfr. per esempio Geremia 14:8; 17:13; 50:7; per mia speranza cfr. per esempio Salmo 25:5-9,21; 31:15; 38:16; 39:8;71:5).
Non è semplicemente un desiderio ottimistico per il futuro la speranza, ma un'àncora profonda che si radica nella comprensione del carattere di Dio.
“Sperare in Dio”, è come un girasole che si volta costantemente verso il sole, c'è un movimento intenzionale dell'anima verso la fonte della speranza.
Allora questa speranza si distingue dal semplice ottimismo perché ha un fondamento solido: il carattere immutabile di Dio.
La speranza non è un elemento opzionale della fede e della relazione con Dio, ma la sua caratteristica distintiva. È il modo in cui ci relazioniamo con Dio.
Horst Dietrich Preuss scrive: “Sperare è semplicemente e definitivamente la caratteristica distintiva della relazione con Dio”.
Questa relazione si nutre della memoria, non è un semplice ricordo nostalgico, ma una memoria attiva del carattere e delle opere di Dio che diventano il carburante per la speranza presente e futura.
Così la nazione spera (cfr. per esempio Geremia 14:22), e ricorre a precedenti atti di salvezza del Signore (cfr. per esempio Salmo 22:4-5), anzi a speranze precedenti (cfr. per esempio Salmo 22:5; 40:2; 44; 88; 106:4), risveglia una nuova speranza e la rende possibile.
E ancora l’atto di ricordare chi è Dio e le Sue opere crea la preghiera per una nuova speranza (cfr. per esempio Deuteronomio 7:12-19; Salmo 74; 77; Lamentazioni 3:21-24).
Questa speranza ha una qualità trasformativa: più speriamo in Dio, più lo cerchiamo; più lo cerchiamo, più la nostra speranza si rafforza.
È un circolo virtuoso che ci sostiene anche nelle valli più oscure della vita.
Allora nei momenti brutti della vita ricordati di chi è Dio e delle Sue opere, in questo modo la tua fede e speranza in Lui sarà alimentata!
Geremia ci dice ancora che la bontà del Signore è:
B) Per chi lo cerca
“Con chi lo cerca”.
In un mondo frenetico e pieno di distrazioni, può essere difficile trovare il tempo e lo spazio per cercare Dio; tuttavia, è essenziale dare la priorità a questa ricerca.
A volte, gli ostacoli alla ricerca di Dio possono essere interni, per esempio dubbi, paure, orgoglio.
Altre volte, possono essere esterni, per esempio influenze negative, difficoltà della vita, sofferenza, delusioni.
È importante essere consapevoli di questi ostacoli e superarli con l'aiuto di Dio.
La conversione di Agostino d’Ippona è una delle storie più affascinanti della storia della Chiesa. Nato nel 354 d.C. a Tagaste, nell'odierna Algeria, visse una vita dissoluta prima della sua conversione. Era un filosofo e insegnante, ma anche ladro, donnaiolo e concubino.
Prima della sua conversione, Agostino era tormentato da dubbi e desideri contrastanti. La sua conversione avvenne nel 386 d.C. In un momento di crisi, udì una voce di bambino che gli diceva: "Prendi e leggi!" Aprì la Bibbia a caso e lesse un passaggio che lo toccò profondamente, portandolo alla conversione.
Questo aneddoto illustra come la ricerca di Dio possa essere un processo interiore intenso, travagliato e come un incontro inaspettato con la Parola di Dio possa portare alla svolta.
La sua storia ci insegna che anche nel momento di maggiore crisi, un incontro inaspettato con la Parola di Dio può illuminare il nostro cammino per trovare Dio.
“Con chi lo cerca”, Geremia amplifica il concetto introducendo l'elemento della ricerca attiva del Signore.
La bontà di Dio si manifesta verso coloro che lo cercano attivamente.
Chi cerca Dio con passione, trova la Sua bontà!
Il verbo "cerca"(tidrĕšen – qal imperfetto attivo) in Ebraico implica una ricerca diligente e persistente.
Il verbo “cercare” ha vari significati nell’Antico Testamento, come quello di pregare, di fare una richiesta (cfr. per esempio Genesi 25:22; Esodo 18:15; 2 Re 3:11; 8:8).
Non si tratta di un interesse casuale, o superficiale, ma di una ricerca attiva, intenzionale, seria e costante per trovare il Signore (cfr. per esempio Geremia 29:13, Osea 10:12 Amos 5:4-6).
Nell’Ebraico, la sua forma imperfetta suggerisce un'azione continua, non completata, che si svolge nel tempo.
Questo ci insegna che cercare Dio non è mai un'azione che possiamo considerare "completata", è un viaggio continuo di scoperta e approfondimento.
È come imparare una lingua: non arriviamo mai al punto di dire "ora so tutto", c'è sempre un nuovo livello di comprensione da raggiungere.
Il Signore stesso ci dice di cercarlo com’è scritto nel Salmo 27:8.
Pertanto, è giusto ciò che diceva A.W. Tozer: “Cerchiamo Dio perché, e solo perché, Lui ha prima messo dentro di noi un impulso che ci spinge a cercarlo”.
La capacità di cercare Dio è un dono che Dio stesso che ci ha fatto, ma è anche una responsabilità che dobbiamo coltivare.
Non possiamo dare per scontata la nostra fede, ma dobbiamo impegnarci quotidianamente nella ricerca di Dio.
Isaia 55:6, esorta a cercare il Signore mentre lo si può trovare.
È un'esortazione all'azione, un invito a non rimandare la nostra ricerca di Dio.
Mentre in Deuteronomio 4:29 leggiamo: “Ma di là cercherai il Signore tuo Dio e lo troverai, se lo cercherai con tutto il tuo cuore e con tutta la tua anima” (cfr. per esempio Geremia 29:13)
Questo versetto ci insegna che la ricerca di Dio deve coinvolgere tutto il nostro essere: intelletto, emozioni e volontà.
“Molti hanno cercato il Signore, ma non lo hanno trovato perché non sono riusciti a cercarlo con tutto il loro cuore” (Bill Gothard).
Nel Salmo 34:10 leggiamo: “I leoncelli soffrono penuria e fame, ma nessun bene manca a quelli che cercano il SIGNORE”.
Coloro che desiderano veramente il Signore abbastanza da cercarlo diligentemente, riceveranno del bene dal Signore.
Cercare Dio è l'investimento più sicuro dell'anima!
Nessuno che lo cerca con sincerità tornerà mai a mani vuote; non sarà mai deluso!
La tendenza naturale di chi soffre per mano di Dio è di cercare di scappare, ma la strada migliore, come spiegato nel versetto 25, è piuttosto cercare Dio.
Mentre il mondo ci insegna a fuggire dal dolore, la saggezza divina ci sussurra di trasformare le nostre sofferenze in scale per cercare più intensamente il volto di Dio.
Un bambino quando viene corretto dal genitore, vuole scappare via invece di affrontare la situazione.
Ma la maturità spirituale si manifesta proprio nella capacità di muoversi verso Dio per confessargli il nostro peccato e ravvederci (cfr. per esempio Salmo 32:5; 51:1-4; Isaia 55:6-7; 1 Giovanni 1:8-10) per ristabilire la relazione con Lui (cfr. per esempio Proverbi 28:13; Isaia 59:1-2; Gioele 2:12-13; Luca 15:11-32; Atti 3:19), anche quando pensiamo sia più facile allontanarsi da Lui.
Come già detto cercare Dio significa pregarlo, ma in questo contesto in modo particolare si può riferire alla preghiera di confessione e pentimento come dice Tremper Longman III: “Cercare Dio significa comunicare con lui, entrare in sua presenza e ottenere il suo aiuto. Alla luce del peccato che ha portato alla punizione, probabilmente significa che confessano e si pentono del male fatto (vedere vv. 40–42). Il Signore sarà buono con queste persone. La bontà di Dio inizierebbe con il ritirarsi dalla punizione che stava attualmente dirigendo al suo popolo. Li avrebbe restaurati e portato loro prosperità anziché dolore”.
Il processo di confessione non è semplicemente un elenco dei nostri errori, ma un riallineamento fondamentale del nostro essere con la volontà di Dio.
È come quando un orologio viene risintonizzato con il tempo esatto, non si tratta solo di correggere l'errore attuale, ma di ristabilire una sincronizzazione perfetta con il riferimento originale.
Così in questo contesto “cercare il Signore” si riferisce a confessare i peccati e a pentirsi allineando la nostra vita morale e spirituale con Lui.
Se ti sei allontanato dal Signore, o se sei lontano dal Signore, è il tempo di cercarlo, confessando i tuoi peccati a Lui pentendoti. Il Dio buono ti accoglierà!
Avendo esplorato sia la natura della bontà di Dio e beneficiari, possiamo ora trarre alcune conclusioni pratiche per la nostra vita, vediamo allora la:
CONCLUSIONE
In un mondo segnato dalla sofferenza e quindi anche dalla nuvola oscura della disperazione, la fede in un Dio buono può essere la nostra forza, la nostra consolazione e la nostra speranza, la luce nell’oscurità!
La disperazione, come una morsa che stringe l’anima e l’abbatte, ci sussurra che ogni speranza è vana, ma la fede, come una fiamma tremolante, ci ricorda che anche nel buio più profondo, la bontà divina può illuminare il nostro difficile cammino.
La bontà del Signore rimane una verità immutabile che trascende le circostanze della vita.
Dio rimane buono anche nei momenti difficili, anche quando punisce, ed è in queste circostanze che lo dovremmo ricordare ancora di più.
La bontà del Signore si manifesta in modo particolare verso coloro che ripongono la loro speranza in Lui e lo cercano con tutto il cuore.
Che possiamo oggi come sempre avere una rinnovata fiducia nella bontà di Dio, sapendo che, mentre continuiamo a cercarlo e a sperare in Lui, la Sua bontà ci accompagnerà in ogni passo del nostro cammino.
Adoriamo e ringraziamo il Signore anche nei momenti di crisi, o difficoltà perché c’è un valido motivo a tutto secondo il Suo piano sovrano, buono, saggio, fedele!
Calvino ci ricorda: “Poiché, quindi, Dio tratta generosamente tutti coloro che sperano in lui, ne consegue che non possono essere delusi, finché sono soddisfatti solo di lui, e così si sottomettono pazientemente a tutte le avversità”.
Lasciamo che questa verità plasmi non solo il nostro modo di vedere Dio, ma anche il modo in cui affrontiamo le sfide quotidiane, ricordando sempre che in ogni circostanza, la bontà del Signore rimane la nostra àncora sicura e immutabile.
Affidiamo a Lui tutte le nostre preoccupazioni perché ha cura di noi (1 Pietro 5:7)
Inoltre, grazie alla bontà di Dio verso di noi credenti, le nostre vite dovrebbero esemplificare quella bontà verso gli altri.
Se non facciamo del bene agli altri, c'è motivo di chiedersi se siamo da Dio (3 Giovanni 11), e se siamo pieni di Spirito Santo, infatti la bontà ne è un frutto (Galati 5:22).